IN BREVE

In Sardegna, ed in particolare nelle aree interne, più di metà della superficie agricola utilizzabile è costituita da pascoli permanenti dove spesso non è possibile effettuare nessun altro tipo di coltivazione. L’alimentazione al pascolo degli ovini può quindi essere un’occasione per creare dei prodotti (latte e formaggi) con un valore aggiunto sia da un punto di vista salutistico che sensoriale, evitando al contempo lo spopolamento di queste aree.

Uno studio recentemente pubblicato su Animals ha analizzato l’effetto del sistema di alimentazione della pecora al pascolo durante l’intero arco della lattazione sulle macro e micro componenti del latte. Le fasi fenologiche delle piante e l’assunzione di erba  sono risultate essere legate al profilo del lattosio e degli acidi grassi del latte. La composizione botanica del pascolo, inoltre, incide parzialmente sul contenuto in fenoli del latte, che sembrano influenzarne il colore.

L’allevamento ovino da latte in Sardegna è prevalentemente di tipo semi estensivo, e ciò si deve in buona parte al fatto che gli allevatori sardi da sempre hanno dato priorità alla razza autoctona Sarda (oltre il 95% dei capi ovini allevati in Sardegna è di questa razza).

A livello regionale l’allevamento della pecora da latte presenta ancora oggi una miriade di sistemi manageriali diversificati e plasmati in funzione delle diverse situazioni/localizzazioni aziendali: si va da situazioni ideali in cui troviamo animali ad alta genealogia con produzioni che possono sfiorare i 400 litri di latte per lattazione (180 giorni di mungitura) in aziende di pianura/collina dove il ricorso sostenuto di integrazioni si associa all’utilizzo di pascoli migliorati (in particolare leguminose), fino a situazioni quasi estreme nelle aree dell’interno della Sardegna in cui la razza ovina Sarda a minore potenzialità genetica presenta una taglia più ridotta, con produzioni di 180 litri per lattazione. In quest’ultimo caso il ricorso all’utilizzo delle integrazioni è molto limitato, mentre l’utilizzo del pascolo (soprattutto pascoli permanenti) sfiora quasi il 90% dei fabbisogni degli animali (specialmente in tarda primavera).

Il panorama dell’allevamento ovino sardo

A partire dalla fine degli anni ’90, con la riforma della PAC e il taglio alle restituzioni alle esportazioni del formaggio Pecorino Romano, gli allevatori hanno conosciuto dei continui periodi di crisi del comparto con un taglio del prezzo del latte che si è attestato intorno al 50%. La resilienza del comparto ovino da latte sardo ha dato prova di grande capacità manageriale degli allevatori passando in breve tempo da un sistema semi-estensivo ad uno totalmente estensivo, abbandonando quasi totalmente l’utilizzo delle integrazioni alimentari extra aziendali. E’ da questa tragica esperienza che molti allevatori sardi hanno iniziato a riflettere sull’opportunità di valorizzare al meglio la produzione di latte in primis attraverso una trasformazione artigianale e poi facendo maggiore ricorso al pascolo. Non bisogna dimenticare infatti che a partire dagli anni ’50 le politiche di sviluppo agricolo regionale avevano principalmente favorito una trasformazione casearia “aggregata”, fosse essa di tipo cooperativistico o privato. Inoltre, come riportato in passato in diversi altri nostri contributi, in questo modo il latte e il formaggio ovino sardo per tutta una serie di ragioni sono andati ad alimentare parzialmente il bacino delle commodity, cioè prodotti “standardizzati”, in quanto l’obiettivo principale era disporre di un latte ricco in grasso e proteine con alte rese casearie.

Le opportunità del pascolo

Ad oggi è quasi assente  nella filiera lattiero-casearia ovina sarda un riferimento alla quantità minima di erba presente nella dieta giornaliera della pecora. Per tanti anni, inoltre, è passato un messaggio poco chiaro da parte del mondo della ricerca dove si tendeva a sottolineare come parametri di qualità del latte i soli parametri tecnologici (grasso e proteine), senza fare riferimento alcuno ai microcomponenti, come per esempio il profilo acidico piuttosto che il contenuto vitaminico e/o della componente volatile. Gli studi svolti a partire dai primi anni 2000 presso il centro di ricerca di Bonassai evidenziavano sin da subito un ruolo molto importante del maggiore apporto di pascolo (erba verde piuttosto che la specie foraggera utilizzata) nella dieta sulla componente salutistica del latte, ed in particolare della frazione lipidica insatura, rispetto ad animali alimentati in stalla con diete secche a base di mangimi e fieni.

