L’agricoltura utilizza circa il 70 % dell’approvvigionamento idrico disponibile, e di questo il 30 % è destinato al settore zootecnico; inoltre, il settore zootecnico pesa per circa il 14.5 % delle emissioni antropogeniche di gas serra (8 gigatonnellate di CO2-equivalenti nel 2018; Macleod et al. nel 2018).

Le crescenti preoccupazioni a livello mondiale circa le attività del settore zootecnico e le loro ricadute sulla sostenibilità ambientale ha incentivato notevoli progressi tecnologici atti a favorire l’adozione delle migliori pratiche di mitigazione delle emissioni di gas serra.

L’utilizzo della metodologia di analisi del ciclo vita (LCA) nel management degli animali da reddito e in tutta filiera agroalimentare è notevolmente aumentato negli ultimi anni. Nonostante la rilevanza economica del settore bufalino in Italia (600 milioni di euro nel 2019, 2 miliardi di euro di proventi indiretti e più di 11000 lavoratori dipendenti), ad oggi pochi studi sull’LCA hanno analizzato l’impatto ambientale dell’allevamento bufalino. Il presente studio si è proposto di colmare questo gap, valutando l’impatto ambientale della produzione di latte di bufala in un ampio range di condizioni ambientali utilizzando dati raccolti da 3 aziende del sud Italia. Sono state inoltre confrontate le performance di sistemi produttivi biologici e convenzionali, ed infine è stato indagato l’effetto di approcci di assegnazione alternativi sui risultati dell’analisi del ciclo vita.

La metodologia LCA è stata applicata a 3 aziende (A, B e C) e ha quantificato l’impatto ambientale usando un approccio di assegnazione e una prospettiva “dalla culla alla tomba” che tenesse in considerazione tutti i passaggi dall’estrazione delle materie prime necessarie al processo produttivo allo smaltimento del prodotto. È stata condotta un’analisi comparativa ed incentrata su hotspot specifici per identificare fattori impattanti sulla sostenibilità, con enfasi particolare sulle emissioni di carbonio che rappresentano un punto particolarmente critico per il settore caseario.

L’unità funzionale corrisponde a 1 kg di latte corretto per l’energia (energy corrected milk, ECM; Campanile et al., 2003) ed è stata calcolata come segue:

ECM = L × {1 + [(X – 4) + (Z – 3.1)] × 0.1155}

dove L = quantità di latte prodotta; X = percentuale (%) di grasso del latte; Z = percentuale (%) di proteine del latte.

Le connessioni nel sistema di studio dell’LCA vengono schematicamente riportate in figura 1.

Figura 1. Schema dei collegamenti tra le unità del sistema di produzione del latte di bufala.

Allo scopo della raccolta dei dati è stata operata una distinzione tra sistemi primari e secondari. Il sistema primario ha incluso a sua volta 6 sottosistemi:

  1. Produzione interna di colture, includendo coltivazione, raccolta e raffinazione;
  2. Acquisto di alimenti aggiuntivi;
  3. Allevamento delle bufale, che comprende consumo di acqua, emissioni derivanti da fermentazioni enteriche, produzione di carne legata alla riforma di vitelli e bufali;
  4. Produzione di latte, compreso lavaggio delle attrezzature;
  5. Gestione dei reflui, che comprende le emissioni derivanti dallo stoccaggio e la produzione di energia elettrica da digestione anaerobica (solo azienda B e C);
  6. Utenze dell’intera azienda (consumo di energia elettrica, carburante, smaltimento oli esausti).

L’azienda C è l’unica tra quelle indagate ad adottare una produzione biologica. Il sistema primario è stato modellato utilizzando dati raccolti per il 2019 attraverso un questionario distribuito agli allevatori, e integrato con modelli di stima delle emissioni da fermentazioni enteriche, management dei reflui e spandimento di fertilizzanti descritti in letteratura. I dati del sistema secondario si sono basati su due database commerciali EcoInvent (cutoff, v3.6) e GaBi professional (2020).

Come mostrato in tabella 1, le aziende oggetto di studio differiscono per vari aspetti, tra i quali numerosità dei capi allevati, produzione di latte e carne, aree destinate alla coltivazione e applicazione di fertilizzanti.

