Manca circa un mese al termine della Biennale di Venezia, la più importante fondazione culturale italiana, che dal 1895 con cadenza biennale presenta manifestazioni per tutte le sfaccettature delle arti figurative, plastiche, cinema e danza.
Quest’anno è interessante affacciarsi alla sezione architettura, per la quale sono stati chiamati artisti, ingegneri e architetti a rispondere alla domanda “How will we live together?“.
La questione riguarda l’attuale assetto planetario, e le conseguenze perpetrate da anni di individualismo e di ignoranza nei confronti delle ripercussioni sul clima, sulla fauna e sulla flora. Siamo ormai tutti consapevoli del necessario cambiamento a cui dobbiamo sottoporci, e sappiamo anche quanto il settore zootecnico sia stato posto sotto attacco dal sistema mediatico.
Alla sezione architettura il padiglione di Israele ha presentato un’installazione denominata Land.Milk.Honey. La mente vola automaticamente alla terra che stilla latte e miele decantata nella Bibbia, quella alla quale il popolo d’Israele sarebbe giunto. Ed è proprio questa l’evocazione auspicata dagli artisti, che individuano come base per il loro campo d’azione la terra palestinese, quella terra meno ricca di risorse rispetto alle aspettative. E fu così che gli Israeliani decisero di renderla una terra gloriosa e fruttuosa, sfruttandola al massimo delle sue potenzialità. L’installazione si dispone in varie sezioni, all’interno delle quali viene esaminato l’equilibrio tra l’essere umano ed il pianeta (comprendente l’ambiente e gli animali), analizzando 5 casi, ovvero 5 animali tipici del territorio: vacca, bufalo d’acqua, ape, capra e pipistrello.
Il territorio israeliano venne trasformato in un sistema rigoglioso attraverso la modernizzazione ed una urbanizzazione sfrenata, che permisero alle popolazioni di vivere e di sostentarsi con le risorse del luogo; anzi permisero persino di esportarle, ma ad un caro prezzo: la perdita di una parte della biodiversità. L’installazione si compone di varie parti, tra cui emblematico è sicuramente l’armadio in acciaio inox molto somigliante a quello di un obitorio, dove dei pannelli si aprono e mostrano animali estinti, o il cui habitat è stato totalmente modificato, e la riproduzione in metallo di una stalla compost barn.
L’autocritica israeliana è forte, e riguarda l’agricoltura e l’allevamento, portati all’estremo per ottenere abbondanza e ricchezza. Quello che risulta dall’installazione è un mea culpa generale, un’espressa consapevolezza di perdita dell’equilibrio nella relazione animali – essere umano – natura, eppure stona con il modello zootecnico israeliano. Infatti, l’allevamento della bovina da latte praticato in Israele è uno di quelli più all’avanguardia con un modello chiamato compost barn, tramite il quale le bovine godono di estrema libertà di movimenti, oltre che di spazi ampi e puliti, e di tutta una serie di accorgimenti che lo rendono ottimale per la qualità della vita di questi animale.
Sorge allora spontaneamente la domanda di rimando alla questione posta dall’installazione stessa, il cui intento è dimostrare che l’azione di modernizzazione e massimizzazione dei profitti ha portato ad uno squilibrio tra essere umano, fauna e flora. Quale può essere la risoluzione a questo sbilanciamento, a questa perdita di biodiversità, se anche uno dei migliori sistemi di allevamento è fallace?
Per saperne di più sull’installazione, è possibile visitare qui la pagina dedicata al padiglione di Israele sul sito della Biennale di Venezia.
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