Rapporto n.084 del “MATERIE PRIME CEREALI E DINTORNI ECONOMICI” anno 11°

Lasciando stare per una volta le quotazioni, riassumo la situazione:

Dopo due anni di Covid che hanno visto cambiare il mondo, portando alla ribalta la fame di commodities scatenata prima dalla Cina nella sua ripresa post covid, poi dagli altri paesi  industrializzati, mandando in crisi la logistica, prima paralizzata dal covid e poi travolta dalla domanda, siamo arrivati ad un 2022 caratterizzato sino ad ora da una guerra combattuta e da due guerre sommerse ma evidenti (quella dell’energia e quella della speculazione), a cui si aggiunge come una ciliegina sulla torta il cambiamento climatico.

Ora la situazione delle commodities è sempre quella: scarsi Stock di riporto nel mondo, influenze del clima sulle qualità e quantità dei raccolti, e  speculazione spinta, ma a questo si stanno aggiungendo due fattori negativi, ovvero il costo energetico e i costi logistici.

Il costo energetico sta comportando riduzioni produttive in varie industrie, e questo sta portando a carenze di sottoprodotti.

I costi logistici, in aggiunta a quanto detto sopra, stanno portando ad un fenomeno che in Italia si riverbera maggiormente. Siamo infatti un paese che esporta specialties e prodotti finiti; se cala l’export si interrompono i flussi logistici. Cito un esempio: se importo mais, il mezzo arriva carico, scarica e ricarica altri prodotti e poi torna all’estero. Se tolgo il ritorno, perché non ho merce in esportazione, fermo anche l’import di quel camion; ma se quella merce che portava quel camion serve, l’utente nazionale cercherà sbocco sul proprio mercato, quindi ci sarà un camion nazionale che andrà al porto o altri silos interni a caricare quel prodotto. Questo spiega le lunghe file al carico nei porti e la carenza dei mezzi, perché impiegano molto più tempo al carico.

Se a questo aggiungo che scarseggiano altri sottoprodotti, la domanda di alcune materie prime di riflesso aumenta. A questo gioco perverso aggiungiamo un altro fattore: molti detentori di commodities agricole, sapendo dell’inflazione e delle possibilità che i corridoi del Mar Nero siano richiusi, non vendono ingolositi da prezzi più alti. Stessa cosa succede con venditori esteri che non vogliono vendere sui futuri per vari motivi: prezzi, logistica, imposizioni governative di restrizioni all’export.

Tutto ciò fa sì che se anche in origine qualche cedimento di quotazioni ci sia stato; qui è impercettibile, perché il mercato si è “inchiodato”.

Chi deve vendere non vuole vendere per timori vari, per attesa di quotazioni più alte, e chi vende vuole vendere solo la merce e non più il servizio di consegna, perché è diventato di difficile esecuzione e non vende poi sui futuri per “paura”. Chi deve acquistare, fatica a farlo perché le quotazioni sono alte, e perché i consumi calano.

Ora, in tale frangente l’unico fattore ribassista è quello del calo dei consumi che però si sentirà solo sul lungo periodo, tutti gli altri fattori (Stock – Produzioni – Trasformazioni – Costi Energetici – Costi Logistici) hanno in sé fattori rialzisti o di tenuta per “enne” mesi.

Riassumendo: il mercato non ha, salvo eventi imprevisti, possibilità di crollare, ma di tenuta, quello sì.

In tale situazione, vi ripeto, l’importante sarà avere merce certa se si è trasformatori, (materie prime x latte, carne e uova) e, se si è venditori, vendere la merce per mantenere il proprio bacino di utenza considerando di tenerlo “VIVO”.

Situazione da equilibristi o da “cerchio bottisti”? Non lo so! Certamente so che riusciremo a cavarcela con un approccio al mercato meno attento al solo costo/quotazione/prezzo.

Fonte: Officina Commerciale Commodities Srl