È stato pubblicato oggi il Report Agrimercati, in cui Ismea analizza le principali dinamiche del settore agroalimentare italiano nel 2021, con particolare riferimento al 4° trimestre 2021.

L’agroalimentare nazionale, spiega l’Ismea, ha mostrato nel 2021 una buona tenuta dopo lo shock pandemico. La lieve flessione del valore aggiunto agricolo è avvenuta in un contesto caratterizzato dalla crescita della produzione industriale, spinta da un export in decisa ripresa. Il 2021 si è chiuso con un balzo a doppia cifra delle vendite all’estero del made in Italy agroalimentare (+11%) che ha raggiunto il valore record di 52 miliardi di euro.

Tra i segmenti produttivi di maggior successo all’estero si confermano vini, formaggi stagionati, prodotti da forno, ciocccolata e preparati a base di pomodoro, per cui il valore dell’export ha mostrato una dinamica molto positiva durante il 2021. Nel dettaglio, sono cresciute in maniera rilevante le esportazioni dei prodotti della panetteria e pasticceria (+19% in valore rispetto al 2020), seguite dalla cioccolata (+14%), dai vini (+12,4%) e dai formaggi e latticini (+12,3%). Hanno subìto, invece, una battuta d’arresto le spedizioni oltre confine di pasta (-3% in valore) e dei preparati e conserve di pomodoro (+0,2% in valore); si tratta tuttavia di due comparti che nel 2020 avevano fatto segnare incrementi estremamente rilevanti.

Germania, Francia e Stati Uniti si confermano le principali destinazioni delle esportazioni agroalimentari nazionali.

Sul fronte dei consumi interni, gli acquisti alimentari domestici hanno registrato nel 2021 una flessione in valore molto lieve (-0,3%), soprattutto in confronto con l’eccezionale annata precedente e la contemporanea riapertura dei canali horeca. La spesa di cibo e bevande si è attestata nel 2021 su un valore di circa 87,3 miliardi di euro, superiore del 7,5% rispetto all’anno precrisi (2019).

Tuttavia, l’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia è un fattore che grava pesantemente sia sul settore primario, sia sull’industria alimentare, sommandosi ai problemi collegati ai trasporti e alla logistica. In questo contesto appare chiaro il peso determinato dai mutati equilibri geopolitici; le conseguenze dirette e indirette della guerra tra Russia e Ucraina avranno un elevato impatto sullo scenario internazionale, sia per l’accentuata instabilità dei mercati finanziari e le pressioni al rialzo dei prezzi di tutte le materie prime, anche di natura speculativa, sia per l’introduzione di sanzioni e restrizioni commerciali.

L’incremento dei listini era già stato fotografato dall’Indice dei prezzi Ismea a fine 2021: durante l’ultimo trimestre dell’anno è continuato infatti il trend di espansione dei prezzi dei prodotti agricoli nazionali, con un incremento tendenziale del 15%, dietro la spinta soprattutto dei prodotti vegetali (+19,5%), ma anche di quelli zootecnici (+10%). L’incremento dei prezzi dei mezzi correnti di produzione è stato evidenziato anche dall’indice elaborato dall’Ismea, che nel quarto trimestre del 2021 ha segnato un +10,3% tendenziale, dovuto soprattutto ai listini dei concimi (+27,4%), dei prodotti energetici (+19%) e dei mangimi (+14,8%). Trascinato dagli aumenti di prezzo di molte materie prime così come da costi di trasporto marittimo sempre più proibitivi, il comparto concimi agricoli già dagli ultimi mesi del 2021 sta vivendo un periodo “caldo”.

Le prospettive per il 2022 sono inequivocabilmente influenzate dalla crescita dei prezzi dei prodotti alimentari, dalla riduzione del potere d’acquisto delle famiglie per l’aumento delle bollette e dalla nuova incertezza sulla ripresa economica nello scenario di crisi determinato dalla guerra tra Russia e Ucraina.

Il mercato delle principali filiere agroalimentari nel 2021

Cereali

Il quadro produttivo mondiale risulta in aumento nel 2021 per il mais (1,2 mln/t; +6,9% sul 2020) e stabile per la soia (367 mln/t), mentre i raccolti nazionali risultano in flessione annua per entrambi i prodotti: -10,5% a poco più di 6 milioni di tonnellate di mais e -8,2% di seme di soia; in entrambi i casi la flessione è da attribuire soprattutto alla riduzione delle rese. Anche per questi prodotti il mercato ha evidenziato una dinamica costantemente positiva nell’attuale campagna commerciale, con i prezzi della granella di mais che hanno raggiunto il livello record di 278,50 euro/t a ottobre 2021 per poi stabilizzarsi nei due mesi successivi. Nel caso del mais, queste dinamiche non sono da attribuire ai fondamentali ma a fattori di carattere speculativo con investimenti sulle commodity e all’impatto sul mercato della domanda di mais da parte della Cina che dovrebbe ridursi rispetto alla scorsa annata ma rimarrebbe comunque su livelli molto importanti. Nel caso della soia, l’aumento dei prezzi è determinato anche dal calo delle scorte stimato per la campagna 2021/22. Le importazioni nel 2021 sono risultate in calo annuale per il mais (-14,5% a 5,2 mln/t) e in aumento per la soia (+8,9% a 2,4 mln/t)