In Sardegna oltre il 60% della superficie agricola utilizzabile è costituita da pascoli permanenti dove spesso non è possibile effettuare nessun altro tipo di coltura a causa delle condizioni geopedologiche dei terreni e/o della morfologia delle aree (pendenze elevate, ecc). Esistono vasti territori in Sardegna dove,  per il limitato strato attivo del terreno, e per la quota considerevole di rocce affioranti, diventa impossibile ipotizzare qualsiasi tipo di miglioramento agronomico. Queste aree presentano pascoli spesso molto ricchi in termini di biodiversità vegetale, anche se la produzione e la qualità dei pascoli risente tantissimo dell’andamento climatico. Queste condizioni molto presenti nelle zone interne dell’isola causano dei limiti al permanere della zootecnia semi-intensiva, con aziende che costrette a ricorrere alle integrazioni di origine extra-aziendale e con il calo del prezzo del latte diventano “non competitive”, spingendo molti allevatori ad abbandonare la propria attività dando luogo al fenomeno dello spopolamento di queste aree.

Il progetto del GAL Marghine

Nasce da questi presupposti la necessità da parte del GAL (Gruppo azione locale) Marghine di creare un progetto per lo studio sul proprio territorio al fine di valutare l’effetto del sistema di alimentazione della pecora al pascolo durante l’intero arco della lattazione. Lo studio è stato svolto nel 2019 con l’obiettivo di mappare il territorio del Gal Marghine in funzione della componente botanica dei pascoli e dell’integrazione alimentare sulle macro e micro componenti del latte. A partire dal mese di gennaio, con cadenza di 6 settimane sono state fatte delle visite aziendali su 11 aziende dove sono stati registrati il numero di pecore in lattazione, la produzione di latte e l’integrazione (mangimi e foraggi). Inoltre, sono stati fatti degli sfalci nei pascoli per valutare la produzione, la qualità nutrizionale e la composizione botanica. Ad ogni visita aziendale veniva associato un prelievo di latte su cui venivano svolte le seguenti analisi: grasso, proteine, lattosio, cellule, colore del latte, vitamine A ed E, colesterolo, potere antiossidante (FRAP), grado di protezione antiossidante (DAP), contenuto fenolico totale, profilo fenolico e profilo acidico.

Lo studio

I risultati di questo studio sono stati pubblicati di recente sulla rivista internazionale Animals. In generale sono state identificate circa 100 variabili, di cui 5 macro-componenti (grasso, proteine, lattosio, caseina e cellule), 68 acidi grassi, 7 composti fenolici, 2 vitamine (vit. A ed E), il potere antiossidante (FRAP), il colesterolo, il grado di protezione antiossidante (DAP) e 3 parametri del colore (b *, a*, ed L).

Questi parametri del latte sono stati messi in relazione con alcuni “fattori” di gestione aziendale e di caratteristiche dei pascoli, come la stima della quantità di erba ingerita, l’integrazione alimentare (fieno e mangime), lo stadio fenologico e la componente botanica dei pascoli, le ore di accesso al pascolo e il carico di bestiame per ettaro. I dati sono stati elaborati secondo un modello statistico delle componenti principali, il cui scopo era riassumere le variabili prese in esame nello studio. Questo al fine di semplificare i risultati e far emergere delle indicazioni utilizzabili a livello aziendale per migliorare la “gestione” della qualità del latte dal punto di vista salutistico e sensoriale/edonistico.

I risultati

Dallo studio è emerso che la dimensione media delle aziende era di 67 ettari con circa 200 capi allevati. Nei sistemi aziendali semi estensivi studiati il contributo di erba nella dieta giornaliera variava da circa il 40% durante il mese di gennaio (periodo in cui la disponibilità della crescita dell’erba è frenata dalle basse temperature) a valori di oltre l’80% durante il mese di maggio (periodo di massima disponibilità foraggera verde).

