Esistono alcune aziende in cui, per motivi economici o semplicemente logistici, può essere difficile fare affidamento su di un veterinario, perlomeno in maniera continuativa e frequente. Per di più in tali aziende è raro poter contare su di una alimentazione corretta e di alta qualità, che sarebbe di per sé la risorsa fondamentale cui fare affidamento nell’ottica di possedere animali sani (e che dunque necessitino meno di interventi da parte del veterinario) e produttivi. Quale potrebbe essere dunque un concreto aiuto alle aziende piccole, economicamente in difficoltà od isolate?
Probabilmente la possibilità di autoprodurre (o comunque utilizzare) un alimento che possa migliorare le produzioni di latte, in termini di qualità e di quantità, potrebbe rappresentare se non la soluzione un valido aiuto a molti problemi aziendali. Ed ecco che la cannabis fa la sua entrata in scena. Da almeno 4500 anni utilizzata come pianta medicinale nella medicina tradizionale cinese prima e nel mondo occidentale poi (esistono antiche prove della presenza di cannabis in europa, tuttavia il suo utilizzo è probabilmente riconducibile a pratiche religiose e sciamaniche più che mediche) la cannabis viene in realtà utilizzata, alle pendici dell’Hindu Kush, come foraggera in quanto pianta resistente e naturalmente presente sul territorio. Sin ora le proprietà mediche della pianta di cannabis, ben conosciute in medicina umana, non erano mai state sondate in campo zootecnico. Per essere precisi semi e panelli di cannabis (spesso identificata come canapa o marijuana, nomi diversi per identificare la stessa pianta) sono stati utilizzati in zootecnia con risultati più o meno soddisfacenti, tuttavia mai prima d’ora si era provato a somministrare a degli animali da reddito la componente della pianta contenente i principi attivi con conclamato effetto terapeutico (il cannabidiolo, o CBD; i terpeni ed i flavonoidi), ovverosia la biomassa costituita da fiori ed alcune foglie.
Nel corso di questa sperimentazione, che fà parte di un progetto più ampio (nominato per ovvi motivi “la capra allegra”) volto ad analizzare gli effetti della somministrazione di cannabis da più punti di vista possibili, si è tenuto conto non solo delle produzioni di latte ma anche dell’eventuale effetto antielmintico proprio del CBD o delle altre sostanze estratte dalla pianta di cannabis. È a questo punto d’obbligo chiarire le motivazioni per cui qualche anno fa pensai che integrare la dieta degli animali da reddito con la cannabis potesse essere un’opzione interessante:
- Il considerevole contenuto di CBD, molecola che svolge varie funzioni nell’organismo tra cui antinfiammatorio, antiossidante e che sopratutto coadiuva, interagendo con il sistema endocannabinoide, il mantenimento dell’omeostasi (Lutz et al., 2015).
- Il variegato panel di terpeni, che da un lato svolgono una funzione antielmintica ed antibatterica e dall’altro sono precursori degli acidi grassi “nobili” del latte (Poulopoulou et al., 2019) tra cui il CLA.
- I polifenoli, naturalmente presenti in tutte le piante e particolarmente abbondanti nella cannabis, grazie all’accurata selezione effettuata dall’uomo. Tali molecole posseggono una spiccata attività antiossidante (Harborne et al., 1986) ed influenzano le caratteristiche aromatiche del latte (Tornambè et al., 2006).
Nella tabella 1 viene riportato il quantitativo di CBD presente nella biomassa utilizzata per lo studio (nello specifico la varietà di cannabis, fornitaci per gentile concessione dal Centro Sviluppo Canapa del Sud, -la Kompolti, coltivata in territorio campano), mentre nelle tabelle 2 e 3 vengono riportati rispettivamente il profilo terpenico e quello polifenolico:
Tabella 1. Analisi cannabinoidi.
Tabella 2. Profilo terpenico.
Tabella 3. Profilo polifenolico.
