1900 – Reggio Emilia
Nella seconda metà del secolo XIX, soprattutto in Italia settentrionale, l’agricoltura e le sue produzioni, e in particolare di latte e formaggi, hanno profonde trasformazioni con un progresso in larga parte da attribuire alla Scuola di Zootecnia e Caseificio, sorta a Reggio Emilia nel 1880 nella Stazione Sperimentale Agraria Istituita, fondata dal bolognese Marco Minghetti (1818 – 1886) ministro dell’Agricoltura, del Commercio e dell’Industria. Scopo dello Stabilimento Sperimentale di Zootecnia operante dal 1874 è formare esperti allevatori di bestiame e abili cascinai, quando in Reggio Emilia esistono 359 caseifici che producono formaggio grana e burro. Il problema maggiore per i casari è il numero elevato di forme di parmigiano “sbagliate”, con difetti a volte limitati, come crepe e piccoli gonfiori, e altre volte molto gravi, arrivando al gonfiore (balon) se non allo scoppio della forma e alla perdita di una parte anche consistente della produzione. Di questi problemi si occupano i tecnici della Regia Scuola di Zootecnia e Caseificio, diretta prima da Antonio Zanelli (1825 – 1894) e poi dall’ingegnere Pellegrino Spallanzani (1840-1912). Tra i ricercatori eccelle Giuseppe Notari (1863 – 1936), con ricerche che innovano la lavorazione del formaggio parmigiano, inventando attrezzi particolari come lo spino per la frantumazione della cagliata che ne porta il nome (Spino Notari), ma soprattutto mettendo a punto l’uso di un nuovo sistema di produzione del formaggio, il sieroinnesto, per il quale gli chiediamo un’intervista che ci concede presso il laboratorio della Scuola di Zootecnia e Caseificio di Reggio Emilia.
Gentile Signor Notari, sappiamo che Lei è stato allievo di questa Scuola e ora, come tecnico di indiscusse capacità, è caposcuola di più di una generazione di casari, imprimendo all’arte casearia una rigorosa metodologia di lavoro. Il suo nome è legato alla geniale intuizione del sieroinnesto, pratica che dalla lavorazione specifica del formaggio grana si sta ora estendendo ad altri tipi di formaggio. Qual è l’origine di questa tecnica che, se non abolisce, sicuramente riduce i difetti e quindi migliora la qualità dei formaggi?
Sono figlio di uno dei 13 casari censiti nel comune di Modena nel 1861 e sin da ragazzo ho appreso le complicate operazioni svolte quotidianamente per fabbricare le tradizionali forme di formaggio grana, acquisendo le cognizioni empiriche trasmesse oralmente e per imitazione. Una borsa di studio concessami dall’Amministrazione provinciale modenese nel 1880 mi permette d’accedere come studente convittore alla Regia Scuola di Zootecnia e Caseificio, fondata a Reggio Emilia nel 1874 e diretta dall’agronomo Antonio Zanelli (1825 – 1894). Per rispondere alla sua domanda le dico che tutto parte da un’attenta osservazione di quanto praticato da alcuni casari che usavano la scotta, liquido che rimane dopo la formazione del formaggio e della ricotta, per lavare i mastelli ed altri attrezzi caseari da usare nella lavorazione successiva, forse pensando anche a quello che le donne di casa fanno usando una piccola porzione di pasta del pane per lievitare la massa di pasta della lavorazione successiva. Su queste osservazioni mi metto al lavoro e nel 1886 inizio una serie di prove preparando forme di formaggio servendomi di latte fermentato o latte con aggiunta di contenuto dello stomaco di vitelli, siero di formaggio grana fresco ben riuscito, oppure siero di latte e alcuni agenti chimici che presto misi da parte. Nel 1898 inoltre compio esami microscopici del siero che uso come innesto e vedo un pullulare di forme microbiche cocciche e bastoncellari. Al principio della campagna casearia del 1890, con l’anima di chi crede di aver superato una delle maggiori difficoltà della vita uscendo dalle prove e dai tentativi, adotto come metodo ordinario della fabbricazione del formaggio grana una procedura con la quale una parte del siero avanzata dalla quotidiana fabbricazione di formaggio, lasciata riposare per una notte e aggiunta il mattino seguente al latte di caldaia, conferendo l’acidità e la carica fermentativa ottimale, migliora sensibilmente la prima fase della filiera produttiva del