Abbattimento dell’ammonio da digestati e reflui zootecnici con recupero di fertilizzante di pregio. Verso la nutrient farm.

Uno dei mantra più frequentemente udibili in questa fase storica particolarmente effervescente sotto il profilo ambientale riguarda la ciclizzazione delle attività economiche umane (la c.d. “circular economy”). I caposaldi della circular economy sono così semplici ed intuitivi da poter essere compresi da chiunque: riciclare gli scarti, recuperare quanto più materiale possibile, ridurre al massimo gli sprechi, fare in modo che gli scarti non siano più considerati rifiuti di cui disfarsi (il c.d. “end-of-waste”) così da reindirizzarli nelle catene di valore, e ridurre i flussi alto-entropici che portano a conferimenti indesiderabili dal punto di vista ambientale, come quelli dei rifiuti solidi che vanno nelle discariche o nei termovalorizzatori (e da qui in atmosfera).

La circular economy è oramai parte integrante del “New Deal” ambientale ed è stata già consacrata dall’adozione, nel Marzo 2020, da parte della Commissione Europea, del new Circular Economy Action Plan (CEAP), che rappresenta uno degli architravi dello European Green Deal, la nuova agenda europea per la crescita sostenibile, concepita per ridurre la pressione sulle risorse naturali creando così una crescita sostenibile e nuovi posti di lavoro qualificati.

L’iniziativa intrapresa dalla Commissione europea non può che essere accolta favorevolmente, in quanto la promozione della circolarizzazione dei processi produttivi assicura la prevenzione nella produzione di rifiuti, l’allontanamento dal pericoloso paradigma “take-make-use-dispose” (usa-e-getta) e l’approdo al modello di crescita rigenerativa (regenerative growth model) “take-make-use-reuse”, così da mantenere il consumo di risorse entro i limiti di sostenibilità del pianeta (planetary boundaries) e la capacità portante degli ecosistemi (carrying capacity).

Così, mentre l’attuale economia lineare aumenta incessantemente la domanda di risorse naturali a disponibilità limitata, l’adozione di modelli economici produttivi e di consumo più circolari porta ad una sostanziale riduzione degli impatti delle attività antropiche sull’ambiente, salvaguardando al contempo la biodiversità, dato che ben il 90% della sua perdita si stima sia causata dal consumo di risorse e dalla loro trasformazione industriale.

Gli obiettivi che si pone l’EU sono (come al solito) molto ambiziosi, dato che si punta al raddoppio della velocità di ricircolo d’uso (circular use rate) entro il 2030 con l’attivazione di catene di valore più resilienti.

Quindi, non si può che elogiare la CEAP dell’EU, tenendo anche conto dell’aspetto bio-mimetico del nuovo modello proposto, da considerare, come spiegheremo più diffusamente in seguito, un virtuoso tentativo di implementare modelli naturali in contesti socio-produttivi antropici. Tuttavia, e questo è un aspetto in cui prevale il realismo a scapito delle “magnifiche sorti e progressive” euro-comunitarie, la ciclizzazione in natura non è gratuita ma necessita di un consistente apporto energetico. Approfondiremo anche questo aspetto più avanti.

In questo articolo parleremo dei cicli biogeochimici in natura.

La vita sulla Terra dipende dalla mobilizzazione degli elementi chimici essenziali per la vita, essenzialmente carbonio, azoto, fosforo, zolfo che ritroviamo nelle macromolecole che costituiscono le nostre strutture cellulari e che intervengono nei processi che presiedono alla vita (come ad esempio quelli enzimatici o fotosintetici), seguendo percorsi caratteristici che risultano avere un tipico carattere di circolarità.

Un’altra caratteristica fondamentale di questi processi è che tali elementi (che chiameremo nutrienti, proprio perché alimentano la possibilità che gli organismi rimangano in vita) si muovono passando da un comparto di riserva inanimato (tipicamente abiotico o minerale) ad uno di scambio attivo dominato dalla presenza degli organismi viventi.

Nel primo comparto gli elementi chimici sono segregati in un pool di riserva (tipici esempi sono il pool sedimentario della crosta terrestre o quello idrosferico degli oceani, dei fiumi o degli altri corpi idrici), nell’altro, che chiameremo pool circolante, essi invece sono maggiormente mobili ed entrano nei flussi metabolici e cellulari degli organismi viventi. Tali concetti sono molto familiari agli agronomi. In agronomia, infatti, la parte attiva e circolante del pool di nutrienti è definita “pool scambiabile” e rimanda alle tecniche di chimica agraria usate, per l’appunto, per misurare la concentrazione dei nutrienti scambiabili, indispensabile all’agronomo per misurare la fertilità dei suoli.

Quindi, nel caso dei processi di circolarizzazione della materia che avvengono nell’ecosfera, parliamo di cicli biogeochimici, nel senso che gli scambi di materia avvengono tra una componente vivente in cui si ha uno scambio attivo (“bio”) e una non vivente essenzialmente di riserva (“geo”).

