Sul fronte dell’export dei prodotti del latte i dati dimostrano che andiamo a gonfie vele. Nel 2021, il valore delle esportazioni dei formaggi ha raggiunto i 3.6 miliardi di euro, con una crescita del 12.3% e del 10.6% rispettivamente per il valore e per i volumi, rispetto al 2020. Significativo è che chi apprezza la nostra arte casearia sono specialmente i ricchi paesi occidentali ed economie asiatiche importanti come la Cina e il Giappone.
Di questi numeri c’è solo da gioire e ringraziare gli allevatori che fanno un buon latte, gli industriali che lo sanno trasformare e i Consorzi di Tutela lo sanno valorizzare. Il nostro Paese è particolarmente forte nell’export dei prodotti a Indicazione Geografica, dove la catena del valore è ben distribuita lungo la filiera.
In questi ultimi due anni siamo stati alle prese con un’emergenza dietro l’altra. Si fa quindi oggettivamente fatica a darsi delle priorità e a seguire con la dovuta attenzione tutti i possibili fronti di crisi aperti, o forse di fisiologica mutevolezza delle cose.
Quello di cui si parla oggettivamente poco è l’andamento dei così detti consumi domestici, ossia interni.
La gigantesca locomotiva economica cinese ha messo a segno una crescita del PIL del 4.5% nel primo trimestre del 2022 e il valore dell’export sembra non conoscere limiti. Nonostante questo, c’è in Cina una forte preoccupazione per il fatto che il consumo domestico non cresce quanto si vorrebbe, perché questo aspetto è la vera spina dorsale economica di una nazione.
Un sostenuto consumo nazionale è garanzia di occupazione, di afflusso di tasse e di stabilità, perché come abbiamo visto prima con il COVID-19 e poi con la guerra in Ucraina, da un giorno all’altro possono saltare gli equilibri economici e finanziari internazionali rendendo pericolosamente fragili quelle nazioni che dipendono troppo sia dall’export che dall’import, specialmente se hanno un basso livello di consumi domestici.
Come ben evidenziato nel grafico sottostante elaborato da ISMEA, è dal 2016 che si nota un calo costante nei consumi dei formaggi. A causa del lockdown, e quindi della pressoché chiusura del canale Ho.Re.CA e la crescita dei consumi in famiglia, si è avuta l’illusione che nel 2020 ci fosse un calo di tendenza e una decisa riprese del mercato nazionale.
Nel grafico successivo, sempre di ISMEA, si vede chiaramente una variazione positiva nel confrontare i consumi dei prodotti del latte dell’anno 2020 con il 2019, per quasi tutte le tipologie, ad eccezione del latte fresco. Di segno opposto le variazioni degli acquisti se si confronta il 2021 con il 2020, con una ripresa del trend negativo a cui eravamo abituati da anni.
ISMEA commenta questi dati affermando: “In netta flessione la spesa per i prodotti lattiero-caseari che, su un giro d’affari di circa 11 miliardi di euro nel 2021, perde il 4,1% rispetto all’anno precedente. Una brusca diminuzione sia dei volumi che della spesa investe tutti i prodotti del comparto, ma è ancora una volta il latte a evidenziare le maggiori difficoltà; infatti, mentre per gli altri prodotti la tendenza negativa è solo un riassestamento dopo gli anomali incrementi del 2020, per il latte fresco si tratta dell’ennesimo calo consecutivo che, associato alla contrazione dell’UHT, mette in luce nel 2021 un calo di acquisto di latte pari a circa 126 milioni di litri rispetto al 2020. Tra le varie referenze afferenti al latte, solo l’“UHT alta digeribilità parzialmente scremato” si posiziona in terreno positivo (+2% rispetto al 2020 e ben il +20% rispetto al 2019) a significare che non è solo il ritorno alle colazioni al bar a pesare sul comparto, quanto uno stile di consumo tendenzialmente salutistico. Per tutte le categorie merceologiche si rilevano aumenti di prezzo tra 1,5% e 2,5%. In contrazione ma ancora su livelli superiori a quelli del 2019 i valori di spesa per i formaggi, tra i quali si sottolinea la buona performance dei freschi (rappresentati in buona parte dai latticini) che pur perdendo il 3,2% confermano un avanzamento del 10% rispetto al periodo pre-Covid. Bene anche i duri che pur vedendo la spesa in flessione del 2,7%si confermano su valori superiori del 6% rispetto al 2019. Sia per i formaggi freschi che per i duri i prezzi medi sono in aumento dell’1,5%”.
E’ vero che la nostra Italia ha priorità più importanti a cui pensare prima di occuparsi “strutturalmente” dei consumi domestici dei prodotti del latte, ma mi permetto di dire che una classe politica degna di governare il nostro Paese dovrebbe imparare l’arte raffinata del multitasking. Potrebbe trovare il tempo riducendo al minimo “sindacale” la ricerca del consenso della “pancia” degli italiani e investendo di più sia in cultura tecnica che umanistica.
L’elenco delle ragioni per cui sempre più gente si allontana dai prodotti del latte è lungo ma non lunghissimo. Le motivazioni sono sia etiche che salutistiche, e molte di queste si sono radicate nell’opinione pubblica grazie a compagne di comunicazione dell’industria e dei Consorzi di Tutela fortemente ingannevoli. Gli aspetti salutistici sono molto più complessi da affrontare, ma non si può rimandare ancora. Se i medici sono convinti che bere il latte e consumare i formaggi faccia male, e che comunque questi prodotti vadano utilizzati solo in piccole quantità e poche volte a settimana una ragione ci sarà, e va analizzata con profondità e attenzione perché dietro la vox populi c’è sempre una verità. Cercare di soffocare le opinioni altrui, rispondere alle fake news con altre fake news o ridicolizzare i vegani, non solo non serve a nulla ma può essere anche controproducente, e i risultati li abbiamo davanti agli occhi, almeno di chi vuol vedere.
Scrivi un commento
Devi accedere, per commentare.