Il consumo di cibi ultra-processati sta guadagnando sempre maggiore attenzione in relazione al rischio di comparsa di malattia/mortalità, ma conosciamo poco sui principali fattori nutrizionali o sui potenziali meccanismi biologici alla base di tali associazioni. Uno studio italiano ha quindi analizzato la correlazione tra UPF ed il rischio di mortalità, testando quali fattori nutrizionali fossero alla base dei meccanismi di questa associazione.

La mole degli alimenti trasformati industrialmente è aumentata notevolmente negli ultimi decenni. Dato che, a livello globale, il loro consumo domina la catena di approvvigionamento alimentare nei paesi con alto reddito e visto che il loro consumo è in aumento anche nelle economie in crescita, comprendere l’impatto sulla salute di questi prodotti è diventato una tematica molto importante e da affrontare tempestivamente.

Nell’ultimo decennio sono stati concepiti diversi sistemi di classificazione dei processi di lavorazione degli alimenti, tra i quali il più importante è NOVA, che classifica gli alimenti in base al grado ed alla finalità dei processi industriali applicati per conservarli, estrarli, modificarli o crearli, piuttosto che in termini di contenuto di nutrienti. La classificazione NOVA prevede 4 classi principali di alimenti e bevande, l’ultima delle quali è rappresentata dal gruppo degli alimenti ultraprocessati (UPF). Si tratta di prodotti (es. snack, bevande, piatti pronti) “creati principalmente o interamente a partire da sostanze provenienti direttamente dagli alimenti o derivati da costituenti alimentari con pochi o senza nutrienti intatti, che spesso contengono aromi, coloranti ed altri additivi che servono ad imitare o intensificare le caratteristiche sensoriali dei cibi o delle preparazioni culinarie a base di certe tipologie di alimenti”. Questi cibi sono altamente convenienti (pronti al consumo), attraenti (iper-appetibili), economici, hanno una lunga durata di conservazione e sono altamente competitivi rispetto ai cibi naturalmente pronti da consumare e ai piatti e pasti preparati al momento.

I dati sul consumo a livello individuale indicano che i cibi ultra-processati costituiscono il 60% dell’assunzione di energia e contribuiscono al 90% dell’energia proveniente dagli zuccheri aggiunti negli Stati Uniti, mentre nei paesi Europei la percentuale di assunzione giornaliera di energia dagli UPF varia dal 24.4% al 36%.

Ad oggi, solo uno studio statunitense e 3 grandi studi di coorte europei hanno testato l’associazione tra UPF e gli esiti sulla salute, e tutti hanno riscontrato un aumento sostanziale del rischio di mortalità, di malattie cardiovascolari e di cancro. Nessuno ha però analizzato quali siano i potenziali meccanismi mediante i quali gli UPF possono essere dannosi per la salute umana.

Attualmente non è ancora chiaro se il processo stesso di lavorazione sia effettivamente importante quando si parla di salute, anche se le prove ottenute da studi meccanicistici suggeriscono che, oltre alla composizione dei cibi, dovrebbero essere tenuti in considerazione anche altri aspetti potenzialmente introdotti durante la lavorazione degli alimenti stessi (ad es. la struttura del cibo che può influire sulla sazietà).

Lo studio

Uno studio italiano ha valutato l’associazione tra UPF ed il rischio di mortalità in un grande campione di popolazione adulta italiana, testando quali fattori nutrizionali fossero alla base dei meccanismi di questa correlazione. I fattori di rischio accertati per le malattie cardiovascolari (CVD) sono stati analizzati come potenziali meccanismi biologici che collegano l’UPF alla mortalità.

E’ stata condotta un’analisi longitudinale su 22.475 uomini e donne (età media ± DS: 55 ± 12 anni) reclutati nello studio Moli-sani (2005-2010, Italia) e sottoposti ad un follow-up della durata di 8,2 anni. L’assunzione di cibo è stata valutata utilizzando un FFQ semi-quantitativo. L’UPF è stato definito utilizzando la classificazione NOVA in base al grado di trasformazione ed i consumi di UPF sono stati classificati come quartili del rapporto (%) tra UPF (g/die) e cibo totale consumato (g/die).

I Risultati

Gli individui che comunicavano la più alta assunzione di UPF (Q4, > 14.6% del cibo totale), rispetto alla più bassa (Q1, UPF < 6.6%), presentavano un aumento del rischio di mortalità per malattie cardiovascolari (HR: 1.58; 95% IC: 1.23, 2.03 ), di morte per cardiopatia ischemica (IHD)/patologia cerebrovascolare (HR: 1.52; IC 95%: 1.10, 2.09) e di mortalità per tutte le cause (HR: 1.26; IC 95%: 1.09, 1.46).

L’elevato contenuto di zucchero rappresentava il 36.3% della correlazione tra UPF con IHD/mortalità cerebrovascolare, mentre appariva improbabile che altri fattori nutrizionali (ad esempio i grassi saturi) fossero responsabili di questi meccanismi. I biomarker della funzionalità renale rappresentavano il 20.1% dell’associazione di UPF con mortalità per tutte le cause ed il 12.0% di quella tra UPF con mortalità per malattie cardiovascolari.

Conclusioni

Un’elevata percentuale di UPF nella dieta è associata ad un aumento del rischio di mortalità per malattie cardiovascolari e di mortalità per tutte le cause, in parte grazie all’elevato contenuto di zucchero presente in questa tipologia di alimenti. È probabile che alcuni biomarker consolidati del rischio di malattie cardiovascolari fossero alla base di tali associazioni.

Questi risultati dovrebbero incentivare la limitazione del consumo di UPF ed incoraggiare il consumo di alimenti naturali o solo minimamente trasformati, come raccomandano diverse normative nazionali sull’alimentazione.

 

Ultra-processed food consumption is associated with increased risk of all-cause and cardiovascular mortality in the Moli-sani Study

Marialaura Bonaccio,1 Augusto Di Castelnuovo,2 Simona Costanzo,1 Amalia De Curtis,1 Mariarosaria Persichillo,1 Francesco Sofi,3,4 Chiara Cerletti,1 Maria Bendetta Donati,1 Giovanni de Gaetano,1 and Licia Iacoviello,1,5 on behalf of the Moli-sani Study Investigators

Am J Clin Nutr 2020;0:1–10

https://doi.org/10.1093/ajcn/nqaa299