Le opportunità della produzione di carne bovina possono sicuramente derivare dall’allevamento di animali da latte che eccedono la quota di rimonta negli allevamenti da latte, il cosiddetto DAIRY BEEF. Questo contributo non è da sottovalutare in termini qualitativi e quantitativi nel panorama italiano.

Il tema DAIRY BEEF è stato approfondito in una recente review scientifica pubblicata da un gruppo di ricercatori Italiani che hanno trattato altri argomenti quali la produzione futura di carne bovina dal punto di vista del mercato, dell’allevamento, della qualità della carne e dell’impatto ambientale. Il contenuto della review ad invito sulla rivista ANIMAL, una delle più prestigiose del settore, è stato riportato quasi integralmente nel recente articolo di Ruminantia “Animal Board Invited Review – Beef for future: tecnologie per una filiera della carne bovina sostenibile e redditizia“. Tale approfondimento fa parte del materiale supplementare dello stesso articolo.

Come noto, la produzione di carne DAIRY BEEF è particolarmente favorita dall’uso del seme sessato che aumenta l’enfasi della selezione genetica da latte e consente di produrre maggior numero di vitelli da incroci carne x latte. La valorizzazione di questa scelta potrebbe generare un grande risparmio in termini di terra e di costi di mantenimento delle madri di vitelli nei sistemi di vacche da latte o un significativo aumento della produzione di carne. In Europa le razze da carne preferite per incrociare le razze da latte includono la Blue Belgian, Charolais, Limousine, (Vellinga e De Vries, 2018) mentre in Asia e negli Stati Uniti sono utilizzate altre razze (Bown et al., 2016). L’uso dell’incrocio carne x latte per aumentare la produzione di carne era già indicato come strategia conveniente sia per l’allevamento di bovini rustici che per quello di bovini da latte nei primi anni 80, sottolineando che fino al 25% della carne bovina era prodotta con geni di razze da latte (Cartwright, 1983).

D’altra parte il DAIRY BEEF è stato in passato limitato in quanto il fabbisogno di mantenimento delle razze da latte è spesso dal 10 al 20% superiore a quello delle razze da carne (Cartwrigt, 1983), poiché hanno generalmente organi interni più grandi e metabolicamente più attivi (es. fegato) e depositi di grasso (es. grasso omentale e mesenterico) volti a sostenere le esigenze di produzione di latte (Bown et al., 2016). L’uso del seme da carne negli attuali allevamenti da latte potrebbe essere conveniente combinando l’uso del seme sessato da latte per le vacche migliori e il seme da carne per le geneticamente inferiori la cui prole è eliminata dalla mandria da latte (Ettema et al., 2017). Ciò è particolarmente vero quando il seme sessato viene utilizzato sulle generazioni più giovani e la strategia di allevamento è combinata con i test genomici (Hjortø et al., 2015; Ettema et al., 2017). Il mix di allevamento ottimale dipende dal valore dei vari tipi di vitelli che potrebbero essere prodotti (De Vries et al., 2008) e la convenienza economica, per la mandria da latte, sembra evidente con bassi costi di allevamento delle bovine, una migliore longevità delle vacche e i benefici economici derivanti dal miglioramento del livello genetico della mandria da latte (Ettema et al., 2017). In altri studi, la combinazione di seme sessato e incrocio da carne ha aumentato i profitti della mandria da latte di una media di 79,42 € (da 0 a 568 €) per vacca per anno con un 21,5% di vacche inseminate con seme di carne e con maggiori benefici nelle aziende con basso tasso di rimonta (Pahmeyer e Britz, 2020). Si possono evidenziare molti vantaggi per le filiere di carne bovina.

