Lo sviluppo dei programmi di miglioramento genetico (MG) ha permesso un incremento delle performance produttive degli animali di interesse zootecnico. Tuttavia, il processo di MG ha ridotto la variabilità all’interno della popolazione stessa portando di fatto ad un incremento del livello di consanguineità.

Elevati livelli di consanguineità (inbreeding) rappresentano un fattore negativo che può portare, oltre che ad una riduzione delle performance produttive e riproduttive, anche all’aumento di morbilità e mortalità. Questo fenomeno è conosciuto anche con il nome di depressione da consanguineità (inbreeding depression) e per poter evitare le conseguenze sopra citate i livelli di inbreeding all’interno della popolazione devono essere tenuti sotto controllo.

I livelli di consanguineità possono essere stimati attraverso dei coefficienti calcolati a partire dai pedigree delle popolazioni; tuttavia, questo approccio potrebbe portare a delle stime incorrette a causa della presenza di errori nel pedigree o causa della totale o parziale mancanza di informazioni. Le nuove tecnologie nel campo della genomica permettono di bypassare questo tipo di problematica; infatti, attraverso la genotipizzazione degli animali, è possibile ricavare dati genomici che consentono di poter stimare in maniera più accurata i livelli di consanguineità e i coefficienti di inbreeding. Una metodica molto utilizzata a tale scopo sono le regioni di omozigosi (Runs of Homozygosity, ROH) che rappresentano segmenti di genoma privi di eterozigosi. Tramite il rapporto tra la lunghezza totale delle ROH e la lunghezza totale del genoma si ottiene un indice che rappresenta il coefficiente di consanguineità (FROH). Questa stima può essere anche ottenuta a livello di singolo cromosoma, per cui il calcolo del coefficiente sarebbe il rapporto tra la lunghezza delle ROH all’interno di ciascun cromosoma e la lunghezza dello stesso.

Un pool di ricercatori (Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Sassari, Dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università di Palermo e Dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università di Torino) ha condotto uno studio sulla relazione tra il livello di consanguineità e le performance produttive in pecore di razza Sarda e Valle del Belice. Sono stati presi in considerazione i dati produttivi (quantità e qualità del latte) di 1258 animali genotipizzati (di cui 785 pecore di razza Sarda e 473 Valle del Belice).

I livelli di inbreeding sono stati valutati attraverso la stima di due coefficienti di consanguineità, uno derivante dal pedigree e l’altro derivante dall’analisi delle ROH. I risultati ottenuti mostrano valori più alti di inbreeding per la razza Valle del Belice rispetto alla Sarda, questo anche a causa della dimensione della popolazione più piccola nella prima rispetto alla seconda. Di norma, i livelli di consanguineità dipendono oltre che dalla “spinta” della selezione genetica anche dalla numerosità della popolazione considerata e, in particolar modo, dal numero di riproduttori (cosiddetta popolazione effettiva). Si è poi calcolata l’eventuale correlazione tra i coefficienti di inbreeding e i dati produttivi per poter valutare l’eventuale depressione da consanguineità. Entrambi i coefficienti sono risultati significativamente associati con la produzione di latte nella razza Sarda mentre nella razza Valle del Belice la produzione di latte era associata solo ai coefficienti genomici stimati considerando le ROH di lunghezza maggiore. Nonostante il livello di depressione da consanguineità stimato risulti abbastanza piccolo, l’effetto sulla produzione non va comunque sottovalutato: infatti, lo studio in questione ha evidenziato una perdita di circa 1.5-2.3 kg di latte per lattazione per ogni punto percentuale di incremento del coefficiente di inbreeding da ROH.

Per concludere, attraverso questo studio è stato possibile non solo effettuare delle stime per quanto riguarda i livelli di inbreeding e gli effetti negativi sulla produzione quanti-qualitativa del latte nelle due razze oggetto di studio, ma è stato posto in evidenza quanto l’utilizzo di informazioni genomiche piuttosto che da pedigree possa essere utile per tenere sotto controllo i livelli di consanguineità e per poter prendere decisioni maggiormente ponderate nei programmi di miglioramento genetico ed evitare quindi effetti indesiderati.

La presente nota, la cui bibliografia è disponibile presso gli autori, è una sintesi del lavoro pubblicato su Journal of Animal Breeding and Genetics: Cesarani, A., Mastrangelo, S., Congiu, M., Portolano, B., Gaspa, G., Tolone, M., & Macciotta, N. P. P. (2022). Relationship between inbreeding and milk production traits in two Italian dairy sheep breeds. Journal of Animal Breeding and Genetics, 00, 1–11. https://doi.org/10.1111/jbg.12741

Autori

Michele Congiu e Alberto Cesarani, sotto la supervisione del Gruppo Editoriale ASPA: Conte G., Atzori A., Gallo A., Natalello A., Correddu F., Scerra M., Pegolo S.