La recente crisi tra Russia e Ucraina ha un impatto significativo sul mercato mondiale dei cereali, soprattutto frumento tenero e mais. Per questi prodotti, infatti, il ruolo dei due paesi sul mercato internazionale è rilevante: la Russia rappresenta circa il 20% dell’export globale del frumento tenero e l’Ucraina il 10% del frumento tenero e il 15% del mais. La crisi in corso può, quindi, verosimilmente impedire l’accesso ai mercati del 30% delle forniture di frumento tenero e del 15% di quelle di mais. Gli effetti di tale situazione si stanno già osservando sui mercati esteri e nazionali. Per quanto riguarda l’Italia, nel 2021 l’Ucraina si conferma il secondo fornitore di mais per il mercato nazionale con una quota del 15% sul volume totale acquistato oltre confine; meno rilevanti risultano le importazioni dall’Ucraina di frumento tenero (3% sul volume totale). Tuttavia, le ripercussioni derivano soprattutto dalle conseguenze sulle quotazioni del frumento tenero e del mais che sono in ulteriore aumento, per arrivare alla seconda settimana di marzo 2022 ai valori record pari, rispettivamente, a 398,82 euro/t (+27,8% rispetto la seconda settimana di febbraio) e a 402,38 euro/t (+43,4%). Per ulteriori approfondimenti, si invita a consultare il report Ismea (2022) “Dinamiche fondamentali dei cereali e situazione degli scambi commerciali con Ucraina e Russia”.

Il quadro produttivo mondiale del frumento duro risulta nel 2021 in flessione del 9,6% su base annua, per raccolti pari a 30,6 milioni di tonnellate; la dinamica è da attribuire soprattutto alla forte contrazione dell’offerta in Canada (2,7 mln/t; -59,6% sul 2020) determinata dalla siccità che ha colpito quei territori; al contrario, sono aumentati i raccolti comunitari (7,4 mln/t; +3,6% sul 2020) e nazionali (4,1 mln/t; +3,5% sul 2020). In tal modo, i volumi raccolti globali si posizionano su livelli inferiori alla domanda determinando una consistente flessione delle scorte (-26,8% a 5,9 milioni di tonnellate nel 2021/22). Il mercato ha risentito di tali dinamiche evidenziando a partire da luglio 2021, inizio della campagna 2021/22, consistenti aumenti dei prezzi: da 305,31 euro/t a luglio 2021 a 504,51 euro/t a dicembre; tendenza proseguita anche a gennaio 2022 quando il prezzo medio ha raggiunto 511,87 euro/t. In tale contesto, l’industria italiana di prima e seconda trasformazione del frumento duro non riesce a contenere l’effetto inflativo determinato dalla materia prima, trasferendolo gradualmente sul prezzo all’ingrosso delle semole e al consumo della pasta di semola. Le importazioni di frumento duro si sono ridotte sensibilmente nel 2021, scendendo a 2,3 milioni di tonnellate (-25,9% su base annua); dinamica da ricondurre all’aumento dei costi di trasporto e al lieve aumento dell’offerta interna di materia prima cui è corrisposta una riduzione della domanda al consumo della pasta di semola.

Il quadro produttivo mondiale del frumento tenero si prefigura in lieve aumento nel 2021 (751 mln/t; +1,5% sul 2020); molto più consistente è la crescita dei raccolti comunitari (+11,5% a 138,2 mln/t), così come aumenta anche la produzione nazionale (+14,4% a poco più di 3 mln/t) grazie all’ottima performance dei rendimenti unitari. Nel maggior dettaglio territoriale, tuttavia, si osserva una contrazione dell’offerta e delle scorte dei principali paesi esportatori, determinata in particolare da USA, Canada e Russia. Dopo la rivalutazione dei prezzi della granella del 2020/21 determinata soprattutto dall’aumento dei costi di trasporto, a partire da luglio 2021 il mercato si è sensibilmente rivalutato fino a dicembre (da 215,85 euro/t a 325,63 euro/t), trainato, oltre che dai fondamentali, anche dagli incrementi dei prezzi internazionali osservati per tutte le materie prime e dagli ulteriori incrementi dei costi di trasporto. Il prezzo di gennaio 2022 ha invece segnato, per la prima volta in questa campagna commerciale, una flessione congiunturale, sceso a 320,88 euro/t (-1,5% su dicembre). Sul fronte degli scambi con l’estero, si osserva un aumento delle importazioni di granella (+3,9% per poco meno di 5 mln/t); risultato questo da attribuire, più che all’aumento dei raccolti nazionali nel 2021, alla crescita della domanda dei molini sostenuta soprattutto dalla ripresa delle vendite di farine presso i canali Horeca che lo scorso anno a causa della pandemia erano stati fortemente penalizzati.