parmigiano-reggiano. Questo metodo è da me denominato sieroinnesto, e cioè siero che si innesta nella fermentazione delle forme di formaggio. Nel 1894 i risultati sono eccellenti e la produzione dell’anno della Stazione Sperimentale sono formaggi per quasi tre quarti eccellenti e per un quarto di seconda scelta. Il Prof. Pellegrino Spallanzani (1840 – 1912), che dirige Scuola e segue i miei lavori, ufficializza il metodo con una pubblicazione (Spallanzani P. – 1895 – L’inoculazione nella fabbricazione del grana – Le Stazioni Sperimentali Agrarie Italiane, 28 (1), 43 – 52) e una conferenza a Parma (Spallanzani (P. – Riforme al caseificio – Conferenza tenuta nel locale del Consorzio Internazionale di Caseificio in Parma nel sett. 1887. Parma, Adorni, 1888, 27 pp.). Il miglioramento che avviene con una conoscenza scientifica nel solco della tradizione con la tecnica del sieroinnesto si diffonde rapidamente nella produzione dei formaggi a latte crudo. Aggiungo che non ho voluto brevettare il metodo del sieroinnesto per agevolarne la diffusione nei caseifici.
Quale è il rapporto tra l’azione del caglio e la fermentazione guidata dal sieroinnesto?
La diffusione del sieroinnesto, che fa diminuire del 50% le fallanze nella fabbricazione del formaggio, è una coltura microbiologica naturale, costituita da una microflora termofila nella quale prevalgono specie lattiche bacillari. Il sieroinnesto è una coltura naturale di batteri lattici ottenuta per acidificazione spontanea del siero di fine caseificazione che, aggiunta al latte in caldaia durante la fase di lavorazione, favorisce l’attività della chimosina del caglio grazie all’acidificazione della miscela (latte in caldaia più siero innesto), attiva un’intensa fermentazione lattica e rende disponibile un’importante quota di enzimi. L’aggiunta del sieroinnesto al latte in caldaia ha un ruolo sull’attività del caglio, nel processo di acidificazione della cagliata e sui caratteri organolettici del formaggio a fine stagionatura per l’attività dei microrganismi e loro enzimi che partecipano ai complessi fenomeni che avvengono durante la maturazione del formaggio.
Quali sono le relazioni tra sieroinnesto e ambiente?
Il sieroinnesto è parte di una importantissima relazione fra ambiente, tecnologia e microflora caratteristica del formaggio. Ritengo infatti che la composizione batterica del sieroinnesto rispecchi quella dell’ambiente. Infatti, il sieroinnesto varia a seconda del caseificio, delle caratteristiche del siero usato, delle modalità della fermentazione, e in relazione ai contenitori utilizzati per l’incubazione del siero, della loro coibentazione, della temperatura ecc. Le colture microbiche dei diversi sieroinnesti rappresentano quindi un processo tecnologico di produzione risultato di anni di selezione naturale e di una quotidiana utilizzazione che hanno portato alla costituzione di ceppi specifici per il particolare tipo di produzione casearia che rappresentano una delle principali forme di legame fra la produzione del formaggio, nel mio caso il Parmigiano Reggiano, e il suo territorio.
Ora le chiedo perché oltre al sieroinnesto si è anche occupato di alcuni attrezzi di caseificazione.
La caseificazione è un procedimento molto complesso. Per questo sono intervenuto perfezionando uno strumento antico nell’arte casearia, usato per rompere la cagliata: un ramo di spino naturale, che rilasciava frammenti di legno all’interno del formaggio, e che ho sostituito con una lamina a bordi taglienti avvolta a spire concentriche che determina il taglio regolare e a volumi geometrici del coagulo, garantendo anche una più regolare disidratazione e minori perdite di grasso e caseina, ora noto come Spino Notari. Allo spino ho aggiunto due preziosi attrezzi di mia ideazione: il Fermicagliata a Croce e il Frangicagliata.
Nel ringraziarla per la sua accoglienza e per quanto ci ha detto, ritengo che lei potrebbe essere dichiarato Perito Agrario Honoris Causa! (Questo avviene nel 1926 da parte del Ministro della Pubblica Istruzione).
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, é stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.
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