Allevatori si nasce, o si può anche diventare? La storia dell’azienda agricola “La Sopravissana dei Monti Sibillini di Silvia Bonomi”, quando la passione si fonde con la professionalità e la ricerca scientifica.
Spesso ho sentito dire che per fare certi tipi di lavoro, come quello dell’allevatore, devi assolutamente essere nato e cresciuto dentro determinati contesti. Non sono mai stata completamente d’accordo con questa affermazione, pur riconoscendo la particolarità di questo mestiere, perché sono fermamente convinta che l’elemento fondamentale per la buona riuscita di un progetto sia l’amore e la passione che si mettono nel realizzarlo, nel lavoro così come nella vita privata. Piacevole conferma al riguardo l’ho avuta quando ho ascoltato il racconto di Silvia, giovane imprenditrice della provincia di Roma, che, pur provenendo da un contesto assolutamente cittadino, ha voluto, con caparbietà e dedizione, mettere su un suo allevamento di pecore. Scavando un po’ più a fondo nella sua storia per capire come mai la passione per l’allevamento e come mai proprio per gli ovini, scopro che in realtà c’è un antico legame con la cultura pastorale, ma è puramente un legame di tipo affettivo con un nonno, il nonno paterno Giacomo Bonomi, pastore di Campagnano di Roma, transumante nella vallata di Ussita (Mc) fino al 1943. È proprio il ritrovamento di alcune sue foto insieme a delle pecore molto diverse da quelle comunemente viste, che accende la curiosità in Silvia e nel suo compagno Riccardo di scoprire qualcosa di più su questa razza. Apparivano come pecore dalla lana vaporosa, abbondante, dall’aspetto rustico e al tempo stesso antico, animali solidi, robusti e frugali, e che con le loro produzioni avevano dato la possibilità agli abitanti di quel tratto di Appennino umbro marchigiano di sviluppare un’economia fiorente.
I ragazzi decidono così di andare a fondo e scoprono che si tratta di una razza denominata “Sopravissana”, ottenuta grazie agli incroci di pecore locali “Vissane” con arieti di razza “Rambouillet” donati al Papa dal popolo francese nella seconda metà del XVII secolo. È il 2005 Silvia ha 20 anni e decide che da grande vuole allevare quelle pecore in maniera stanziale nella loro zona di origine, coinvolgendo Riccardo in questa avventura. Quando le domando come abbiano potuto avviare una simile attività due giovani provenienti da tutt’altro mondo lei sorridendo mi risponde: “probabilmente allevare non è per tutti, ma a me è venuto spontaneo” e prosegue “sarà quella che nei cani chiamano “memoria di razza” cioè un istinto innato, chissà!!!”.
Nel 2006, trasferitisi ad Ussita, iniziano ad acquistare i primi agnelli di varie razze merinizzate (Gentile di Puglia, Merinizzate da carne e derivate Merinos) andando alla ricerca di soggetti che si avvicinassero il più possibile alla razza impressa nella fotografia ritrovata. Il piccolo gregge di partenza risulta quindi un mix di pecore meticce, ma dopo un po’ di tempo la decisione diventa quella di specializzarsi nel recupero della purezza della razza Sopravissana, anche grazie al ritrovamento di un vero e proprio diario tenuto da nonno Giacomo in cui sono presenti disegni di tali soggetti con accurati dettagli come le corna dei montoni e addirittura ciuffi di lana conservati tra le pagine.
Presa la decisione, Silvia e Riccardo iniziano un lavoro di minuziosa selezione, tutt’ora in piedi, con il preziosissimo aiuto, da una parte dell’Associazione Nazionale Pastorizia (Asso.Na.Pa.) e, dall’altra, del mondo della ricerca, rappresentato in particolare dal professor Francesco Panella e della professoressa Francesca Maria Sarti dell’Università degli Studi di Perugia. L’inizio non è affatto semplice, la percentuale di scarto tra i nuovi nati tocca anche punte del 97% nei primi anni, ma con fatica e impegno le soddisfazioni iniziano ad arrivare fino ad ottenere un gregge che conta ad oggi 150 pecore e 4 montoni altamente selezionati e registra all’incirca l’1% di soggetti non conformi come riproduttori. Nell’ambito di questo continuo percorso selettivo, le collaborazioni sopra ricordate si rivelano fondamentali nell’approfondimento delle caratteristiche morfologiche della razza Sopravissana. Nel tempo, infatti, tra i nuovi nati, vengono segnalati con una certa frequenza dei morfotipi diversi dallo standard ma chiaramente omogenei tra loro, accade cioè che anche da animali altamente selezionati si ottenga una progenie dal vello nero, la pelle nera e una caratteristica macchia bianca sulla testa e sulla coda. Tutto ciò accende una forte curiosità, soprattutto in considerazione del fatto che il vello nero su fondo giallo è da sempre considerato un difetto dello standard (vedi la scheda tecnica “Vi presentiamo le razze: la Sopravissana“), mentre i soggetti sopra descritti sembrerebbero rappresentare una vera e propria variante genetica della razza. Come sempre la collaborazione dell’Università di Perugia nell’eseguire le analisi genetiche e nel condurre insieme al dr. Giacchè una minuziosa ricerca storica di tipo documentale, nonché le valutazioni morfologiche effettuate dagli esperti dell’Asso.Na.Pa., hanno contribuito ad approfondire l’argomento e si prevede che a breve sarà completato e pubblicato tutto il lavoro scientifico sugli aspetti genetici e morfologici della “variante moretto” ovviamente rispettando il requisito “non a fondo giallo”, che è invece indice di meticciamento più o meno pregresso, come correttamente indicato nella scheda di razza dell’Asso.Na.Pa. pubblicata su Ruminantia proprio la scorsa settimana (clicca qui per leggerla).
