1862 – Parigi
Nel 2022 si compiono due secoli della nascita in Francia di Louis Pasteur (1822 – 1895), il chimico e microbiologo francese le cui scoperte portano importanti innovazioni nella conservazione degli alimenti e nella prevenzione delle malattie infettive, e considerato il fondatore della moderna microbiologia. Nel 1862, esattamente centosessanta anni fa, il 20 aprile, Louis Pasteur segna una di quelle date che sono una svolta nella storia della società occidentale. Assieme a Claude Bernard (1813 – 1878), Pasteur esegue esperimenti pubblici per dimostrare l’efficacia del processo termico di sanificazione degli alimenti dimostrando la fallacia della teoria della generazione spontanea dei germi patogeni.
Le prime applicazioni pratiche del procedimento, denominato pastorizzazione, riguardano il vino, l’aceto e la birra, e solo nel 1886 Franz von Soxhlet (1848 – 1926) applicherà il procedimento al latte con risultati eclatanti, considerate le precarie condizioni igienico sanitarie del tempo. Questa scoperta garantisce un alimento sano e consente una più lunga conservazione del latte rendendo possibile un’industria lattiero-casearia che supera le barriere di spazio (comprare latte anche a lunga distanza) e di tempo (procedere alla caseificazione con tempi assai più dilatati), con una produzione casearia che spezza il vincolo millenario tra allevamento-mungitura-caseificazione. Da tempi più antichi il latte per fare formaggio era quello degli animali allevati dal casaro stesso o proveniva da allevamenti limitrofi, e doveva essere lavorato in tempi molto brevi, mentre con la pastorizzazione il caseificio può lavorare quantità molto grandi di latte e può attingere anche a grandi distanze. In occasione dei suoi quaranta anni, intervistiamo di Louis Pasteur sulla sua scoperta che inizia una nuova era della storia alimentare.
Illustre signor Pasteur, nel 1840, Lei si diploma in lettere e in scienze e ora è noto per le sue ricerche su gli alimenti, come è avvenuto questo cambiamento?
Non si tratta di cambiamento, ma di un’evoluzione che sintetizzo brevemente. Dopo le mie ricerche sulla cristallografia all’Università di Strasburgo, nell’Università di Lille inizio a studiare con metodi scientifici i problemi di qualità dell’alcole ottenuto dalla fermentazione della barbabietola dedicando la mia attenzione ai lieviti. Già alla fine del neolitico ci si è accorti che taluni alimenti, come l’impasto dei cereali, i succhi d’uva, il latte e altri, sono soggetti a mutamenti, detti fermentativi, e trasformati in pane e birra, vino, latte acido e formaggi. Poi gli antichi Babilonesi e Egiziani producono birra, gli antichi Greci e Romani il pane e il vino secondo metodi empirici attribuendo le caratteristiche di quanto ottenuto, e soprattutto le anomalie, a o “malattie” di questi cibi, a influssi astrali come le fasi lunari o a interventi più o meno malefici, come la presenza di donne in fase mestruale, da prevenire con riti e scongiuri. Neppure gli scienziati, compresi i primi chimici, da Philippus Bombastus von Hohenheim detto Paracelso (1493 – 1541) al chimico Robert Boyle (1627 –1691), trovano spiegazioni convincenti delle fermentazioni e loro anomalie, nonostante la conoscenza dei lieviti individuati con i primi rudimentali microscopi di tipo ottico prodotti nei Paesi Bassi alla fine del XVI secolo e migliorati a partire dal XVII secolo da Antoni van Leeuwenhoek (1632 – 1723). Anche solo alcuni anni fa si pensava che nella fermentazione il lievito avesse solo un ruolo passivo, ma con i miei esperimenti dimostro che il lievito è un microrganismo vivente che provoca la fermentazione, risultato di un processo biologico piuttosto che chimico. In questo modo apro un nuovo campo della microbiologia e sfato l’idea secolare della generazione spontanea, e cioè che, in determinate circostanze, alcune forme di vita, come ratti e mosche, possano derivare spontaneamente dalla materia non vivente.
