L’agroalimentare italiano, che solo qualche settimana fa festeggiava il superamento dello storico traguardo dei 50 miliardi di euro, deve ora fare i conti non solo con l’incremento dei costi di produzione ma anche con il conflitto apertosi tra Russia e Ucraina.
Come sottolinea l’Ismea in una breve analisi sull’argomento, lo scoppio del conflitto si è innanzitutto inserito in un contesto di tensioni sui mercati dei cereali come non si vedeva dalla precedente crisi dei prezzi del 2007-2008.
La repentina ripresa della domanda mondiale dopo la prima ondata pandemica e i problemi organizzativi che questa ha determinato nei principali scali mondiali hanno comportato gravi rallentamenti delle catene di fornitura globali, con aumenti vertiginosi dei costi dei trasporti e dei noli dei container. L’escalation degli ultimi giorni al confine ucraino, culminata con l’invasione avvenuta il 24 febbraio, ha innescato ulteriori tensioni sui prezzi di tutte le materie prime comprese quelle agricole, sia come diretto riflesso del ruolo dell’Ucraina e della Russia nelle forniture globali di grano e mais, sia indirettamente come risposta dei mercati all’instabilità politica e alle incertezze conseguenti agli effetti delle sanzioni. In un tale contesto di incertezza, trovano ampia diffusione fenomeni speculativi.
Le tensioni sono state quindi scatenate da un insieme di fattori di tipo congiunturale, geopolitico e non ultimo speculativo, che rendono l’Italia particolarmente vulnerabile in ragione dell’alto grado di dipendenza dall’estero per gli approvvigionamenti di grano e mais.
L’altra faccia del problema è rappresentata dalle esportazioni che vedono l’Italia tra i principali fornitori di Mosca di prodotti agroalimentari, addirittura al primo posto per gli invii di vini e di spumanti, prodotti fino a questo momento risparmiati dalle restrizioni commerciali varate da Mosca nel 2014.
Dall’analisi di Ismea, frumento tenero, frumento duro e mais hanno raggiunto in Italia e all’estero quotazioni mai toccate prima, mentre il mercato dei futures alla borsa di Chicago manifesta una fortissima volatilità. Non tutto è però riconducibile direttamente alla guerra e soprattutto le dinamiche alla base della fiammata variano da prodotto a prodotto.
Grano duro
Il grano duro ha raggiunto in Italia il suo prezzo massimo a dicembre 2021, e in questo caso a pesare sull’instabilità dei mercati è soprattutto il vuoto d’offerta che si è creato dopo il crollo dei raccolti in Canada (-60%), principale esportatore mondiale, causato da una eccezionale siccità, e il calo di altri importanti Paesi produttori. Questo ha portato ad uno squilibrio tra domanda e offerta.
L’Italia è il secondo produttore al mondo di grano duro, ma anche il primo consumatore e importatore mondiale, per soddisfare il grande fabbisogno dell’industria pastaria nazionale. In base alle rilevazioni Ismea, i prezzi nazionali all’origine del frumento duro hanno continuato a crescere in maniera costante e continuativa a partire dal 2020 fino a raggiungere, a febbraio, come media delle prime tre settimane, una quotazione mai vista prima: 529,96 €/ ton, superiore alla quotazione massima registrata durante la precedente crisi dei prezzi a cavallo tra il 2007 e il 2008 (494,15 €/ton registrate a febbraio 2008).
Nelle forniture globali di grano duro, il ruolo dei Paesi direttamente coinvolti dal conflitto oppure rientranti geograficamente o politicamente nell’orbita russa è praticamente inesistente, essendo la produzione concentrata soprattutto in Europa, Canada, Usa, Turchia e Algeria, al netto dei circa 10 milioni di euro in controvalore esportati dalla Russia verso il nostro Paese. Su questo fronte, le prospettive dipenderanno sostanzialmente da ciò che accadrà con il prossimo raccolto sia in Italia sia negli altri paesi produttori, Canada in primis.
Frumento tenero
Diverso è il caso del frumento tenero, dove la quota russa e ucraina sulla produzione mondiale arriva al 14% (16% se consideriamo anche il Kazakistan), e la situazione di instabilità si sta riverberando in maniera decisa sulle principali piazze di scambio internazionali e sui mercati dei futures. Tuttavia, il peso dell’export di frumento tenero russo e ucraino incide sulle importazioni italiane del prodotto solo per il 6% in volume nel 2020.
Non si ravvisa al momento una situazione di squilibrio tra domanda e offerta. A un aumento della domanda mondiale (+1,6%) è infatti corrisposto anche un aumento dell’offerta (+1,3%) e la riduzione degli stock globali appare oggi del tutto trascurabile.
