Il cambiamento climatico ha il potenziale di influire negativamente sulla salute degli animali, con conseguenze sul benessere degli stessi, sulle emissioni di gas serra, sulla produttività, sulla salute umana e sulla disponibilità di mezzi di sussistenza (Osei-Amponsah et al., 2019). In quasi tutte le regioni del mondo, il cambiamento climatico porta ad un aumento della temperatura, un fotoperiodo alterato ed una diminuzione delle precipitazioni che causano, a loro volta, una riduzione della qualità e quantità di alimenti, una minore disponibilità di acqua e un’elevata suscettibilità alle malattie (Angel et al., 2018).
Secondo un report redatto nel 2014 dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), l’aumento di temperatura osservato dalla metà del XX secolo è probabilmente dovuto all’aumento dei gas serra prodotti dall’uomo, mentre è molto improbabile (< 5%) che il cambiamento climatico sia dovuto soltanto a cause naturali (Pachauri et al., 2014). Secondo i dati climatici, si stima che il riscaldamento globale porterà ad un aumento di temperatura di 5,5°C entro il 2050 (Figura 1) e di un altro grado e mezzo entro il 2100 (Figura 2) (Hollings et al., 2018).
Figura 1: Scenario anno 2050 con aumento di temperatura pari a 5,5°C (Fonte: sedac.ciesin.columbia.edu/mva/ccv).
Figura 2: Scenario anno 2100 con aumento di temperatura pari ad ulteriori 1,5°C (Fonte: sedac.ciesin.columbia.edu/mva/ccv).
La review a cui si riferisce questa sinossi aveva lo scopo di presentare il concetto di plasticità fenotipica con particolare attenzione al settore zootecnico e, di conseguenza, individuare geni associati a variabili climatiche come lo stress da caldo, l’aumento delle temperature e l’indice temperatura – umidità (THI).
La plasticità fenotipica è la capacità di un genotipo di produrre fenotipi diversi, a seconda delle condizioni ambientali, biotiche o abiotiche (Alford et al., 2006); è un fattore che influenza e modifica i geni degli organismi animali e vegetali, per l’adattamento ai cambiamenti climatici (Lacetera et al., 2009). Negli studi di genetica di popolazione, la varianza fenotipica può essere utilizzata come carattere di plasticità (Figura 3). Nel settore delle Scienze Animali sono stati adattati diversi modelli statistici per spiegare le basi genetiche della risposta plastica: sovradominanza, pleiotropia ed epistasi. La sovradominanza stabilisce che la plasticità è una funzione inversa dell’eterozigosi (più un genotipo è eterozigote, meno sarà plastico, poiché l’eterozigosi attenua le influenze ambientali) (Sato e Stryker, 2008). La pleiotropia afferma che la plasticità deriva dall’azione di un gene nella determinazione di caratteri diversi espressi in ambienti diversi (Des Marais e Juenger, 2010). L’epistasi prevede che la plasticità di un gene influenza e sovrasta l’espressione fenotipica di un altro gene (Remold e Lenski, 2004).
Figura 3: Capacità di un genotipo di produrre più di un fenotipo quando esposto a diversi ambienti.
Fra le diverse variabili climatiche, lo stress termico è stato segnalato come il fattore più dannoso per l’economia del settore zootecnico. Esistono numerosi geni candidati associati all’adattamento di ruminanti, monogastrici e avicoli allo stress da calore. Ad esempio, i geni che codificano la leptina (LEP), il recettore dell’ormone tiroideo (THR), il fattore di crescita dell’insulina-1 (IGF-1) e i recettori dell’ormone della crescita (EGF-family), sono associati agli impatti dello stress da calore sui processi fisiologici (produzione di latte, carne e uova; termoregolazione; cicli estrali) di tutti gli animali di interesse zootecnico (Flori et al., 2019).
In futuro, la produzione animale sarà probabilmente sempre più caratterizzata da sostanziali differenze tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo e, di conseguenza, tra produzione ad alta intensità e sistemi agro-pastorali su piccola scala. La futura domanda di prodotti di origine animale potrà essere soddisfatta solo mediante un’intensificazione sostenibile di un’economia a basse emissioni di carbonio (Nardone et al., 2010). Di contro, la necessità di adattarsi ai cambiamenti climatici e di ridurre le emissioni di gas a effetto serra aumenterà, senza dubbio, i costi di produzione e trasformazione delle materie prime e, quindi, del prodotto finito al consumatore finale (Green, 2009).
Con l’avvento della genomica si ha la possibilità di individuare varianti genetiche (polimorfismi) a livello del DNA capaci di marcare la presenza di un locus con effetto su un carattere quantitativo (QTL). L’identificazione di questi polimorfismi è stata resa possibile, già da diversi anni, grazie alla genotipizzazione di un elevato numero di marcatori molecolari detti SNPs (polimorfismi di singoli nucleotidi) tramite l’utilizzo di array a DNA.
Mediante l’utilizzo di tali strumenti di ultima generazione, quindi, si sta puntando all’identificazione di associazioni tra varianti genetiche (SNPs) e caratteri di interesse e alla successiva selezione di animali ecologici, a “minor impatto ambientale”, in termini di consumo di alimenti, efficienza metabolica e riduzione delle emissioni di metano in atmosfera (De Haas et al., 2011).
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SINOSSI: Italian Journal of Animal Science, 2020, 19:1, 997-1014. “The genetics of phenotypic plasticity in livestock in the era of climate change: a review.” di Giacomo Rovelli, Simone Ceccobelli, Francesco Perini, Eymen Demir, Salvatore Mastrangelo, Giuseppe Conte, Fabio Abeni, Donata Marletta, Roberta Ciampolini, Martino Cassandro, Umberto Bernabucci e Emiliano Lasagna.
DOI: doi.org/10.1080/1828051X.2020.1809540
Review realizzata nell’ambito delle attività condotte dalla Commissione ASPA “Adattabilità dei sistemi zootecnici ai cambiamenti climatici” e dal “Centro interuniversitario di adattabilità dei sistemi zootecnici ai cambiamenti climatici (ASIZOCACLI)”.
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Bibliografia
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SCRITTO DA: Giacomo Rovelli e Emiliano Lasagna, Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali (DSA3), Università degli Studi di Perugia, Perugia (PG). Email: giacomo.rovelli@studenti.unipg.it, emiliano.lasagna@unipg.it
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