La pandemia e la guerra ci hanno drammaticamente tirato un secchio d’acqua gelida in faccia rendendoci finalmente consapevoli di quale leggerezza sia stata affidare i due asset strategici delle commodity agricole e dell’energia a paesi dove la democrazia è solo sulla carta. Questo ovviamente non significa minimamente che vanno chiusi i confini alle importazioni, perché l’Italia è sì un importante importatore di materie prime ma è anche un grande esportatore di manufatti e di prodotti agroalimentari di pregio. In pratica la nostra specialità è quella di dare un valore aggiunto, anche notevole, a delle materie prime di cui siamo strutturalmente carenti.

Una politica di protezionismo, oltre a non essere ammissibile nell’ambito della Comunità europea, sarebbe per la nostra economia e l’occupazione una scelta disastrosa. Osservando il contenuto della tabella realizzata da ISMEA, riportata di seguito, si può valutare in valore assoluto la percentuale di autoapprovvigionamento nazionale delle principali commodity agricole e di alcuni prodotti agroalimentari. Il settore lattiero-caseario sta rapidamente raggiungendo l’autosufficienza, mentre siamo ancora molto dipendenti dall’estero per le carni bovine, ovicaprine e suine, e per alimenti importanti come il mais, il frumento e l’orzo. Nell’analisi di ISMEA non è stata riportata la soia, perché sarebbe stato superfluo visto che paesi americani come USA, Brasile e Argentina producono l’82% della soia mondiale e l’Europa solo lo 0.7%.

Per capire se, e di quanto, l’Italia può crescere nell’autosufficienza delle merci di cui stiamo parlando, basta comprendere alcuni dati. Il nostro Paese dispone di una superficie totale di 302.073 km2 distribuiti per il 41.6% in collina, il 35.2% in montagna e il 23.2 % in pianura. La SAU (superficie agricola utilizzata) è in costante calo. Ad oggi si stima essere di 12.800.000 ettari. Ovvio è che stimolare le coltivazioni agricole e l’allevamento deve essere fatto certamente attraverso un piano agricolo e zootecnico nazionale che tenga contro della grande differenza che c’è tra pianura, collina e montagna. Ognuna di queste tre tipologie altimetriche ha tipi di coltivazioni e allevamento ideali, e necessariamente diversi. Un grosso ostacolo all’aumento del grado di autoapprovvigionamento agroalimentare è il consumo del suolo. La “cementificazione“, oltre a ridurre il sequestro del carbonio e la biodiversità, sottrae costantemente terre coltivabili all’agricoltura e all’allevamento. Si stima che negli ultimissimi anni ci sia una riduzione del suolo ad un ritmo di 15 ettari al giorno a fronte di una stagnazione, anzi di una diminuzione, della popolazione Italiana, ormai in calo dal 2015 e assestata, compresa l’immigrazione, poco sopra i 58 milioni di abitanti. L’iter legislativo per regolamentare il consumo del suolo pare non stia evolvendo, e per ragioni molto complesse da comprendere.

Velocità del consumo di suolo giornaliero netto. Fonte: elaborazioni ISPRA su cartografia SNPA.

Politiche regionali atte a stimolare direttamente e indirettamente piani mirati di sviluppo agricolo e zootecnico, coerenti con una PAC ormai da rimodulare, potrebbero in tempi relativamente brevi aumentare le produzioni agricole e zootecniche italiane.

Un modo per stimolare il recupero di superfici agricole abbondante nelle cosiddette aree interne o marginali italiane è anche quello di remunerare (non sovvenzionare) i servizi agrosistemici che gli allevatori e gli agricoltori possono fornire, come la riforestazione, la prevenzione degli incendi, il recupero dei pascoli e la salvaguardia delle tradizioni. La riqualificazione delle aree collinari e montane deve passare anche da un legge, non certo popolare, che renda indivisibile la terra agricola, seguendo e aggiornando il modello dei masi chiusi altoaltesini.

Non dimentichiamoci che la zootecnia, e più in generale l’agricoltura, possono contribuire in maniera sensibile alla produzione di energia attraverso l’agrivoltaico e gli impianti di biogas e biometano. E’ vero che ci troviamo ora nella confluenza di tre eventi disastrosi, ovvero una pandemia, una guerra e una siccità, e che è a rischio l’approvvigionamento del cibo e dell’energia, ma ciò non può in nessun modo giustificare un allentamento delle misure volte al contenimento della produzione di gas climalteranti, e di tutela della salute pubblica, della biodiversità e dell’ambiente.