Preso atto di quanto emerso dalle indagini preliminari della biomassa, cui si sono aggiunti i risultati ottenuti dalla valutazione delle percentuali di acidi grassi della biomassa stessa (21,8% di MUFA; 48,8% di PUFA e più nello specifico 34,9% di acido linoleico e 12,6% di acido linolenico) si è provveduto alla somministrazione in vivo di tale integrazione associata alla razione consumata dagli animali durante la mungitura. Nello specifico la sperimentazione è stata portata avanti presso l’azienda agricola Funky Farm, in provincia di Frosinone, dove alcuni soggetti di un gregge di capre di razza Camosciata delle alpi sono stati suddivisi in due gruppi omogenei: il gruppo Test (T) ed il gruppo controllo (CTR). Le capre avevano inoltre partorito tutte nella seconda qundicina dello scorso febbraio e sono allevate in sistema estensivo, potendo usufruire di un pascolo misto (con varietà botaniche “classiche”, leguminose e graminacee, ed arboree tra cui rovo, leccio, prugno selvatico) con integrazione di una razione composta da avena; orzo e favino in cui è stata miscelata, per quel che riguarda il gruppo T, la biomassa di cannabis.
La quantità di latte prodotto è stata valutata su base giornaliera, mentre le analisi chimico-nutrizionali e degli acidi grassi sono state effettuate quattro volte durante il periodo del test (altri prelievi sia quantitativi che qualitativi sono stati effettuati in seguito, e sono attualmente in corso di analisi). Da tali analisi sono emersi dei dati interessanti sia per quel che riguarda la quantità prodotta che per il profilo acidico, mentre nessuna concreta variazione si è rilevata da un punto di vista nutrizionale: pare infatti evidente, e si evince dalla tabella 4 e dal grafico successivo che le capre del gruppo T in seguito ad un primo periodo di adattamento al nuovo alimento hanno mostrato un trend produttivo in salita, rispetto al gruppo CTR che partiva effettivamente da quantità di latte maggiori; per quel che riguarda gli acidi grassi invece la percentuale di CLA è risultata decisamente maggiore nel gruppo trattato (0,435 vs 0,417), così come l’acido laurico (4,32 vs 4,39) che sebbene sia generalmente identificato come possibile fattore di rischio ateroscletrotico da recenti studi risulta utile nel combattere l’insulinoresistenza e l’obesità (Di Nicolantonio J. et al., 2017; Tham Y. et al., 2020; Verma P. et al., 2020); il rapporto omega6/omega3 è risultato più alto nel gruppo T seppur nel range ritenuto favorevole per la salute umana (3,17 vs 2,93), probabile ripercussione del profilo acidico della biomassa stessa.
Dal punto di vista parassitologico invece non sono state rilevate significative differenze per quel che riguarda la carica di strongili gastrointestinali (SGI) nelle feci dei due gruppi, tuttavia nell’ambito delle prove in vitro, i cui risultati sono riportati in tabella 6 , le uova isolate di SGI sono state trattate con varie concentrazioni di CBD isolato e due derivati di cannabis (Estratto e Disitillato, entrambi forniti dal laboratorio di estrazione GIANTEC) i risultati sono stati piuttosto evidenti, arrivando in alcuni casi ad inibire la schiusa di 91 uova su 100, un risultato che lascia intendere la possibilità di riscontrare efficacia in vivo, alle giuste concentrazioni di principio attivo.
In sintesi dai risultati della ricerca pare che la cannabis possa effettivamente avere un ruolo di primo piano nell’alimentazione degli animali da reddito e che possa essere sfruttata come valido aiuto dalle aziende interessate a diminuire l’input di prodotti di sintesi volti sia a migliorare le produzioni di latte (quanti-qualitative) che la salute dei propri soggetti. Senza alcun dubbio a questa prima ricerca ne seguiranno altre, ed alcune per la verità sono già in atto, per approfondire la “conoscenza zootecnica” del tema cannabis.
Sinossi tratta dalla tesi “La cannabis nell’alimentazione della capra al pascolo: produzione quanti-qualitativa di latte e valutazioni parassitologiche” – Corso di laurea in Medicina Veterinaria dell’Università degli studi Federico II di Napoli.
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