Negli ultimi anni gli allevatori di bovine da latte si sono sempre più specializzati sull’animale in produzione, spesso trascurando la rimonta, che rappresenta il futuro della stalla. Questo atteggiamento va cambiato: le prime fasi di vita influenzano infatti la produzione della futura vacca da latte. Precisamente, è il livello ottimale di nutrizione nelle prime fasi di vita che favorisce una crescita più rapida, l’inizio della pubertà ed una maggiore produttività (Garg et al., 2016). Purtroppo, però, mancano delle linee guida su come alimentare i vitelli: vi sono infatti diversi pareri su quale sia la tecnica più promettente e dunque svariate modalità di gestione.
A tal proposito il progetto FABELLO (FAttori gestionali associati al BEnessere e alla salute del viteLLO), finanziato dal Piano di Sviluppo 2019-21 dell’Università degli Studi di Milano, ha tra gli obiettivi l’identificazione delle modalità gestionali migliori, tra le quali rientrano le tecniche di alimentazione, per incrementare la salute ed il benessere dei vitelli.
La prima fase del progetto prevedeva un questionario online, al quale hanno aderito 118 aziende dislocate sul territorio nazionale, con lo scopo di ottenere informazioni aggiornate sulle pratiche attualmente in uso e sui problemi sanitari riscontrati in Italia. Ciò ha permesso di approfondire aspetti inerenti la somministrazione del colostro, del latte e dei primi alimenti solidi in allevamenti bovini di diversa provenienza: 108 situati nel Nord Italia (Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Trentino-Alto Adige e Veneto), 3 nel Centro Italia (Lazio, Toscana), 5 nel Sud Italia (Puglia, Calabria, Campania), 1 dall’Australia e 1 non ha dichiarato la provenienza.
Modalità di utilizzo del colostro
Dall’indagine effettuata è risultato che quasi tutte le aziende (92%) danno il colostro entro 6 ore dalla nascita, come imposto dalla legge. Più della metà degli allevamenti (54%) garantisce una somministrazione entro 2 ore dalla nascita: dato ottimale poiché la permeabilità intestinale, che permette l’assorbimento degli anticorpi, è molto elevata nelle prime 4-6 ore di vita, poi diminuisce rapidamente e si azzera a 24 ore (PennState Extension, 2020).
Lo strumento utilizzato maggiormente per somministrare il colostro è il biberon (81,3%); solo il 3,4% di queste aziende è dotata anche di sonda esofagea, utile per garantire l’assunzione del primo latte in caso il vitello si rifiutasse di ingerirlo.
Per quanto riguarda il tipo di colostro utilizzato, l’80,4% degli allevamenti usa quello materno e l’11% di questi, in caso di evenienza, usa la banca del colostro (refrigerato o congelato).
Per la buona riuscita del trasferimento passivo degli anticorpi materni al vitello, però, non basta somministrare il colostro nelle giuste tempistiche: è importante anche verificarne la qualità, ossia la concentrazione di immunoglobuline G in esso contenute. Esistono vari metodi di misurazione qualitativa, ma certamente oggi il più veloce e sicuro è quello del rifrattometro, che funziona con poche gocce di colostro e fornisce un valore quantitativo: l’ottimale è 22° BRIX=50mg di IgG/mL (Amodeo, 2013). In tal modo è possibile utilizzare e conservare solo il colostro di qualità, che permetterà un miglior passaggio dell’immunità passiva al vitello.
Modalità di somministrazione del latte
Il latte è l’alimento che permette una rapida crescita nelle prime settimane; in particolare, dovrebbe essere somministrato quello vaccino almeno per i primi 7-10 giorni, poiché l’apparato digerente del giovane animale è dotato essenzialmente di caglio: enzima specifico per la caseina, proteina del latte (PennState Extension, 2020).
Poco meno della metà (47,5%) delle aziende dichiara di usare il latte aziendale fino allo svezzamento, ma solo l’11% lo pastorizza. Il trattamento termico è fondamentale per debellare la maggior parte dei patogeni e ridurre la carica batterica contenuta, altrimenti la salute del vitello a livello dell’apparato digerente viene danneggiata, incrementando casi di diarrea e relativi costi per le cure. D’altra parte la procedura di pastorizzazione è piuttosto complessa, la condizione ideale è che le qualità igienico-sanitarie del latte da somministrare ai vitelli siano ottime (Zucali, 2019). Purtroppo vi sono ancora aziende (5%) che somministrano latte di scarto (antibiotato o mastitico), nonostante sia sconsigliato poiché causa fenomeni di antibiotico resistenza, alterazione della flora microbica intestinale, trasferimento di agenti patogeni e riduzione dell’ingestione. Invece il 51,7% usa solo latte ricostituito che, però, a causa dell’assenza di caseina sostituita da proteine di origine vegetale, è meno digeribile (Sandrucci, 2014).