Nel proseguire il racconto del loro assiduo lavoro di selezione, Silvia, parlando dei numeri che caratterizzano a livello nazionale la razza, sottopone alla mia attenzione la novità occorsa negli ultimi anni, ovvero il passaggio da “libro genealogico” a “registro anagrafico”. Questo cambiamento ha comportato la possibilità di poter iscrivere anche soggetti con ascendenza sconosciuta se presentanti i caratteri di razza, ed ha permesso di arrivare ad un patrimonio genetico di circa 5.000 capi, a fronte dei 1.800 iscritti al libro con ascendenze note. Sicuramente va vista come un’opportunità di crescita per la razza stessa, ma è chiaro che sarà necessaria una grande attenzione sul territorio per gestire e limitare tempestivamente gli inevitabili difetti che le generazioni successive alla prima iscritta potranno presentare.
Passiamo poi a parlare della gestione aziendale nella sua quotidianità, e chiedo di raccontarmi un po’ quale sia la loro organizzazione e come si svolgano le giornate sui Monti Sibillini. Come detto inizialmente, il tipo di allevamento attuato è stanziale nel periodo invernale e si svolge nella zona del fondo valle del Nera, dove gli animali sono stabulati in una stalla di legno, a seguito del crollo di quella che avevano avuto in concessione dal Comune con il terremoto del 2016, e hanno accesso ad un paddock esterno di 3.000 metri nelle ore più calde del giorno. Nei mesi estivi invece, da metà maggio a metà ottobre circa, vengono portati in altura adottando la tecnica del pascolo turnato utilizzando delle recinzioni amovibili che quotidianamente vengono spostate. Ci si trova infatti all’interno di un parco naturale e pertanto le regole da rispettare sono molte, nonché la convivenza con i selvatici che risulta piuttosto impegnativa. Per tale motivo Silvia enfatizza il fondamentale ruolo che i cani da guardiania svolgono nel preservare il gregge, (argomento molto importante affrontato da Ruminantia anche in altri articoli, come “Gli antichi guardiani delle pecore: una narrazione di Freddy Barbarossa e Domenico Ciccone“) anche in considerazione della numerosità di lupi presente. Non si potrebbe assolutamente fare a meno dell’ausilio di questi abili guardiani, anche se il passaggio di altri cani al seguito dei turisti a volte genera qualche incomprensione, ma il turismo è fondamentale così come l’allevamento per mantenere l’unicità di certi luoghi, pertanto, bisogna trovare un buon compromesso!
Prima di concludere questo viaggio nella storia della nascita e crescita dell’azienda agricola “La Sopravissana dei Sibillini”, chiedo a Silvia quali progetti abbiano in cantiere per il futuro, perché l’energia della sua voce lascia facilmente percepire che non è di certo una persona che raggiunto un obiettivo si ferma lì accontentandosi, tutt’altro… ne ha già in mente ancora molti altri. Mi risponde dunque che nel lavoro di selezione ed allevamento di questa razza per loro ha sempre giocato un ruolo fondamentale la pregiatissima lana che ad essa appartiene, che hanno considerato fin dall’inizio un valore aggiunto, e mai un oneroso scarto come è purtroppo divenuta per molti allevamenti. Dunque, mi risponde: “attualmente ci troviamo in cordata con un numeroso gruppo di allevatori più o meno storici di Sopravissana e prestissimo ufficializzeremo la modalità in cui ci siamo associati, perché siamo riusciti a trovare un importante sbocco di mercato per valorizzare il nostro prodotto in Italia e all’estero, che riconosce direttamente a noi pastori, e non ad un intermediario, il giusto compenso per un prodotto di altissima qualità”. Al momento non ci può dire di più, ma aggiunge che una piccola parte di prodotto verrà comunque mantenuta per produzioni artigianali italiane riservate a dei clienti a cui rivolgono un’unica richiesta per loro fondamentale: quella di recarsi ad acquistare presso le loro realtà, senza avvalersi di e-commerce o spedizioni, solamente con la voglia di andare personalmente a visitare i pascoli e gli allevamenti che custodiscono ed allevano con dedizione questa splendida razza ovina!
Per coloro che però, in attesa della bella stagione, volessero fare intanto un giro virtuale e conoscere meglio questa realtà marchigiana è possibile consultare: la pagina Facebook “Az. Agricola “La Sopravissana dei Sibillini” di Silvia Bonomi” o il sito internet: sopravissanadeisibillini.it.
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