Mangiare burro complimento

Il cardinale italiano Giulio Alberoni (1664 – 1752) originario di Fiorenzuola d’Arda nel piacentino proponendo Elisabetta Farnese (1692 – 1766) al re di Spagna per le seconde nozze avvenute nel 1714 la descrive “impastata di butirro e di formaggio piacentino” e cioè nutrita con quanto di meglio vi è, il che deva far immaginare una pelle liscia e vellutata. Un rapporto tra burro e pelle d’altronde ben radicato anche negli allevatori che dalla sottigliezza ed untuosità della pelle dicono di poter individuare la vitella o la vacca che avrebbe dato un latte ricco di grasso. Sulla bontà del burro e soprattutto del suo uso in cucina, in particolare nella pasticceria, oggi nessuno ha più dubbi, ma non è sempre stato così, anzi vi è stato un periodo nel quale in alcuni paesi qualificare una persona come “mangiatore di burro” è un’ingiuria, come ricorda Mark Kurlansky (Kurlansky M. – Milk! A 10,000-Year Food Fracas – Bloomsbury Pub Plc USA; 2019)

Mangiar burro ingiuria

Quando Giulio Cesare (100 a C. – 44 a. C.) nel 55 a. C. oltrepassa la Manica e approda in Britannia rimane sconvolto da quanto latte costumano quei popoli, il filosofo, geografo e storico dell’antica Roma Strabone (63 a. C – 23 d. C.) critica i Celti per l’eccessivo consumo di latte e il senatore e storico romano Publio Cornelio Tacito (55 – ??) descrive la dieta dei popoli germanici tedesca come rozza e insapore rimarcando la loro passione per il latte cagliato. I romani spesso per documentare l’inferiorità di altre culture considerano il consumo eccessivo di latte come prova di barbarie e inciviltà e usano il burro un unguento per le ustioni, come cosmetico e non un appropriato alimento, per cui Plinio il Vecchio (?? – 79 d. C.) afferma che il burro è il cibo delle tribù barbare. Anche in Grecia il burro non ha una buona fama cominciando dalla parola stessa boutyros (cagliata di bovino) e come popolo di pecore e capre considerano diversi coloro che allevavano bovini e producono il burro come una razza aliena e chiamano con disprezzo mangiatori di burro i Traci che vivono nelle regioni del nord. Anche se i romani mangiano i formaggi, ma di pecora e di capra, in cucina non usano il burro vaccino, ma l’olio di oliva che è meno soggetto a deterioramento, si trasporta facilmente in anfore e si riscalda a temperature molto più elevate senza bruciare. Taluni romani sono però più tolleranti e tra questi Gaio Giulio Cesare (100 a. C. – 44 a. C.). Nel 222 avanti Cristo, i consoli Marco Claudio Marcello e Scipione Calvo conquistano l’Insubria, attuale Lombardia, e Milano la città più popolata del tempo non è devastata per la lungimiranza degli invasori. Lucio Cornelio Silla (138 a. C. – 78 a. C.) durante il suo consolato riconosce la cittadinanza a tutto il territorio del Nord sino alle Alpi e Giulio Cesare di passaggio a Milano, è invitato a cena ospite di Valerio Leone che fa servire gli asparagi con un condimento diverso dall’olio d’oliva cui erano abituati i commensali romani e che poteva essere burro fuso (olei loco infunderat unguentum). Cesare fa buon viso agli asparagi e mangia il piatto offerto dall’amico, rimproverando i romani per aver considerato barbaro quel cibo.

Burro e olio nell’Europa e nel Mediterraneo

Fin dall’antichità i grassi divengono marcatori di due culture quella del burro in Europa continentale e l’altra dell’olivo del burro nel Mediterraneo. Anche per motivi climatici di produzione, conservazione e trasporto fino a un secolo fa in Nord Africa, maggior parte della Grecia, Francia mediterranea, Spagna e la maggior parte dell’Italia centro-meridionale nella cucina domina l’olio d’oliva e solo nell’alta cucina raramente si usa il burro con preferenza in pasticceria, mentre nelle cucine dell’Europa continentale domina il burro e scarso è l’uso dell’olio di oliva, sostituito anche da altri oli di noce, lino, vinaccioli e altri semi e anche con l’oleum lardinum ottenuto con la pressione a freddo di dadini di grasso fresco o conservato di maiale.

Strutto terzo grasso dei popoli europei

Se il burro invade la cucina mediterranea e l’olio d’oliva si diffonde nelle cucine dell’Europa continentale questo avviene anche a scapito di un terzo grasso, lo strutto di maiale, un tempo largamente presente nelle cucine europee e dell’Italia settentrionale. Se il burro è ottenuto dalla zangolatura a freddo della panna del latte, lo strutto è il risultato della cottura delle parti grasse del maiale e il grasso che se ne ricava è chiaro e trasparente allo stato liquido ma quando si raffredda assume una consistenza cremosa dal colore bianco. L’utilizzo di questi due grassi (strutto e burro) è però differente perché ognuno ha consistenze, sapidità e punto di fumo diverse. Per la frittura, per esempio, bisogna ricordare che lo strutto ha un punto di fumo elevato (2500) ma scarsa resistenza all’ossidazione, il burro normale ha un punto di fumo più basso a causa della presenza della caseina e il burro chiarificato, privato della caseina residua, ha un punto di fumo praticamente uguale (2450) a quello dello strutto. Nel passato lo strutto aveva un’utilizzazione prevalentemente nella cucina popolare e contadina per il minore costo e quando le famiglie contadine allevavano un maiale con gli scarti della cucina, ma oggi la scelta è principalmente dovuta a una diversa consistenza e al sapore del prodotto finale della cucina.

Il burro conquista l’Oriente

È opinione comune che latte e latticini non siano graditi alle popolazioni orientali, ma si dimentica che il burro fatto con il latte vaccino è un prodotto molto importante nella cucina e anche nella vita quotidiana della popolazione della Mongolia interna ricca di bovini di diverse specie. Con il burro questo popolo cucina quotidianamente, lo usa come offerta al Buddha e ha un ruolo durante le feste religiose, matrimoni o compleanni. Per il suo colore bianco in Mongolia il burro è simbolo di purezza, sacralità, e è considerato un segno di fortuna e benessere. È invece vero che nel passato i buddisti giapponesi evitavano i latticini, disprezzavano gli occidentali che consumavano troppi latticini affermando di poterne sentire l’odore e nel XX secolo usavano il termine peggiorativo Batā dasaku, o “puzza di burro”, per un occidentale. Sentimenti simili esistevano nella Cina centro-meridionale dove il consumo di latticini era molto raro, ma ora questo sta cambiando. La Cina è oggi il terzo produttore mondiale di latte e oggi quasi il 40% dei cinesi beve latte, la percentuale più alta nella storia cinese e i cinesi conoscono e apprezzano il burro. La nuova e crescente classe superiore tende a desiderare tutto ciò che è occidentale, il latte è occidentale, il gelato è popolare, ci sono anche le yogurterie e il burro sta entrando anche in cucina. All’inizio del 2022 la Cina si conferma il primo importatore mondiale di prodotti lattiero caseari con un grande balzo in avanti nei primi sette mesi del 2021 per i volumi acquistati di latte in polvere (rispettivamente +45% per lo scremato e +34% per quello intero), siero in polvere (+37%), burro (+23%) e formaggi (+44%) con un impatto significativo sulle esportazioni comunitarie facendo registrare una variazione positiva a due cifre soprattutto per le principali commodity.

 

 

 

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, é stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.