Carni bovine

Il mercato delle carni bovine, nel quarto trimestre, registra prezzi in aumento per tutte le categorie. I ritmi di macellazione dopo un breve rallentamento nel mese di ottobre sono tornati ad essere buoni nella parte finale dell’anno. Il mercato dei capi nazionali si è potuto mantenere attivo e con valori in ascesa, grazie al minor afflusso di merce estera, i cui prezzi risultavano disincentivanti e poco competitivi. Il rialzo dei prezzi per i capi nazionali da macello, sia giovani che adulti, avviene infatti sulla scia di quanto si sta registrando anche nel resto d’Europa, a seguito della graduale riapertura dei canali Horeca e dei maggiori costi di alimentazione sostenuti dagli allevatori per il rialzo dei prezzi di mais e farine di soia.

La domanda al consumo, dopo la buona ripresa nel periodo estivo, è tornata ad essere discontinua e disomogenea, spesso legata ai soli consumi tra le mura domestiche per le temporanee chiusure dei canali della ristorazione legate al contenimento delle varianti del virus Covid-9. La domanda della GDO è tornata ad essere più vivace nel mese di dicembre, a ridosso delle festività, per il ricorso agli stoccaggi. In quest’ultimo frangente i prezzi medi sono ulteriormente saliti rispetto ai già rivalutati di ottobre. Nello specifico parlando di vitelloni, i valori del vivo a dicembre (su base annua) sono aumentati dell’8%, quello delle mezzene all’ingrosso dell’11% e quello delle fettine al dettaglio del 4%.

Sul fronte degli scambi, nel 2021 le importazioni per il comparto bovino nel complesso sono state inferiori rispetto al 2020, con una parziale modifica della composizione dell’import: minori i volumi importati di carne fresca (-3,3%) e di preparazioni (-13,3%), solo in piccola parte compensati da un incremento delle importazioni di carni congelate (+13,6%). Per quanto riguarda i capi vivi da ristallo, i dati del 2021 evidenziano una contrazione del 5,5% del numero dei capi arrivati da oltreconfine per essere ingrassati in Italia, con uno spostamento verso capi più leggeri. Da evidenziare però che il dato 2020 mostrava un evidente incremento rispetto al 2019; si può parlare quindi di un riallineamento ai dati di norma per quanto riguarda i ristalli e una maggior autosufficienza sul fronte delle carni, grazie al maggior numero di capi comprati nel 2020 e portati a maturazione nel 2021.

Sul fronte dei costi, negli allevamenti a ciclo aperto si evidenzia un ulteriore aggravio sulla performance economica aziendale dovuta all’aumento dei prezzi dei ristalli (soprattutto per le femmine: +4,8% a dicembre). Intanto il mercato si divide favorendo il prezzo oppure il valore aggiunto di una qualità superiore, che è però spesso ancora difficile da riconoscere. I costi aumentano e lo faranno ulteriormente anche i prezzi; per far accettare tale dinamica ai consumatori, la carne bovina non può che abbandonare la genericità che sul bancone di vendita non consente di distinguere le carni che possono vantare un valore aggiunto, come la garanzia di un’appartenenza territoriale o l’essere ottenute con criteri di allevamento che vanno oltre gli standard di legge.

Prodotti lattiero-caseari

Il mercato lattiero-caseario nazionale ha registrato una dinamica positiva nel corso del 2021, sostenuto soprattutto dalle esportazioni (+3,6% in valore) anche in conseguenza delle progressive riaperture post-Covid della ristorazione estera e della rimozione dei dazi negli Stati Uniti.

In particolare, le esportazioni di formaggi e latticini sono cresciute del 2,6% in valore e dell’1,3% in volume, imprimendo una spinta positiva sui listini nazionali: in base all’Indice Ismea i prezzi all’origine dei prodotti lattiero caseari sono complessivamente aumentati del 6,4% tra il 2021 e il 2020, trainati proprio dai formaggi duri (+11%). In dettaglio, la risalita dei prezzi dei principali formaggi della tradizione italiana è proseguita nell’ultimo trimestre 2021, risultando più accelerata per il Parmigiano Reggiano, mediamente stabilizzatosi a 10,47 euro/kg con una variazione di oltre il +7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; positivo, seppure meno evidente, anche il trend evidenziato dal Grana Padano, che ha raggiunto nel quarto trimestre una quotazione media di 7,06 euro/kg (+0,6% su base tendenziale).