Per stimare le emissioni dirette ed indirette derivanti dallo spandimento dei fertilizzanti è stata seguita la normativa ISO 14025 del 2013; le emissioni da fermentazioni enteriche sono state calcolate utilizzando la metodologia Tier 2 sviluppata dal gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) nel 2006 e le formule proposte da Condor et al. nel 2008.

Le aziende bufaline rappresentano sistemi multifunzionali, producendo carne ed elettricità, oltre che latte. Nell’ambito della metodologia LCA questa caratteristica rappresenta una sfida particolare quando l’impatto ambientale va assegnato tra diversi prodotti, poiché la suddivisione (che è la strategia preferita dagli standard ISO del 2006) non è praticabile dato che latte e carne non possono essere prodotti separatamente. La gestione dei coprodotti è una delle tematiche più dibattute nell’ambito degli studi LCA sulla produzione di latte, dato che il metodo di assegnazione condiziona pesantemente i risultati (Notarnicola et al., 2016). Il presente studio ha analizzato per la prima volta l’effetto sull’impatto ambientale di diversi metodi di assegnazione della produzione di latte ed elettricità (come coprodotto). Sono stati considerati metodi di assegnazione biofisico ed economico, e sono stati confrontati tra loro e con un approccio che non prevedeva alcuna assegnazione. Il metodo di assegnazione biofisico è stato calcolato secondo l’equazione (International Dairy Federation, 2010):

AF =1 – 6.04 × BMQ

dove AF è il fattore di assegnazione per il latte e BMQ è il rapporto tra il peso vivo del totale degli animali venduti nell’anno di riferimento e l’ECM del totale del latte venduto nell’anno di riferimento.

Per quanto concerne la produzione di elettricità, le indicazioni dell’IDF (2016) attribuiscono al sistema il mancato impatto ambientale associato alla generazione di elettricità da parte della tecnologia convenzionale. È stato pertanto ipotizzato che l’elettricità eccedente dall’impianto di digestione anaerobica rimpiazzi quella generata dalla rete italiana.

Il metodo di assegnazione economico divide l’impatto ambientale in base dei ricavi di ciascun coprodotto. È stata calcolata una media dei prezzi di vendita annuali di latte e carne delle 3 aziende pari a 1.33 e 0.94 €/L rispettivamente. I fattori di assegnazione risultanti sono riportati in tabella 2.

È stato utilizzato il metodo Environmental Footprint (EF) 3.0 riportato da Fazio et al. nel 2018 per quantificare l’impatto ambientale; le 14 categorie di impatto considerate sono riportate in dettaglio da Hauschild et al. (2017).

Come riportato in figura 2 l’assegnazione economica è significativamente più conservativa rispetto alla biofisica, poiché attribuisce alla produzione di latte una fetta maggiore dell’impatto ambientale.

Figura 2. Impatto ambientale della produzione di latte di bufala nell’azienda B secondo i diversi metodi di assegnazione.

Il metodo di assegnazione biofisico attribuisce al latte una porzione inferiore di impatto ambientale per due motivi: primo, la quantità di mangime utilizzata per la lattazione è inferiore rispetto alle entrate derivanti dal latte (83 % contro 89 %, tabella 2), secondo il mancato carico di produzione di energia elettrica aggiunge un’altra riduzione significativa all’impatto ambientale. La presente analisi risulta in accordo con i risultati riportati in letteratura che suggeriscono una stretta dipendenza della stima dell’impatto ambientale del latte di bufala con il metodo di assegnazione adottato. Pertanto, occorre sottolineare l’importanza di sviluppare un approccio standardizzato che permetta una diretta comparazione tra gli studi LCA che assegnano gli impatti tra i coprodotti.

In figura 3 sono riportati i risultati circa i cambiamenti climatici per le 3 aziende oggetto di studio (metodo di assegnazione biofisico), insieme alle medie riportate in bibliografia per la produzione di latte di bufala e vacca.

Figura 3. Risultati dei cambiamenti ambientali delle 3 aziende indagate nel presente studio, in comparazione ai dati presenti in letteratura per latte vaccino e di bufala.

I risultati mostrano che l’azienda B si caratterizza per la minore impronta di carbonio tra le tre investigate (1.5, 2.3 e 2.5 kg CO2-eq. rispettivamente per B, A e C). Questo è dovuto principalmente alla più alta produttività e al più alto surplus di energia elettrica dell’azienda B rispetto alle altre due.

