Gli allevatori di bovine da latte in particolare, e più in generale di ruminanti, stanno attraversando un periodo piuttosto negativo, e con essi buona parte dell’indotto. Il mancato adeguamento proporzionale del prezzo del latte bovino alla stalla a fronte di un aumento dei costi principalmente d’alimentazione sta causando un aumento del livello d’indebitamento verso i fornitori e verso gli Istituti di credito.
Ridurre i costi d’alimentazione senza compromettere la salute e la fertilità delle bovine oggi è più difficile rispetto a ieri. Fino ad alcuni anni fa il costo del punto proteico, di amido e di grasso era piuttosto variabile tra una materia prima e l’altra, e il numero di alimenti zootecnici presenti sul mercato era piuttosto elevato. L’introduzione del severo, e comunque alquanto condivisibile, limite di 50 ppt di aflatossina M1 nel latte ha di fatto spazzato via alimenti in passato ampiamente utilizzati. Inoltre, il lungo periodo di prosperità e di ricerca della prestazione tecnica piuttosto che di quella economica ha scoraggiato la parsimonia e l’utilizzazione dell’ottimizzazione per fare le razioni degli animali, e quindi alimenti come il mais granella e la farina d’estrazione di soia hanno nettamente prevalso nelle diete. L’ottimizzazione è un calcolo che può fare solo un software che permette, a fronte di una accurata definizione degli specifici fabbisogni nutritivi di una determinata fase produttiva, di scegliere e dosare le materie prime preselezionate dal nutrizionista in funzione del costo dei loro singoli nutrienti. La presenza nelle prime voci delle materie prime dei cartellini dei mangimi industriali del mais e della soia è stata consacrata alla quasi unanimità come un valore da parte di allevatori e nutrizionisti.
Il mercato delle commodity agricole, ed in particolare dei “sottoprodotti”, è stato sempre molto volatile, ma il sommarsi di una pandemia, di una guerra e della siccità sta spaventando un sistema non più organizzato per gestire un periodo di crisi ormai lungo quasi due anni. In queste ultime settimane, in coincidenza dei venti di guerra, si sta presentando anche il problema di reperimento di alcune materie prime, complice anche lo stato di agitazione dei trasportatori che fanno ormai fatica a sopportare l’impennata dei costi del carburante.
In questi momenti così difficili è saggio mantenere i “nervi saldi” e modificare le razioni per cercare di contenere i costi sapendo bene cosa si sta facendo. Propedeutico a tutto ciò è seguire con attenzione il mercato delle materie prime quotate sia alla Borsa Merci di Bologna che alla Borsa Merci di Milano. Inoltre, è buona norma conoscere la disponibilità di sottoprodotti che si possono realmente reperire nel luogo dove è ubicato l’allevamento e che possono variare molto da regione a regione.
Il metodo che vi consigliamo è sicuramente quello di affidarvi al vostro nutrizionista di fiducia che, in funzione del tipo di razione che state utilizzando, potrà valutare tramite i software di nutrizione la soluzione più idonea. Spetta però all’allevatore saper confrontare una materia prima con l’altra, sapendo calcolare il costo del punto proteico o di amido di ogni alimento potenzialmente utilizzabile per confrontarlo con quelli della granella di mais e della farina di estrazione di soia.
A titolo d’esempio, il costo del mais non comunitario quotato alla Borsa di Milano del 15 Marzo 2022 è stato di 445 euro/tonnellata, reso franco Milano e Iva esclusa. Il mais granella ha il 71% di amido sulla sostanza secca. Dividendo il prezzo di 100 grammi di granella di mais per 71 (0.045 /71) si ottiene il costo di ogni punto percentuale di amido del mais (0.006). Il farinaccio di frumento tenero in quella stessa borsa merci è stato quotato 327 euro/ton. Nell’ipotesi che abbia il 42% di amido, il costo di ogni punto di amido di questo sottoprodotto è di 0.007 euro e quindi superiore a quello del mais nel corso della seduta del 15 Marzo della Borsa Merci di Milano. Pertanto, una sostituzione di tutto o parte del mais con farinaccio di grano tenero non porterebbe vantaggi economici, anche se la concentrazione proteica del farinaccio è quasi il doppio (15.8%) rispetto a quella del mais (8.2%). Sarà il nutrizionista a fronte delle sue conoscenze sulla degradabilità delle fonti di amido e del bilanciamento amminoacidico delle due materie prime che si stanno confrontando a decidere il da farsi.
Relativamente alle fonti proteiche, è la farina d’estrazione di soia ad essere il gold standard a causa del suo buon bilanciamento amminoacidico e della sua digeribilità.
La Borsa Merci di Milano del 15 Marzo 2022 ha quotato la soia tostata decorticata estera OGM 653 euro/ton. Considerando che la sua concentrazione proteica, sulla sostanza secca, è di circa il 52%, il valore di un punto proteico da soia è di 0.0012 euro. Nelle zone dove essa si può utilizzare, un naturale competitor della soia è la farina d’estrazione di colza. Questa è quotata ora a Milano a 529 euro/ton ed ha una concentrazione proteica di circa il 42% di proteina. Il valore economico del punto proteico della colza f.e. è pertanto 0.0012 ed è quindi identico a quello della soia f.e.
Queste simulazioni manuali possono essere fatte per confrontare altri alimenti e altri nutrienti con il mais e la soia, ma anche con i “nobili” apportatori di fibra come le buccette di soia e le polpe di barbabietola, o di grassi come la soia integrale, il seme di cotone e i grassi rumino-protetti.
Vista la complessità dei fabbisogni nutritivi degli animali e il grande numero di nutrienti di cui si conosce il fabbisogno, è bene partire sempre da razioni standard per poi affrontare l’ottimizzazione dei mangimi. In questo modo si riescono anche a prevedere e quantificare eventuali perdite sanitarie, riproduttive e produttive dall’adozione di alimenti diversi dall’usuale, e dare un valore oggettivo ai sottoprodotti che speriamo di rivedere copiosi come in passato.
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