Forte spinta al rialzo anche per il burro, con i listini più che raddoppiati nell’ultima frazione di anno sulla scia delle dinamiche continentali e delle maggiori richieste provenienti dall’industria dolciaria nazionale, anche in prospettiva delle festività natalizie. Negli ultimi tre mesi dell’anno anche i prezzi del latte bovino alla stalla hanno fatto registrare un certo recupero secondo l’Ismea, raggiungendo in media i 39,8 euro/100 litri (+8,5% su base tendenziale, pari a circa 3 euro/100 litri in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), a fronte di una ulteriore crescita della produzione nazionale di latte che, secondo i dati Agea riferiti all’anno solare, ha superato i 13 milioni di tonnellate (+3% rispetto al 2020). Il progressivo incremento dell’autosufficienza nazionale ha determinato, allo stesso tempo, un forte calo delle importazioni di latte in cisterna nel corso del 2021 (-33% rispetto al 2020). Gli allevamenti nazionali, tuttavia, si sono scontrati con la forte spinta inflazionistica che ha interessato i prezzi degli input produttivi (+13,2% nel quarto trimestre 2021 in base all’Indice Ismea dei prezzi dei mezzi correnti degli allevamenti bovini da latte), soprattutto per quanto riguarda i mangimi e i prodotti energetici (indice su base tendenziale rispettivamente +18,4% e +28,5%).

Sul fronte della domanda interna, alla progressiva ripresa del canale Horeca si è contrapposta la flessione della spesa domestica per i prodotti lattiero caseari (-4,1% rispetto al 2020), con una brusca diminuzione che ha investito tutti i segmenti merceologici in corrispondenza di un generalizzato aumento dei prezzi al consumo (in media +2%). Mentre per la maggior parte dei prodotti la tendenza negativa è il risultato di un riassestamento dopo gli anomali incrementi del 2020, per il latte fresco si è registrato nel 2021 l’ennesimo calo consecutivo (spesa -4% rispetto al 2020).

Per i formaggi, invece, pur essendo in contrazione rispetto all’anno precedente, la spesa del 2021 è rimasta su livelli superiori a quelli pre-Covid, soprattutto per i freschi, rappresentati in buona parte dai latticini, e per i duri. Nei prossimi mesi, la temuta spinta inflazionistica sui prezzi dei prodotti alimentari, potrebbe tuttavia influenzare negativamente anche gli acquisti delle famiglie per i lattiero-caseari, soprattutto con riferimento ai segmenti di fascia alta. E sempre sul fronte della domanda, i positivi risultati messi a segno sui mercati esteri potrebbero essere ridimensionati a causa degli inasprimenti dei costi di carburanti e trasporto.

Ovicaprini

Per quanto riguarda il settore ovicaprino, il Pecorino Romano ha chiuso un 2021 entusiasmante con i prezzi gradualmente saliti e uno sprint deciso proprio a fine anno che lo hanno portato a 9,70 euro/kg all’ingrosso, soprattutto grazie ai risultati conseguiti sui mercati esteri. Con l’attenuarsi dell’emergenza pandemica e la ripresa dei flussi verso gli Stati Uniti, le esportazioni di pecorino hanno, infatti, registrato nel 2021 una significativa ripresa (+13% in valore rispetto al 2020) in corrispondenza di una notevole risalita anche dei prezzi.

Per il latte ovino, dopo un inizio campagna brillante in cui in Sardegna è stato superato il livello di 1,10 euro/litro, il prezzo alla stalla ha iniziato progressivamente a calare nei mesi di novembre e dicembre, proprio mentre i pastori hanno dovuto fronteggiare un significativo aumento dei costi delle materie prime. Per le carni ovicaprine, l’ultimo trimestre dell’anno, che rappresenta notoriamente uno dei due picchi della domanda legato alle festività, ha fatto registrare un netto recupero rispetto al Natale 2020 ancora fortemente segnato dagli effetti della pandemia e delle restrizioni alla ristorazione e alle riunioni familiari.

In dettaglio, i prezzi degli agnelli da macello hanno mediamente raggiunto i 4,42 euro/kg peso vivo, con un incremento tendenziale dell’11%, anche grazie a una minore pressione esercitata dalla carne estera considerando che i volumi importati sono risultati decisamente inferiori rispetto al periodo pre-Covid (-18% in meno tra il 2021 e il 2019).

Scarica qui il Report Agrimercati IV trimestre 2021 (1.47 MB).