Da evidenziare che mentre i materiali possono avere flussi e movimenti ciclici, l’energia, al contrario, può avere solo un flusso unidirezionale (un po’ come il tempo) anche se, come abbiamo visto negli articoli sul biogas “Gas farm e Nutrient farm: due concetti da approfondire- Prima Parte“, Gas farm e Nutrient farm: biogas, una tecnologia promettente con origini antiche – Parte Seconda“, “Gas farm e Nutrient farm: il minireattore ABR per la produzione di biogas su piccola scala- Parte Terza“, può esserci una parziale eccezione nel caso del recupero di energia chimica potenziale per la produzione di biogas. Ad ogni modo, per le leggi della termodinamica, qualsiasi flusso energetico è dissipativo e non può “tornare indietro” a rigenerare l’energia persa.

Come accennato precedentemente, è importante evidenziare che la ciclizzazione della materia deve essere supportata da input di energia sussidiaria e dalla dissipazione di energia a partire da fonti quali la materia organica, la radiazione solare o i combustibili fossili. Ad esempio, input di energia meccanica sono necessari alle maree, ai venti o ad altre forze erosive per mobilizzare le forme minerali di N, P o C dal suolo (oppure dalle rocce) all’idrosfera. Analogamente, input di energia termica fornita dagli incendi consentono la liberazione di N e C in atmosfera (sotto forma, rispettivamente, di ossidi di azoto e CO2 o composti volatili organici), che poi sono riportati sul suolo o sull’idrosfera grazie all’energia cinetica delle deposizioni atmosferiche (che poi è una conversione particolare dell’energia termica). Oltre a questi esistono innumerevoli altri processi energivori naturali che rendono possibile la circolarizzazione della materia.

Quindi duole appannare l’immagine un pò perentoria e un pò romantica delle “magnifiche sorti e progressive” prospettateci dai Commissari europei, ma bisogna realisticamente comprendere ed accettare il fatto che il riciclo non è un servizio gratuito in quanto vi è sempre un costo energetico. La circular economy ha un prezzo. Bisogna vedere se questo prezzo sarà ripagato da un vantaggio che sarà in primis ambientale e solo in secundis economico (secondo gli schemi dell’economia di mercato classica, beninteso).

Quindi l’abilità del circular user sta nel minimizzare questi costi sussidiari valorizzando al massimo il risultato (ambientale ed economico) del riciclaggio o del recupero che dir si voglia.

La natura, ancora una volta, ci offre esempi di grande successo di processi circolari perfettamente ottimizzati, come nel caso del ciclo del detrito e della decomposizione della sostanza organica.

La fertilità dei suoli infatti è assicurata da una nicchia di piccoli animali di vario tipo (protozoi, acari del suolo, anellidi, collemboli, nematodi, ostracodi, coleotteri, ecc…) che operano una degradazione e un riarrangiamento molecolare della materia organica morta (detrito). Tale complesso di organismi (che prendono appunto il nome di detritivori), pur spendendo una quota considerevole di energia, migliorano enormemente le funzioni dell’ecosistema, grazie allo svolgimento di processi di recupero biochimici lunghi e complessi attraverso cui vengono formate nuove tipologie di composti chimici altamente elaborati dal punto di vista molecolare e di notevole pregio ecologico (potremmo dire ad “alto valore aggiunto”).

Un esempio sono le sostanze umiche, complessi macromolecolari derivanti dalla condensazione di composti aromatici e fenolici, che operano la chelazione dei metalli pesanti, ovvero la loro complessazione in una sorta di bloccaggio (da qui il termine “chela”) in una forma organicata, così da renderli meno tossici rispetto alla forma libera inorganica.

Un ulteriore esempio di prodotti ad altro valore aggiunto derivanti dall’attività riciclatrice dei detritivori sono i c.d. metaboliti secondari, composti che possono avere attività stimolante o regolatoria (c.d. ormoni ambientali) come, ad esempio, la tiamina, la biotina, l’istidina ed altre vitamine ed aminoacidi, oppure inibitoria (antibiotici, molecole complesse allopatiche, ecc…).

Così, in buona sostanza, alla stregua di quello che fanno i riciclatori naturali, anche il riciclatore tecnologico dovrà stare molto attento a fare i conti e verificare che il prodotto del riciclaggio, con l’energia spesa per otteneralo, abbia un suo effettivo valore aggiunto.

Alcuni esempi di vie del riciclo naturali che possiamo menzionare sono il ciclo dell’N, il ciclo del P e il ciclo del C.

L’intervento su questi ultimi 3 cicli viene attuato per mezzo di un processo di abbattimento e recupero dei nutrienti da reflui liquidi superazotati con la formazione di struvite (MAP) sviluppato dalla società Sereco-Biotest (SERMAP) e di cui parleremo più diffusamente più avanti. Per il C interviene un’altra tecnologia di recupero (seppure di carattere energetico), quella del biogas, della quale abbiamo diffusamente parlato negli articoli precedenti riguardanti il biogas.

Nel prossimo articolo parleremo del Nutrient Use Efficiency per una fertilizzazione sostenibile.

 

La saggezza della natura è tale che ella non produce niente di superfluo o inutile – Copernico

 

Autori

Dott. Luca Poletti, Ing. Alessandro Toccaceli, Dott. Agr. Roberto Poletti

Sereco Biotest Studi e Ricerche Ambientali, Via Balbo 7, Perugia.