Frattaglie cibi abbandonati
Nel complesso e non ancora ben decifrato quadro delle odierne scelte e dei costumi alimentari degli italiani, bisogna constatare se non la disaffezione, almeno la minore propensione per alcuni cibi un tempo ricercati, ambiti ed apprezzati, come ad esempio le frattaglie dei ruminanti e di altri animali. Il fenomeno s’inserisce nella tendenza di un’alimentazione che pare slittare verso una progressiva diminuzione dei cibi d’origine animale privilegiando quelli d’origine vegetale, e nel mutamento di un gusto sempre meno indirizzato a sapori ed aromi decisi, a favore di quelli tenui e delicati. Il progressivo abbandono delle frattaglie in cucina e gastronomia s’inserisce anche in una mondializzazione e industrializzazione dell’alimentazione; le frattaglie sono alimenti delicati, che mal si prestano ad una distribuzione di massa, salvo qualche isolato caso particolare di alta gastronomia, come quello del foie gras e di alcune sue preparazioni in parte industrializzate. Senza sottovalutare le conseguenze economiche della perdita di alimenti per la nutrizione umana, non bisogna dimenticare che la progressiva riduzione, fino alla scomparsa, delle frattaglie dalla tavola degli italiani conduce alla perdita di importanti valori culturali e saggezze tradizionali.
Frattaglie, tradizioni e cultura
Troppo spesso si dimentica anche che non vi è cucina tradizionale, regionale e locale che fino ad un recente passato non avesse i suoi modi di cucinare questa o quella frattaglia, perché molte di queste erano quasi un elemento d’identificazione delle tante cucine dei territori italiani. Cosa sarebbe la cucina del popolo romano senza la coda alla vaccinara o la pajata? E la cucina del popolo veneto senza il fegato alla veneta o alla veneziana? O la cucina del popolo lombardo senza la busecca ed il lampredotto per il fiorentino? O la cucina toscana senza i crostoni con le interiora dei più diversi animali? E via di seguito, dalle Alpi all’estremità meridionale della Sicilia, dove anche il tonno e tanti altri pesci offrono le loro frattaglie. Senza dimenticare che anche il caviale è una frattaglia!
Mai come oggi dobbiamo riconoscere che le frattaglie sono entrate o stanno per entrare in una cucina delle carni da non dimenticare; conoscerle è infatti necessario per mantenere vive le cento, mille tradizioni della cucina italiana (leggi anche “Frattaglie bovine cucina e gastronomia“). Pur non sottovalutando l’indispensabile aspetto economico, culinario, gastronomico e nutrizionale delle frattaglie manca, o per lo meno non vi è, una sufficiente attenzione al valore antropologico che avevano e che stiamo perdendo. Un tempo non era così. Vincenzo Tanara (1603-1667), ad esempio, definisce le animelle “honore de’ conviti, delizie de’ golosi, ristoro degli ammalati” e con le tre semplici, espressive parole di onore, delizia, ristoro, delimita un cerchio di valori antropologici che si perde quando di questo cibo, come oggi avviene sempre più spesso, si teme solo la quantità di un qualche componente, oggetto di un terrorismo alimentare mediatico.
Frattaglie alimenti da Re
Nella matematica alimentare i conti possono essere diversi da quelli canonici e l’unità può avere non i soliti quattro quarti, ma ben cinque quarti. Dall’animale macellato (bovino o suino) si ricavano due mezzene, e da queste quattro quarti, due anteriori e due posteriori: quello che rimane è il Quinto Quarto, costituito dagli organi interni o (fegato, reni o rognoni, animelle, trippe), testa, coda, zampetti ecc. Un concetto chiaro, quello del quinto quarto, per il macellaio, anche se matematicamente è assurdo che un’unità possa venire divisa in cinque quarti. Il quinto quarto non è una parte trascurabile: a livello mondiale si calcola che esso costituisca una quantità pari a circa 20 milioni di tonnellate, con un commercio internazionale di 4 milioni di tonnellate. Altrettanto importante è il ruolo nutrizionale e gastronomico delle frattaglie (leggi anche “Frattaglie bovine e nutrizione umana“).