Potenzialmente una grande percentuale di vitelli da incrocio, nati da tori a doppia coscia, può migliorare quantitativamente e qualitativamente la produzione di carne bovina (Bittante et al., 2020a). Berry et al. (2019) dimostrano che con un’appropriata selezione di tori da carne da utilizzare su femmine da latte si possono ottenere prestazioni superiori per carcassa e per accrescimenti con solo un ridotto effetto collaterale sulle prestazioni delle vacche (cioè, 2-3% in più di distocia prevista e aumento della lunghezza di gestazione di 6 d). Gli stessi autori  affermano che dovrebbe essere sviluppato anche un indice da latte-carne per migliorare le prestazioni del sistema. Altri studi hanno osservato che l’incrocio DAIRY BEEF  ha migliorato il pregnancy rate nelle vacche dell’1,37 % e ha migliorato i parametri medi di fertilità della mandria e i vitelli venduti; inoltre, i valori di performance dei vitelli incrociati (Blue belgian o Simmental x Holstein) erano circa 3 volte superiori a quelli degli Holstein di razza pura (Bittante et al., 2020b). Nei sistemi europei di allevamento da latte basati sul pascolo, combinare l’uso del seme sessato con il seme di carne convenzionale sembra essere una delle uniche strategie che permettono l’espansione della mandria con redditi aggiuntivi (Murphy et al., 2016).

Inoltre, bisogna considerare che circa due terzi della produzione di carne bovina nell’UE-28 deriva dal settore da latte (Hocquette et al., 2018) e che L’UE-28 nel 2019 contava circa 23 milioni di vacche da latte (Nalon e Stevenson, 2019). Il settore da latte sta aumentando la sua specializzazione perseguendo obiettivi di miglioramento dell’efficienza e della produttività (Pulina et al., 2020), e la specializzazione per la produzione di latte diminuisce il contributo di vitelli in modo significativo soprattutto in Europa.

Da queste premesse si potrebbe ipotizzare un generale 20% di vacche da latte che potrebbero essere inseminate con la carne bovina (da Pahmeyer e Britz, 2020) e un 80% di vitelli rustici destinati ai prodotti del mercato delle carni bovine. Per la carne DAIRY BEEF rispetto alla carne di vitello da latte di razza pura si può considerare un ciclo di crescita e ingrasso simile con pesi medi di 550 kg alla macellazione (es: Holstein vs. Limousine x Holstein o incroci simili; Vestergard et al. 2019), aumenti di peso macellato del 9% in media, aumenti di carne della carcassa del 16% e aumenti di carne lavorata per miglior resa allo spolpo del 23% (Vestergard et al. 2019). Questo dovrebbe generare un guadagno aggiuntivo totale nella produzione di carne bovina nell’UE-28 che potrebbe corrispondere a 118.000 tonnellate aggiuntive di peso in carcassa ma con carne nel mercato UE di qualità e valore di mercato molto più elevati.

In effetti, l’aumento previsto nella produzione di carne dovrebbe essere molto più alto a livello di sistema reale poiché spesso i tori Holstein sono macellati a pesi vivi molto bassi (<300 kg) mentre gli incroci raggiungono pesi più alti alla macellazione (> 500 kg) e le razze a doppia coscia sono spesso usate per il diary beef (Blue Belgian) con ulteriori rese di carne allo spolpo e migliori punteggi di qualità con ulteriori vantaggi economici. Nei sistemi danesi il vantaggio economico di questa pratica ha portato l’allevamento a +0,70 € di ricavi netti per giorno con cicli da 500 giorni (Vestergard et al. 2019). Altri vantaggi possono essere evidenziati dal punto di vista ambientale. Vellinga e De Vries (2018) hanno affermato che la pressione sulla specializzazione della produzione di latte per scopi economici e ambientali potrebbe avere un effetto collaterale legato agli impatti della produzione di carne bovina.

