La nutrizione animale influenza notevolmente la composizione del latte e può essere controllata per migliorare le caratteristiche del latte per l’alimentazione umana. Tuttavia, è anche vero che la composizione del latte è un ottimo indicatore dello stato nutritivo dell’animale, e alcune variazioni dei macrocomponenti possono essere anche messe in relazione con la sua risposta immunitaria.

Alcuni approfondimenti sulle relazioni fra nutrizione e cellule somatiche del latte sono stati recentemente presentati in un lavoro della rivista “Small Ruminant Research” dalla sezione di Scienze Zootecniche dell’Università di Sassari.

La proteina vera del latte, la cui sintesi è sotto un alto controllo genetico, è molto meno influenzata dall’alimentazione degli animali rispetto al grasso del latte. Invece, la frazione azotata non proteica del latte è ampiamente influenzata da fattori nutrizionali. La solubilità e la degradabilità delle proteine alimentari e la disponibilità di energia a livello del rumine possono influenzare in particolare l’urea del latte. La concentrazione di urea nel latte è nota per essere un ottimo indicatore di eccessi e carenze proteiche della razione, ma anche del metabolismo energetico, per cui bassi livelli di urea sono associati a carenza di carboidrati fermentescibili nel rumine (Giovanetti et al., 2019).

Alla concentrazione di urea nel latte sono anche associati effetti negativi sulla salute, sulle prestazioni riproduttive e la risposta immunitaria delle pecore da latte.

È particolarmente interessante notare che la concentrazione di urea nel latte è inversamente associata alla conta delle cellule somatiche (CCS) nelle pecore e nelle vacche. Si osserva che quando le concentrazioni di urea del latte di pecora Sarda, analizzato dal laboratorio regionale dell’ARA in Sardegna (più di 150.000 campioni di latte nel 2017), sono state correlate con i parametri di composizione del latte sorprendentemente è stata osservata una forte relazione negativa tra urea e CCS.

Nello stesso lavoro, sono stati analizzati nello specifico i dati della produzione e composizione di latte di 72 pecore alimentate con unifeed secco (con contenuto costante di 16,5% di proteina sulla SS somministrato dal parto ai 165 giorni di lattazione; Atzori et al., 2019). L’urea è risultata essere negativamente associata con CCS (r = -0,57; P < 0,001), e questo indipendentemente dalla produzione di latte. Nelle pecore che producevano più di 1,0 L/giorno di latte, valori di urea superiori a 43 mg/dL erano associati a valori inferiori a 500.000 SCC/mL. La produzione di latte spiega infatti solo parzialmente l’effetto della fase di lattazione sul contenuto di SCC del latte, e questo risultato concorda con precedenti evidenze riportate nelle vacche da latte (Godden et al., 2001; Hojman et al., 2004; Aguilar et al., 2012).

Si sottolinea che queste relazioni si riferiscono a processi fisiologici non chiaramente spiegati che generano confusione nell’uso dell’urea e delle CCS come indicatore nutrizionale. Infatti, come conseguenza degli aumenti della frazione N del latte dovuti ai cambiamenti nella concentrazione di urea, ci si aspetta un peggioramento delle proprietà tecnologiche del latte. Tuttavia, l’analisi di 1.500 determinazioni nel latte individuale di pecore di razza Sarda ha evidenziato che con un aumento dell’urea c’era un miglioramento paradossale dei parametri di coagulazione del latte, probabilmente come conseguenza della relazione negativa tra urea e CCS. Tuttavia, la resa del formaggio in laboratorio del latte di massa, misurata come dettagliato da Manca et al. (2016), è diminuita all’aumentare della urea.