Ciononostante, la fiammata dei prezzi sta interessando negli ultimi mesi le principali piazze di scambio mondiali, con ulteriore forte volatilità registrata sui mercati dei futures di marzo del Chicago Board of trade sotto la spinta dell’invasione russa in Ucraina. Il mercato attualmente appare molto instabile; lo scorso 25 febbraio 2022, alla Borsa merci di Chicago, la quotazione del grano tenero in consegna a marzo è salito di quasi 17 €/ton in un giorno e 44 €/ton in soli 4 giorni; mentre gli scambi a luglio 2022 sono quotati su livelli leggermente inferiori. Le quotazioni, sempre in consegna a marzo, del giorno successivo 26 febbraio 2022 sono scese di 28 €/ton su base giornaliera e quelle del 28 febbraio hanno lievemente recuperato di 2,5 €/ton.
In Italia in base alle rilevazioni Ismea che ancora non considerano l’ultima settimana di febbraio, la quotazione più alta risale a dicembre 2021 con 325,63 € /ton, valore comunque mai toccato prima nella serie storica di Ismea che parte da gennaio 1993. Nelle prime tre settimane di febbraio il prezzo si è attestato invece mediamente a 316,85 € /ton.
Mais
Per quanto riguarda il mais, l’offerta mondiale risulta in crescita, nel 2021, del 6% rispetto al 2020, unitamente al livello degli stock (+1,3%) ma è la domanda cinese, oltre ai generalizzati problemi di logistica e dei relativi costi, che sta inducendo tensioni sui mercati interazionali con relativi incrementi dei prezzi.
Secondo le quotazioni dello scorso 25 febbraio alla Borsa merci di Chicago, il listino del mais di marzo è balzato di ulteriori 4,4 €/ton rispetto al 24 febbraio (+1,8%), accumulando un incremento complessivo di quasi 16 euro negli ultimi 4 giorni. Anche per il mais, gli scambi a luglio 2022 sono quotati su livelli leggermente inferiori. Anche in questo caso, nel successivo 26 febbraio, le quotazioni a marzo sono scese di 13 €/ton su giorno precedente, mentre quelle del 28 febbraio hanno recuperato poco più di 2 €/ton retto la precedente quotazione.
In Italia, i listini di mais hanno registrato una decisa tendenza al rialzo a partire da ottobre 2020, raggiungendo il picco nelle prime tre settimane di febbraio, con 281,54 €/ton valore mai rilevato da Ismea neanche nelle fasi più acute delle crisi dei prezzi tra il 2007 e il 2008 quando si raggiunse il valore massimo di 236,48 €/ton.
Con riferimento all’area interessata dal conflitto e, all’Ucraina in particolare, è da segnalare che questo paese è il nostro secondo fornitore dopo l’Ungheria, con una quota di poco superiore al 20% sia in volume che in valore. Una situazione, questa, che suscita qualche preoccupazione vista la consistente riduzione della produzione interna di mais (-30% negli ultimi 10 anni) e la ormai strutturale dipendenza degli allevamenti dal prodotto di provenienza estera (tasso autoapprovvigionamento italiano pari al 53% contro il 79% nel 2011).
Scambi Commerciali
Con riferimento ai paesi direttamente interessati dal conflitto in atto, o riconducibili politicamente o geograficamente all’orbita russa, l’incidenza delle loro importazioni di prodotti agroalimentari sugli scambi mondiali supera di poco il 3%, di cui la quota preponderante (2%) è da ricondurre alla sola Russia. Poco più rilevante è il peso complessivo nell’export di prodotti agroalimentari mondiali, pari al 3,7%. Anche in questo caso, il 2% è riconducibile alla sola Russia.
In relazione all’interscambio tra l’Italia – Ucraina il nostro Paese è il secondo fornitore di prodotti agroalimentari di Kiev e al decimo posto tra i paesi clienti. Esportiamo soprattutto prodotti ad alto valore aggiunto come vino, caffè, pasta anche se la voce più rilevante è il tabacco da masticare o da fiuto. Il nostro Paese acquista dall’Ucraina soprattutto oli grezzi di girasole, mais (il 13% in volume delle forniture provenienti dall’estero nel 2020) e frumento tenero (5%).
Relativamente agli scambi agroalimentari con la Russia, l’Italia è il settimo fornitore di Mosca mentre il nostro ruolo tra i paesi acquirenti è del tutto trascurabile (33ma posizione). Anche in questo caso esportiamo soprattutto vini e spumanti, caffè, pasta.
Fertilizzanti
Rimanendo in ambito agricolo ma esulando dai prodotti prettamente agroalimentari è da sottolineare la rilevanza della Russia nella produzione ed esportazione dei fertilizzanti. La Russia, infatti, è il primo esportatore a livello globale di fertilizzanti con 6,1 miliardi di euro nel 2020 (13% del totale export mondiale). L’Italia, tuttavia, è un mercato di destinazione della Russia poco rilevante, posizionandosi in quarantottesima posizione tra gli acquirenti, con poco più di 24 milioni di euro acquistati nel 2020 (il 5% circa degli acquisti nazionali di fertilizzanti nel 2020).
Il documento di Ismea può essere scaricato qui:
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