Le frattaglie, dal latino fractus, participio passato di frangere o spezzare, sono le parti spezzate e separate dalla carne. Quelle degli animali di grossa e media taglia (bovini, suini ed equini) comprendono animelle (timo e ghiandole salivari, pancreas), cervello, fegato, rognoni (rene), cuore, milza, polmoni, mammella, trippa, coda ecc., mentre in quelli di piccola taglia (ovini e caprini) polmone, cuore e fegato sono compresi nella corata o coratella, senza dimenticare l’intestino degli animali giovanissimi: pagliata pulita (contenuto bianco di solo latte) e sporca (contenuto bianco verdastro per un’alimentazione anche con foraggio).
Frattaglie, sottoprodotti poveri di macelleria o ben di più? Per rispondere ci aiuta la denominazione di rigaglie o regaglie, utilizzata per i volatili di bassa corte: polli, tacchini e galline di faraone, piccioni, oche, anitre. In questi animali, le rigaglie o frattaglie comprendono fegato, cuore, ventriglio (o magone, maghetto), granelli (testicoli) ed anche cresta e bargigli. Il termine, secondo un’accattivante, anche se non molto convincente, etimologia, deriva dal latino regalia, da regalis: “da re”, degno di un Re, nel senso quindi di boccone da re! Ma più probabilmente il termine deriva dal fatto che spesso i visceri del pollame, comprese le budella, erano regalati ai poveri.
Non si dimentichi tuttavia la leggenda dei “fagioli” di Ferdinando II di Borbone (1810 – 1859), Re delle Due Sicilie passato alla storia come Re Bomba. Quando questo Re in Sicilia frequentava Noto faceva precedere il suo arrivo da una richiesta particolare rivolta al Marchese di S. Alfano, suo gentiluomo di corte, in cui si raccomandava che a desinare ci fossero “i fagioli, e che siano tanti!”. La storia dei fagioli innervosiva il Marchese, il quale doveva darsi da fare per approntare quella quantità che occorreva per soddisfare la golosità augustissima, che li pretendeva a pranzo e cena. I gloriosi feudi di Alfano, Bauli, Falconara, Castelluccio e via dicendo, a comprendere la Sicilia Sudorientale, erano tutti visitati per reperire in quantità quei “fagioli” che in realtà erano i testicoli di pollo, i cosiddetti bottoni.
Frattaglie e regaglie o rigaglie tutt’altro che sottoprodotti, ma bocconi da Re, come dimostra la tradizione e le attuali ricerche scientifiche che le rivalutano come alimenti funzionali! In ogni modo, le frattaglie sono, anzi erano, un alimento di grande considerazione, che consente, in particolare per alcune parti, di preparare prelibati piatti tipici e tradizionali, ricercati dai buongustai. Ora però, a causa di una serie di considerazioni errate e di nuovi pregiudizi, molte frattaglie non sono più gradite, ad iniziare dai rognoni e dal fegato, per non parlare delle trippe. In modo analogo si stanno perdendo molte ricette tradizionali.
Gli animali carnivori preferiscono le frattaglie
Oggi le frattaglie sono cadute in un progressivo disuso, fino a suscitare a volte avversione ed anche orrore. Molte sono le possibili spiegazioni di questa avversione culturale; tra queste, forse tra le più importanti, vi è un’ancestrale animalità che vogliamo superare.
La nostra specie, e quelle che l’hanno preceduta, ha da sempre avuto un’alimentazione varia. In questa la carne era un cibo ambito perché, sia pure in un’alimentazione onnivora, siamo dei mangiatori di carne come molti animali. La prima cosa che fa un animale carnivoro, appena abbattuta la preda, è aprirne la cavità addominale e rapidamente mangiare gli organi interni. I visceri sono più morbidi e ricchi di nutrienti e acqua, mentre le masse muscolari, i tendini, le ossa e le cartilagini del corpo sono difficili da ingerire e nel frattempo possono arrivare altri predatori costringendo l’animale a fuggire rimanendo a bocca asciutta. In ecologia questo comportamento è parte della Optimal Foraging Theory, teoria dell’alimentazione ottimale. Gli organi interni hanno inoltre un’elevata quantità di proteine, per cui all’interno di un branco mangiare gli organi interni come il cuore o il fegato spetta al capo, che ricopre un ruolo di supremazia, un comportamento che si trova anche in una nostra atavica animalità, rinforzato anche dal fatto che ogni viscere ha una sua sapidità, spesso associata ad un complesso immaginario mitico e simbolico. Recentemente, nella nostra evoluzione culturale, un’umanità sempre più urbana sembra si voglia staccare dalla ferinità, e quindi abbandona i gusti forti delle frattaglie che hanno perduto anche gran parte delle loro simbologie.