Figura 1. Tipologie di latte somministrato.
Come strumento per la somministrazione del latte è ormai diffuso il secchio con la tettarella (51,7%). Si tratta di una soluzione vincente perché controlla il flusso del latte, interrompendo la deglutizione del vitello ed incoraggiando la corretta suzione e la produzione della quantità di saliva necessaria per ottenere la buona salute del vitello, un’adeguata produzione di caglio, un maggiore aumento ponderale e una riduzione dei fenomeni di suzione incrociata. Inoltre, la stimolazione della chiusura del canale esofageo, ossia la formazione del tunnel che collega l’esofago direttamente all’abomaso ed evita che il latte entri nel rumine provocando disordini digestivi, è strettamente congiunta all’atto di succhiare (Mendolia, 2008). Il classico secchio è però ancora utilizzato dal 35,6% delle aziende. Una piccola quota invece usa la lupa (5,9%), ossia distributori automatici che permettono una riduzione della manodopera e, nel caso dei modelli più tecnologici, un’alimentazione di precisione.
Somministrazione del mangime di avviamento
La Direttiva Ce 2008/119 indica che “una dose giornaliera di alimenti fibrosi deve essere somministrata ad ogni vitello dopo la seconda settimana di età”. Quasi tutti gli allevamenti (94,9%) che hanno partecipato all’indagine dichiarano di somministrare il mangime di avviamento, detto “starter”, ed il 90,7% lo dà prima o a partire dalla seconda settimana. Esso contiene una quota di fibra e quindi è conforme all’obbligo di legge, ma la disponibilità è anticipata poiché tale alimento concentrato ha come funzione principale lo sviluppo delle papille ruminali. Esse crescono grazie all’assorbimento dell’acido butirrico ed in parte del propionico attraverso la parete ruminale (Zucali, 2019). Tali acidi derivano dalla fermentazione dell’amido, ingerito attraverso il consumo dello starter. Per favorire quindi lo sviluppo delle papille ruminali si predilige il mangime di avviamento e non il fieno, che invece è precursore dell’acido acetico, il quale rallenterebbe la crescita delle papille. Una somministrazione tardiva dello starter comporta un ritardo nello sviluppo del rumine e quindi un passaggio da monogastrico funzionale a ruminante (svezzamento) più difficoltoso e lento (PennState Extension, 2020).
Per il 76,2% dei casi lo svezzamento è effettuato tra i 2 ed i 4 mesi: l’età media all’evento è di 72,5 giorni.
Figura 2. Età allo svezzamento.
Un aspetto molto sottovalutato è la disponibilità di acqua, che in realtà è essenziale sia per la sopravvivenza sia per la crescita del vitello. Molti studi hanno dimostrato che la presenza di acqua sempre a disposizione del vitello aumenta notevolmente la quantità di mangime starter da esso consumata. Dunque l’adeguata assunzione di acqua va ad influenzare positivamente lo sviluppo del rumine ed aumenta il tasso di crescita dei vitelli (Corbett, 2013). Se non viene data nelle primissime fasi si rischia di ridurre la possibilità di esplicare la potenzialità produttiva futura.
Ulteriori risultati riguardanti il progetto FABELLO sono riportati negli articoli:“Una fotografia della gestione della vitellaia negli allevamenti italiani” e “L’importanza della qualità dell’aria nelle vitellaie”.
Bibliografia
- Amodeo P. (2013), La gestione delle vitelle dalla nascita alla gravidanza, L’INFORMATORE AGRARIO, n. 45, p. 16-20.
- Garg M. R., Bhanderi B. M., Shankhpal S., Goswami A., Sherasia P. L. (2016), Impact of calf nutrition on overall production and productive life of cattle and buffaloes, CAB INTERNATIONAL Reviews, n. 42, ISSN 1749-8848.
- Corbett R. B. (2013), Transition management for dairy calves, BOVINE VETERINARIAN, p. 22-24.
- Mendolia C. (2008), I vitelli, TRENTAGIORNI, p. 49-57.
- PennState Extension (2020), Dairy Colostrum 101, https://extension.psu.edu, visitato novembre 2020.
- PennState Extension (2020), Rumen Development in the Dairy Calf, https://extension.psu.edu, visitato dicembre 2020.
- Sandrucci A. (2014), Appunti del corso “Tecniche di allevamento”, Corso di laurea in Scienze e Tecnologie agrarie.
- Zucali M. (2019), appunti del corso “Allevamento dei ruminanti”, Corso di laurea in Scienze Agrarie.
Autori
Martina Pavesi, Stefania Colombini e Maddalena Zucali – Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali – Produzione, Territorio, Agroenergia, Università degli Studi di Milano.
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