Introduzione
Lo stato nutrizionale della madre è il più importante fattore esterno che influenza l’ambiente uterino, con implicazioni significative sia per la crescita fetale che per la salute a lungo termine della prole. Una ridotta alimentazione materna può influire sulla crescita fetale in maniera diversa a seconda del periodo gestazionale in cui viene a verificarsi la riduzione nutrizionale e della sua gravità.
I ruminanti sembrano essere particolarmente sensibili a questo poiché la loro alimentazione è soggetta a variazioni stagionali della quantità e della qualità del foraggio. Nella maggior parte dei casi, se non adeguatamente integrate, le diete basate solo sul pascolo spesso non sono in grado di fornire nutrienti adeguati con un impatto negativo sia sulla crescita che sulle performance sia delle madri che dei figli, con importanti perdite economiche per gli allevatori.
Trasporto placentare di nutrienti nei ruminanti
La struttura della placenta è progettata per supportare la sopravvivenza del feto nell’ambiente intrauterino e si forma grazie alla giustapposizione di due componenti con origini diverse: l’endometrio uterino costituisce la porzione materna, mentre la porzione fetale è prevalentemente composta di cellule del trofoblasto, che si generano in seguito alle prime differenziazioni embrionali.
Al momento dell’impianto, le cellule del trofoblasto si differenziano in una varietà di sottotipi cellulari con funzioni diverse, che cooperano per formare la placenta matura. Nella placenta dei ruminanti (definita come sinepiteliocoriale o cotiledonare), lo scambio di
nutrienti tra la madre e il feto avviene principalmente attraverso delle regioni specializzate chiamate placentomi, formati dalla fusione di cotiledoni fetali con le caruncole endometriali, distribuite casualmente lungo tutto il tessuto placentare.
Le cellule del trofoblasto dei ruminanti differenziano in due tipi cellulari caratterizzati da diversa morfologia e funzionalità: le cellule mononucleate e le binucleate. Il primo tipo è il principale componente strutturale della placenta, che è direttamente coinvolto nel processo di scambio dei nutrienti grazie alle sue caratteristiche morfologiche peculiari, quali la presenza di microvilli apicali o giunzioni intracellulari. Le cellule binucleate costituiscono ∼20% della popolazione totale, e la loro migrazione e fusione con le cellule endometriali materne generano dei sincizi e, di conseguenza, promuovono l’impianto e la formazione della placenta. Insieme al loro ruolo strutturale, le funzioni delle cellule binucleate includono la produzione di ormoni, come il lattogeno placentare e gli ormoni steroidei. Durante le prime fasi dello sviluppo placentare, in concomitanza con la differenziazione delle cellule del trofoblasto, si assiste all’istaurazione di una complessa architettura vascolare necessaria per fare fronte all’aumento esponenziale della crescita fetale che avverrà nelle fasi più tardive di gravidanza.
Durante tutta la durata della gravidanza, il feto dipende dall’apporto transplacentare di nutrienti sia dalla circolazione materna che fetale. I principali substrati richiesti per la crescita feto-placentare includono glucosio, aminoacidi e acidi grassi e il loro il trasporto avviene attraverso due principali meccanismi di diffusione che comprendono sia il trasporto passivo secondo uno specifico gradiente di concentrazione, che il trasporto attivo contro gradiente. In quanto organo metabolico, la placenta è altamente sensibile a un’ampia gamma di carenze nutrizionali. Generalmente, per le sostanze che attraversano la placenta attraverso la diffusione passiva, il trasporto sarà nullo o ridotto se il gradiente materno non viene mantenuto, mentre la riduzione del trasporto attivo dipende dalla minore disponibilità di substrato per la produzione di energia. Il trasporto dei nutrienti attraverso la placenta dipende innanzitutto da caratteristiche morfologiche come la forma e le dimensioni della placenta, la vascolarizzazione utero-placentare e l’abbondanza di proteine trasportatrici. Oltre alle caratteristiche strutturali, lo scambio transplacentare di nutrienti può essere modulato anche da vari segnali, inclusi ormoni, fattori di crescita e citochine.