Simbologie delle frattaglie
Diversi sono i criteri con i quali le varie società e culture identificano quel che è buono da mangiare e lo separano dal quel che non è buono, ed in modo analogo è per la qualità degli alimenti, non di rado individuata come “virtù”. In particolare per le frattaglie bisogna rifarsi al pensiero magico, per il quale si ritiene che anche gli alimenti portino i segni indicatori delle loro attività.
Precisi indizi del pensiero magico li troviamo già nel popolo degli Etruschi, che ritenevano di poter interpretare anche il futuro attraverso i segni del volo degli uccelli, del cielo e nel fegato degli animali sacrificati agli dei. Le virtù o i pericoli degli alimenti, che sarebbero segnati sull’alimento stesso, erano ancora in auge ai tempi di Paracelso (1493-1451) e di Herman Corning (1606-1681) e soltanto nel 1846, quando Rudolf Bucheim fonda il primo istituto di farmacologia e tossicologia sperimentale, i visceri possono venire giudicati buoni o cattivi in conformità a criteri precisi e ripetibili di tipo scientifico. Una certa cultura della segnatura dei cibi rimane però fino ai nostri giorni, come dimostra la credenza di poteri erotici insiti in alimenti che hanno forme ed aspetti che richiamano, anche vagamente, gli organi sessuali maschili o femminili.
Voglia antica di frattaglie
L’uomo preistorico, come molti suoi antenati ed animali, si alimentava di visceri di cui era avido e che sono rimasti nell’alta cucina ed in quella tradizionale. Senza arrivare a ritenere che esista una fame specifica per i visceri, anche se è stata sospettata per il midollo osseo ed il cervello, entrambi ricchi di lecitine, le molecole strategiche contenute nelle frattaglie giustificano il loro uso alimentare. Anche una lunga e diffusa tradizione testimonia l’importanza che le diverse culture umane hanno sempre attribuito ai visceri animali, come tramite per interpretare i voleri divini (aruspici etruschi) e come alimenti di pregio e dotati di particolari azioni benefiche per l’organismo, fino al punto di arrivare al cannibalismo rituale (cerebrofagia della Nuova Guinea, con il conseguente Kuru). Altrettanto importante e diffusa è la tradizione che i visceri degli animali, più che la loro carne, siano carichi di rilevanti virtù o vantaggi nutrizionali. Al riguardo basta ricordare le credenze sulle qualità di questi alimenti che avevano gli antichi Egizi ed i Romani, o ancor oggi molti popoli i cui costumi sono studiati dall’etnomedicina. Più vicino a noi, come esempi si possono ricordare la scoperta nel fegato del fattore antianemico estrinseco del Castle attraverso il quale si è giunti alla vitamina B12 ed il successo che in un non lontano passato ha avuto l’opoterapia (terapia effettuata con estratti d’organo). E’ un approccio che oggi vediamo risorgere, sia pure con altre prospettive d’applicazione, nella nutraceutica effettuata con i sopra citati alimenti funzionali che contengono preziosi nutrimenti, le molecole strategiche.
Dopo aver scoperto cosa sono le frattaglie e la loro storia nella cucina italiana, abbiamo approfondito il loro ruolo nella nutrizione umana nell’articolo “Frattaglie bovine e nutrizione umana“.
Per saperne di più sull’uso delle frattaglie in cucina e sui segreti per rendere questi alimenti un piatto gustoso, leggi invece “Frattaglie bovine cucina e gastronomia“.
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.
Scrivi un commento
Devi accedere, per commentare.