La componente botanica dei pascoli differisce molto con la stagione: a gennaio prevalgono graminacee (80%) e composite (3%), mentre a marzo diminuiscono le graminacee (60%) e aumentano le leguminose (10%) e composite (13%). A maggio diminuiscono ancora le graminacee (63%) mentre aumentano ulteriormente le leguminose (15%) e le composite (21%). Chiaramente queste evoluzioni botaniche risentono molto degli andamenti metereologici, sia in termini pluviometrici che in termini di temperature. L’ingestione di erba stimata variava do 0 kg (periodo invernale) a 1,700 kg circa durante la tarda primavera quando la disponibilità dei pascoli era massima. Anche l’integrazione stimata oscillava molto con il variare della disponibilità dei pascoli: dai 0,100 Kg di concentrato durante la tarda primavera fino ad arrivare ai 1,850 kg durante l’inverno. E’ interessante  notare come, pur trattandosi di sistemi estensivi, i livelli di integrazione di concentrato possano arrivare fino a 1,300 Kg/capo/die in certe situazioni di penuria di pascolo.

Riguardo l’effetto del management aziendale sulla qualità del latte possiamo affermare che all’aumentare dell’erba ingerita è aumentata la produzione di latte e il suo contenuto di lattosio e acidi a corta catena, con un livello contenuto di acido oleico. Confrontandoci con dati bibliografici possiamo ipotizzare che i nostri animali non fossero in deficit energetico e quindi concludere che l’ingestione stimata di erba fosse sufficiente ai fabbisogni degli animali. Da qui nasce la possibilità di utilizzare in modo indiretto alcuni metaboliti del latte come potenziali  indici di alimentazione da associare ad altri parametri. Inoltre, l’erba verde ingerita è risultata essere correlata positivamente con l’acido grasso C18:2 t11c15 che abbiamo visto essere un metabolita dell’acido linolenico presente nell’erba. Questi effetti sono fortemente modulati dallo stadio fenologico delle piante e dalla composizione botanica dei pascoli stessi. In particolare, è emerso che pecore che pascolano durante lo stadio vegetativo delle piante producono un latte più ricco in acidi grassi a corta catena, e che pascoli ricchi in leguminose potrebbero influenzare il profilo acidico in termini di acidi grassi saturi o insaturi per via indiretta attraverso una modulazione sulla microflora ruminale causata dai fenoli e dalla polifenol ossidasi presente nelle leguminose e nelle composite.

Le novità di questo studio sono diverse: la prima riguarda il ruolo molto importante che potrebbero avere in futuro i composti fenolici nel latte sia dal punto di vista del contenuto di antiossidanti e sia come biomarcatori per latti provenienti da animali al pascolo. E’ stato visto che alcuni fenoli (ferulati e flavonoidi) nel latte sono ben correlati con l’ingestione di erba. Inoltre, flavonoidi e ferulati sono ben correlati con i valori del rapporto n-3/n-6 sempre nel latte. Infine, altro aspetto molto importante è risultato essere il colore del latte, in particolare il valore del giallo (b*) che risulta leggermente maggiore quando l’erba verde ingerita aumenta. E’ anche probabile che il parametro del giallo (b*) possa essere influenzato dalla presenza nel latte di alcuni fenoli (lignani).

Conclusioni

In conclusione, si vede chiaramente come in situazioni reali le pecore al pascolo su prati permanenti allo stadio vegetativo incrementano nel latte gli acidi grassi insaturi. La relazione tra alcuni fenoli e il colore del latte ci suggerisce di studiare ulteriormente i meccanismi di azione dei fenoli e il loro metabolismo, al fine di poterne incrementare i livelli nel latte aumentandone l’indice salutistico e migliorando le caratteristiche sensoriali. Ulteriori studi sono necessari per confermare e identificare dei biomarcatori in grado di discriminare un latte proveniente da un’alimentazione al pascolo piuttosto che da una secca.

I risultati emersi sono incoraggianti nell’ottica di identificare dei “valori soglia” di riferimento per il latte di qualità nei sistemi agro zootecnici estensivi sardi. Emerge in modo sempre più drammatico la necessità di dover distinguere tra sistemi di allevamento differenti che in questi ultimi anni hanno reso sempre più confusa l’opinione pubblica: animali prevalentemente al pascolo (pasture based) e animali con piccoli apporti di pascolo nella dieta (grass feed). Tale differenziazione è fondamentale al fine di attribuire il corretto valore aggiunto in termini salutisti, sensoriali e di sostenibilità ambientale alle produzioni zootecniche sarde.

Lo studio può essere scaricato integralmente qui.