Poiché costituisce il centro di questa complicata rete di segnali autocrini e paracrini, la placenta non può essere considerata solo uno strumento passivo per lo scambio di nutrienti tra la madre e il feto ma esercita anche una funzione di controllo volto a garantire una distribuzione equilibrata dei nutrienti, che diventa particolarmente cruciale in caso di una ridotta loro disponibilità. Quando i nutrienti scarseggiano, la placenta adatta il proprio sviluppo per massimizzare l’uso delle poche risorse disponibili grazie all’aumento del volume o della densità di vascolarizzazione. Quindi, in caso di ridotta nutrizione materna, la placenta può essere considerata la prima linea di difesa, soprattutto nei casi di carenze che interessano la prima fase della gestazione, dove la madre è programmata per accumulare nutrienti e il feto per sostenere l’organogenesi. Ovviamente, in caso di riduzione acuta dei nutrienti, i segnali compensatori non sono sufficienti per soddisfare le esigenze del feto in crescita, e, in condizioni gravi, si va incontro ad aborto.
Le strategie di adattamento placentare descritte fino ad oggi in seguito a ridotta nutrizione materna durante l’inizio della gravidanza sembrano derivare dall’integrazione di diversi segnali provenienti sia dalla madre che dal feto. I principali segnali materni che informano la placenta sul carente stato nutrizionale della madre includono bassi livelli circolanti di insulina, di IGF1 e di leptina così come alti livelli di cortisolo. A seguito della denutrizione materna, il feto invia segnali per incrementare il trasporto transplacentare di nutrienti per soddisfare il proprio fabbisogno energetico.
Effetti della riduzione materna della nutrizione durante la gravidanza precoce nei ruminanti
Nella filiera zootecnica la priorità del programma alimentare è fornire la dieta meno costosa per ridurre i consumi senza influire sulle prestazioni e sulla produttività degli animali. Tuttavia, quando si verifica una gravidanza, se l’apporto di nutrienti non è adeguato a sostenere le esigenze sia materne che fetali, la madre inizierà ad utilizzare le proprie riserve, portando a una riduzione del BCS, determinante fondamentale per garantire il corretto procedere della gravidanza.
In diverse parti del mondo, è stato segnalato che molto spesso si verifica una carenza di nutrienti negli animali alimentati con diete a base di foraggio, dovuta alla sua ampia variazione stagionale sia in termini qualitativi che quantitativi. Per esempio, in Australia, la qualità dell’alimentazione dei bovini è fortemente influenzata dalla stagionalità, con una concentrazione molto bassa (5% invece del 15%) del contenuto di proteina grezza durante il periodo invernale. Allo stesso modo, nelle regioni degli Stati Uniti occidentali, la disponibilità di nutrienti per greggi al pascolo copre all’incirca il 50% del loro fabbisogno nutritivo, a causa della scarsa qualità del foraggio. In tali situazioni, se la gravidanza avviene senza nessun tipo di integrazione alimentare, la crescita fetale sarà gravemente compromessa, probabilmente a causa di una placentazione difettosa.
Diversi esperimenti nutrizionali condotti sui ruminanti hanno infatti dimostrato alterazioni in diversi aspetti dello sviluppo e del trasporto placentare in risposta alla riduzione della disponibilità di nutrienti materni. Lo sviluppo della placenta sembra essere maggiormente suscettibile a deplezioni nutrizionali che riguardano la gravidanza precoce e intermedia, in cui si assiste ad una rapida crescita della placenta. Nel complesso, la maggior parte degli studi negli animali da reddito mostra che una grave denutrizione riduce la crescita placentare, mentre riduzioni meno estreme della dieta materna hanno l’effetto opposto. Per esempio, nelle pecore, una restrizione nutritiva moderata (-15%) ad inizio a metà gravidanza (0-70 giorni) altera la morfologia della placenta a termine, mostrando un’aumentata crescita della porzione fetale del placentoma. Tuttavia, poiché la crescita fetale segue una traiettoria normale, questo può essere considerato un segno di adattamento piuttosto che un difetto di sviluppo. Diversamente, le pecore sottoposte a condizioni più gravi (50-60%), anche per un breve periodo (30-80 giorni), presentano a metà gestazione una diminuzione del peso placentare ma un numero maggiore di placentomi rispetto a controlli adeguatamente alimentati. In questo contesto, è interessante sottolineare che, quando l’effetto di un trattamento simile viene analizzato
al termine della gravidanza, si osserva un aumento del peso totale della placenta, suggerendo che un numero maggiore di placentomi determina un maggiore assorbimento di nutrienti nelle fasi di gravidanza avanzata, quando l’animale torna a ricevere la normale razione giornaliera di cibo. Un dato interessante riguarda il contenuto proteico della dieta: nelle pecore è stato dimostrato che riducendo (-30%) il solo contenuto proteico si ottiene una diminuzione del numero dei grandi placentomi a favore di un elevato numero di piccoli placentomi con vascolarizzazione ben sviluppata, rispetto alle pecore sottoposte ad una riduzione della stessa entità ma riguardante il contenuto complessivo della dieta.