La ringrazio per questa sua importante precisazione, ma non mi è chiaro come sia arrivato a usare certi tipi di il calore per la conservazione degli alimenti.
Nel 1854 presso la Facoltà di Scienze dell’Università di Lille mi occupo della fermentazione delle bevande alcoliche. A quei tempi Lille è l’epicentro birrario francese e nel 1856 un birraio di nome Bigo mi chiede di risolvere il suo problema: molte delle sue birre irrancidiscono e io scopro che l’inacidimento non è frutto del caso o della magia, ma che ne sono i responsabili i lieviti selvaggi, scoprendo anche i metodi per il loro controllo e come eliminarli. Successivamente, nel 1863 ricevo la lettera di uno degli aiutanti di Napoleone III (1808 – 1873) che mi commissiona di studiare il deterioramento del vino, una questione di grande urgenza in Francia dove il vino è parte integrande della cultura alimentare e di grande importanza per la prosperità economica della nazione. Allora affronto il problema in diverse località francesi dove si produce vino giungendo alla conclusione che non vi è una sola cantina in tutta Francia che possa dirsi completamene sana e che vi è una gigantesca microflora all’interno dei tini utilizzati per la fermentazione del vino. Prendendo spunto dalla mia ricerca sulla birra sviluppo un metodo di riscaldamento del vino per rallentare la crescita microbica e prevenire il deterioramento senza distruggere le sue caratteristiche. Nel vino riscaldato a 55 gradi centigradi vi è una inibizione della flora microbica fermentativa ma si mantengono le sue caratteristiche e il 20 aprile 1862 brevetto il metodo. Già nel 1795 il francese Nicolas Appert (1749 – 1841) era riuscito a conservare vari tipi di alimenti chiudendoli in contenitori ermetici di vetro e riscaldandoli con immersione in acqua bollente, ma sono il primo a provare la relazione fra le alterazioni dei cibi a contatto con l’ambiente esterno e la presenza di microrganismi, confermando che il calore può essere usato per distruggere questi microrganismi, dando una spiegazione scientifica alle osservazioni empiriche di Appert e altri.
Quali previsioni fa sull’applicazione agli alimenti del suo metodo, che alcuni in suo onore chiamano anche pastorizzazione?
La temperatura e il tempo dei trattamenti con il calore degli alimenti devono tenere conto anche dell’acidità del cibo. Il metodo consiste nel portare rapidamente le sostanze da trattare a temperature comprese fra circa 60 °C e circa 80 °C per tempi di durata variabile. Con questa tecnica si mira a distruggere i microrganismi presenti nell’alimento e una parte di quella microflora che può causare alterazioni di varia natura. Il metodo prolunga la durata di conservazione del prodotto, soprattutto in combinazione con la refrigerazione e se isolato dall’ambiente esterno così da evitare un nuovo inquinamento, che ha una durata di conservazione decisamente maggiore di quella dei corrispondenti prodotti non trattati, e sono sicuro che il metodo avrà una grande applicazioni in ogni genere di alimenti.
Nel ringraziare Louis Pasteur per la sua intervista, bisogna rilevare che a due secoli dalla sua nascita questo scienziato, per la sua teoria dei microrganismi, scoperta della fermentazione e invenzione della pastorizzazione, nonché invenzione di vaccini batterici e virali, ancora oggi è un personaggio familiare in tutto il mondo. I suoi contributi alla sicurezza alimentare e alla medicina sono tra i più grandi successi nella storia della salute e dell’alimentazione e per questo la Medaglia UNESCO / Institut Pasteur creata nel centenario della sua morte è assegnata ogni due anni in riconoscimento a chi ha compiuto una ricerca eccezionale che contribuisce alla salute umana.
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, é stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.
Scrivi un commento
Devi accedere, per commentare.