Altri errori nella nutrizione degli ovini, per formulazioni sbilanciate nella composizione o per somministrazione non adeguata al comportamento alimentare, possono predisporre la ghiandola mammaria ad infiammazioni e quindi ad una maggiore probabilità di insorgenza della mastite, influenzando così la CCS. Tra gli errori alimentari più frequenti che potrebbero influenzare l’SCC del latte troviamo le carenze energetiche (Ingvartsen e Moyes, 2013), lo sbilanciamento del rapporto energia/proteine (Kehrli et al., 2006), le carenze proteiche e/o eccessi di NPN nella dieta (Kehrli et al., 2006), e dismetabolie come la sub-acidosi o la chetosi sub-acuta (Leslie et al., 2000). Ancora, un aumento della concentrazione plasmatica di beta-idrossibutirrato (BHB), un indicatore di chetosi subclinica, è stato trovato correlato con un aumento dell’incidenza della mastite e una riduzione dell’attività battericida dei neutrofili polimorfonucleati (PMN) contro patogeni mammari (Grinberg et al., 2008).

Numerose prove sperimentali si stanno accumulando sugli effetti positivi dei polifenoli sulla CCS del latte. Su pascoli ricchi di leguminose (76% di Medicago polymorpha L.), la somministrazione di estratto di tannino di castagno ha portato a una riduzione significativa della SCC di pecore di razza sarda rispetto al gruppo di controllo (Pulina et al., 2010). Carenze nutrizionali specifiche di microelementi minerali, come Se, Zn, Mn e Fe, vitamina A, beta-carotene e vitamina C, potrebbero essere collegate alla salute della ghiandola mammaria e con la CCS del latte. Infatti, diversi micronutrienti sono componenti di enzimi antiossidanti che svolgono un ruolo importante nella protezione delle membrane cellulari e dell’integrità delle cellule del sistema immunitario. Pertanto, in caso di infezione, la carenza di enzimi peggiora l’attività battericida dei leucociti PMN e, di conseguenza, riduce la difesa contro le infezioni intramammarie (Sordillo et al., 1997). Un’adeguata integrazione di minerali e vitamine ha effetti positivi sulla SCC del latte, come osservato nelle pecore.

Questo studio riporta una sintesi di numerosi esperimenti in cui la somministrazione di vitamina A ha ridotto le cellule somatiche del latte. Esempi:

i) 5 mg di vitamina A /kg peso corporeo e 0,1 mg di Se/kg di peso corporeo 3 giorni prima del parto, -53% di SCC e riduzione di leucociti PMN -43%, Morgante et al., 1995;

ii) effetto sinergico di vitamina E 400 UI/capo×giorno + Se 0,3 mg/capo×giorno, da due settimane prima del parto fino a 60 DIM, ha ridotto la SCC rispetto alla sola integrazione di vitamina E (Pauselli et al., 2001).

Queste relazioni sono molto importanti soprattutto considerando che in Italia ci sono diverse aree carenti di selenio (Se), come confermato dall’alta incidenza della malattia del muscolo bianco negli agnelli (Sfacteria et al., 2009). L’integrazione con Se è particolarmente utile quando le pecore sono alimentate principalmente con fieno o insilati che possono subire perdite sostanziali di beta-carotene e vitamina E durante lo stoccaggio.

In conclusione, questo evidenzia che una gestione nutrizionale appropriata può migliorare la composizione del latte di pecora, ed in una certa misura alcuni composti del latte possono essere utilizzati per monitorare l’equilibrio nutrizionale e lo stato di salute degli animali.

La presente nota è una sintesi del seguente articolo scientifico pubblicato su Small Ruminant Research dove è riportata tutta la letteratura citata: Anna Nudda, Alberto Stanislao Atzori, Fabio Correddu, Gianni Battacone, Mondina Francesca Lunesu, Antonello Cannas, Giuseppe Pulina, 2020, Effects of nutrition on main components of sheep milk, Small Ruminant Research, 184: 106015, G.C. Fthenakis – Editor, special issue in Small Ruminant Research in the theme of “Mammary health – Production of quality and safe milk from sheep”. 

Autori

Giuseppe Conte, Alberto Stanislao Atzori, Fabio Correddu, Antonio Gallo, Antonio Natalello, Sara Pegolo, Manuel Scerra – Gruppo Editoriale ASPA.