Questo suggerisce che la carenza di proteine colpisce preferenzialmente il compartimento vascolare della placenta, come confermato dall’osservazione che anche un minimo aumento del contenuto proteico nel primo trimestre di gravidanza nella
bovina aumenta il volume dei vasi sanguigni e la densità dei villi fetali a termine. Allo stesso modo, sia in pecore che in bovine la placenta modifica il suo sviluppo vascolare per minimizzare l’impatto della ridotta disponibilità di nutrienti sulla crescita fetale. Le alterazioni
riportate a seguito di diversi protocolli di restrizione nutrizionale includono la modulazione della vascolarizzazione cotiledonare, la differenziazione placentare precoce e l’aumento dell’espressione di fattori angiogenetici. Ad esempio è stato riportato che la placenta reagisce alla denutrizione materna (50%) imposta fino al giorno 30 di gestazione aumentando la densità vascolare dei placentomi, nonostante il loro peso medio risulti ridotto a metà gestazione nella pecora. Questa strategia di adattamento mantiene la traiettoria di crescita fetale entro un range normale e si verifica in associazione con la sovraregolazione di un segnale intracellulare, che dovrebbe promuovere la crescita placentare e l’angiogenesi. Allo stesso modo, le vacche che sono state sottoposte a restrizioni nutrizionali (50%) dall’inizio fino alla metà gravidanza (30-125 giorni) hanno mostrato un aumento della vascolarizzazione cotiledonare e un miglioramento dell’efficienza; tuttavia, una volta terminato il trattamento le differenze precedentemente rilevate non erano più riscontrabili al termine della gestazione.
Analogamente nelle pecore, è stato riportato che una ridotta nutrizione materna (50%) da inizio a metà gestazione (28-78 giorni) stimola la placenta ad attivare diversi meccanismi per aumentare la capacità di trasporto placentare e, di conseguenza, la crescita fetale. Questi meccanismi includono l’aumento dell’espressione di proteine trasportatrici per glucosio e acidi grassi così come l’aumento dell’attività di vie di segnalazione responsabili della regolazione dell’angiogenesi nei tessuti cotiledonari. A metà gestazione, sia il peso che la lunghezza del feto
risultano inferiori nelle pecore sottoposte a restrizioni nutrizionali, indicando che la dieta materna induce la riduzione della crescita fetale. In seguito, quando il regime alimentare torna ad essere adeguato, grazie ai meccanismi di compensazione placentare, i feti sviluppati meno hanno mostrato un recupero del tasso di crescita e raggiungono pesi e lunghezze del corpo simili rispetto ai feti di controllo nelle fasi tardive di gestazione. È interessante notare che le risposte placentari più efficienti alla ridotta nutrizione (50%) sono state riscontrate nelle pecore allevate abitualmente in ambienti rustici con disponibilità di cibo limitata. Queste placente hanno mostrato una maturazione precoce dei placentomi con un aumento sia delle dimensioni e che della vascolarizzazione. Al contrario, questa compensazione non si è verificata nel
controllo, suggerendo che in animali abituati ad ambienti subottimali sono più inclini a superare una situazione stressante adottando strategie placentari più efficienti rispetto agli animali che affrontano questa situazione per la prima volta.
In conclusione, l’analisi degli studi nutrizionali fino ad ora condotti ha permesso di individuare le diverse strategie di adattamento placentare con cui i ruminanti supportano la crescita fetale in condizioni di carenza di nutrienti. Tuttavia, il ruolo di una corretta placentazione nel raggiungimento di un’efficienza riproduttiva di successo non è stato ancora sufficientemente studiato nonostante il possibile impatto che tali condizioni nutrizionali possono avere non solo sulla crescita fetale ma anche sullo sviluppo di possibili alterazioni che interessano la salute e le prestazioni dell’animaleadulto.
Autori: Toschi P. e Baratta M.
Sinossi tratta dall’articolo “Ruminant Placental Adaptation in Early Maternal Undernutrition: An Overview“
Front Vet Sci. 2021 Oct 20;8:755034 – doi: 10.3389/fvets.2021.755034
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