Per quanto concerne il confronto dei dati ottenuti nel presente studio con quelli riportati in letteratura riguardanti il latte di bufala, ci si è attestati in un range leggermente inferiore (1° – 25° percentile). Va comunque sottolineato che il paragone con la letteratura va effettuato con cautela, sia perché (come accennato) i risultati dell’LCA dipendono strettamente dal metodo di assegnazione, sia perché studi più datati possono aver sottostimato i fattori di cambiamenti di impatto ambientale che vengono aggiornati ogni 7 anni (per esempio quelli riguardanti il metano sono passati da 21 a 28 kg CO2-eq./kg di CH4).

L’analisi condotta su hotspot specifici atta ad individuare fattori impattanti sulla sostenibilità ha evidenziato che le fermentazioni enteriche contribuiscono per il 45 % all’impatto sul cambiamento climatico, altri fattori importanti risultano essere le operazioni meccaniche (19 %), l’acquisto di mangime (13 %) e le emissioni dei biodigestori (11 %).

Per quanto riguarda il contributo operato da ciascun sottosistema all’impatto ambientale (includendo tutte le categorie analizzate meno il cambiamento climatico già discusso precedentemente), nell’ambito dell’azienda B quello che risulta maggiormente influente è l’acquisto di foraggio e le operazioni meccaniche (13 % sull’acidificazione fino a 98 % sugli effetti sulla salute dell’uomo e l’utilizzo di terreno).

L’analisi comparativa delle performance del ciclo vita delle 3 aziende ha rivelato che nessuna azienda si è distinta rispetto alle altre nell’arco di tutte le categorie ambientali indagate. L’analisi è stata ripetuta previa correzione in base alla produttività (uno dei fattori che maggiormente condizionano i parametri in esame) e il ranking tra le 3 aziende non è cambiato, abbassando però gli impatti ambientali di A e C ed avvicinandole così a B. Le restanti differenze emerse tra le aziende vengono spiegate dagli aspetti già menzionati legati alla strategia di gestione dei reflui e alla tipologia di alimentazione degli animali.

Il presente studio ha dunque mostrato che le 3 aziende considerate si sono attestate su valori di impatto ambientale inferiore rispetto a quanto descritto in letteratura, che il latte di bufala fa registrare un’impronta di carbonio più consistente rispetto a quella del latte vaccino (a causa della più alta produttività delle vacche) e che la più alta fonte di impatto sui cambiamenti climatici è dovuta alle fermentazioni enteriche, insieme alle operazioni meccaniche.

Possibili strategie di mitigazione dell’impatto ambientale dovrebbero pertanto concentrarsi sul miglioramento dell’efficienza di queste ultime mediante tecniche di agricoltura di precisione capaci di garantire un aumento della produzione di foraggio e, pertanto, una riduzione dell’acquisto di mangime.

Sinossi di: CHIRONE R, PAULILLO A, SALATINO P, SALZANO A, CRISTOFARO B, CRISTIANO T, CAMPANILE G, NEGLIA G. Life Cycle Assessment of buffalo milk: A case study of three farms in southern Italy. Journal of Cleaner Production, 2022, 365, 132816, doi: 10.1016/j.jclepro.2022.132816.

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Campanile, G., Di Palo, R., Infascelli, F., Gasparrini, B., Neglia, G., Zicarelli, F., Michael, J.D., 2003. Influence of rumen protein degradability on productive and reproductive performance in buffalo cows. Reprod. Nutr. Dev. 43, 557–566.

ISO, 2006. Environmental Management – Life Cycle Assessment – Requirements and Guidelines. EN ISO 14044:2006.

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Condor, R.D., Valli, L., De Rosa, G., Di Francia, A., De Lauretis, R., 2008. Estimation of the methane emission factor for the Italian Mediterranean buffalo. Animal 2, 1247–1253. https://doi.org/10.1017/S1751731108002292

Life cycle assessment in the agri-food sector: case studies, methodological issues, and best practices. In: Notarnicola, B., Salomone, R., Petti, L., Renzulli, P.A., Roma, R., Cerruti, A.K. (Eds.), 2016. The International Journal of Life Cycle Assessment. Springer International Publishing, Switzerland. https://doi.org/10.1007/s11367-015-0977-5, 2015

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