Le intensità delle emissioni di gas serra della carne bovina prodotta in sistemi specializzati per la carne bovina pura sono in media il 70% più alte di quelle della carne bovina prodotta in sistemi da latte specializzati. Questo principalmente perché nei sistemi specializzati di carne bovina, tutte le emissioni, comprese quelle del mantenimento delle vacche nutrici, sono attribuite solo alla carne bovina mentre nell’atro caso si attribuiscono in parte al latte. Di conseguenza, la compensazione della minore produzione di carne bovina dalla produzione da latte con quella dai sistemi specializzati di carne bovina potrebbe contribuire ad aumentare le emissioni di gas serra del settore bovino. Infatti, l’enfasi sulla specializzazione dei sistemi a duplice attitudine dovrebbe tener conto del fatto che l’impronta di carbonio della produzione di latte diminuisce con il livello produttivo solo se non si tiene conto della diminuzione della produzione di carne. Quando il livello di produzione di latte e carne sono considerati contemporaneamente, allora la specializzazione da latte riduce la produzione di carne che deve essere compensata con un numero aggiuntivo di vacche nutrici per la produzione di carne, creando un aumento generale dell’uso delle risorse, delle emissioni e dei costi di produzione (Zehetmeier et al., 2012). Recentemente, simulazioni eseguite nel sistema produttivo della Nuova Zelanda hanno dimostrato che l’integrazione della produzione di latte e carne bovina permetterebbe al settore della carne bovina neozelandese di ridurre le emissioni annuali di gas serra di quasi il 22% delle emissioni totali, mentre il settore lattiero-caseario ridurrebbe l’eccedenza di vitelli da latte macellati a partire dai 4 giorni di vita con implicazioni sociali rilevanti (Van Selm et al., 2020). Gli stessi autori hanno affermato che la sfida nel ridurre le emissioni di gas serra della produzione di latte e carne bovina richiede un approccio integrato, al di là dei confini del sistema delle aziende da latte e bovine in genere. In questo senso maggior produzione di dairy beef a gestione intensiva potrebbe essere una valida soluzione da considerare in associazione alla diffusione di razze a duplice attitudine nei sistemi misti (Vellinga e De Vries, 2018).

In sintesi, potrebbero essere prodotti più vitelli DAIRY BEEF per la produzione di carne bovina, aumentando così la produzione e l’offerta di carne. Tuttavia, manca un mercato di riferimento; per questo il DAIRY BEEF (De Vries et al., 2008) e i limiti sono rappresentati anche dalle valutazioni della qualità, dai conseguenti prezzi di mercato e dall’accettazione dei consumatori per questo tipo di carne. Spesso si pensa che la carne da DAIRY BEEF sia generalmente considerata inferiore a quella prodotta da razze bovine tradizionali specializzate (Bown et al., 2016). Gli stessi autori hanno affermato però che questa convinzione non è supportata dalla letteratura scientifica che suggerisce che non c’è differenza tra le razze da latte e le razze da carne britanniche nel potenziale di accrescimento, nella resa di carne magra, nella resa dei tagli di prima scelta e nella qualità della carne prodotta se entrambe vengono allevate al pascolo in condizioni simili e macellate alla stessa età o allo stesso grado di maturità indicato come il rapporto fra peso vivo attuale e peso adulto). In effetti, alcuni autori non osservano nessuna differenza tra il vitelli da latte e quelli da carne di razza bovina britannica nella resa di tagli primari, di maggior valore in proporzione al peso della carcassa, anche se la classificazione della valutazione delle carcasse penalizza notevolmente la carne di razze incrociate rispetto a quella di razza pura (Muir et al., 2000). Questi recenti evidenze giustificano il fatto che di pari passo alla diffusione del DAIRY BEEF debba essere studiata una opportuna modifica delle griglie di valutazione delle carcasse (Bown et al., 2016).

La presente nota è una sintesi del seguente articolo scientifico pubblicato su ANIMAL  dove è riportata tutta la letteratura citata: Pulina, G., Acciaro, M., Atzori, A.S., Battacone, G., Crovetto, G.M., Mele, M., Pirlo, G., Rassu, S.P.G. 2021; Animal board invited review – Beef for future: technologies for a sustainable and profitable beef industry (2021) Animal, 15 (11), art. no. 100358.  DOI: 10.1016/j.animal.2021.100358

Autori: 

Giuseppe Conte, Alberto Stanislao Atzori, Fabio Correddu, Antonio Gallo, Antonio Natalello, Sara Pegolo, Manuel Scerra – Gruppo Editoriale ASPA