Il latte e latticini ovini e caprini sono considerati importanti fonti di nutrienti, in particolare grasso e proteine, di elevata qualità. Il consumo di tali alimenti ha mostrato diversi effetti positivi sulla salute umana, e ciò è stato messo in relazione, tra l’altro, con la presenza di alcuni acidi grassi che derivano dalla trasformazione degli acidi grassi polinsaturi (PUFA) della dieta, ad opera dei microrganismi ruminali.
Nonostante le produzioni mondiali di latte ovino e caprino insieme non superino il 3% della produzione totale di latte, l’attenzione del mondo scientifico verso i prodotti dei piccoli ruminanti è in costante aumento, anche in considerazione del fatto che, nel mondo, il consumo di latticini ovini e caprini è più che raddoppiato negli ultimi 50 anni e si prevede una tendenza in continua crescita per i prossimi decenni (Pulina et al., 2018). Parallelamente all’aumento della richiesta di questi prodotti, cresce anche l’attenzione dei consumatori, e di conseguenza di produttori e ricercatori, nei confronti delle qualità nutrizionali degli alimenti.
In questo contesto, l’incremento, negli alimenti, della concentrazione di acidi grassi ritenuti benefici per la salute umana rappresenta un campo di ricerca molto importante. Ne sono un esempio i diversi lavori condotti allo scopo di cercare di aumentare la concentrazione nel latte di acido alfa linolenico (C18:3 n3), considerato importantissimo nella prevenzione delle malattie cardiovascolari (Del Gobbo et al., 2016; Barbeau et al., 2017; Ganguly et al., 2018), e di migliorare di conseguenza il rapporto acidi grassi omega6 e omega3, visto che questo è considerato un indice importantissimo della qualità di un alimento o di una dieta, in relazione alla salute umana. Nel latte e nei latticini inoltre sono presenti acidi grassi che sono peculiari dei ruminanti, proprio perché derivano in parte o totalmente dalle attività enzimatiche che avvengono nel rumine degli animali. Tra i più conosciuti e studiati troviamo l’acido rumenico (c9,t11-CLA: l’isomero cis-9,trans-11 dell’acido linoleico) e l’acido vaccenico (C18 trans-11). Questi due acidi grassi sono tra i principali prodotti intermedi che originano dalla bioidrogenazione dei PUFA (Kepler et al., 1966). Tuttavia, la maggior parte dell’acido rumenico del latte viene prodotta per via enzimatica nelle cellule della ghiandola mammaria, a partire dell’acido vaccenico proveniente dal rumine. Numerose sono le evidenze scientifiche che attestano effetti benefici del c9,t11-CLA, tra i quali effetti anti aterosclerotici, antitumorali, antinfiammatori (Pintus et al., 2013; Yang et al., 2015; Ferlay et al., 2017)
Recentemente, gli acidi grassi a catena dispari e ramificata (OBCFA) che originano prevalentemente dai microorganismi ruminali, hanno suscitato l’interesse di diversi gruppi di ricerca in quanto hanno mostrato di possedere attività positive contro alcune patologie metaboliche dell’uomo (Pfeuffer and Jaudszus, 2016).
La dieta degli animali è tra i fattori maggiormente responsabili nella definizione della quantità e della qualità del grasso del latte (Chilliard et al., 2003; Nudda et al., 2014); in particolare, il contenuto in PUFA della dieta gioca un ruolo fondamentale nel determinare la quantità di acidi grassi benefici nel latte. Pertanto, diete basate sul pascolo o integrate con fonti lipidiche vegetali sono tra le strategie che hanno dato i migliori risultati nel migliorare il profilo degli acidi grassi del latte.
In un recente lavoro (Nudda et al., 2021) sono state analizzate le strategie alimentari più comuni impiegate per incrementare la concentrazione degli acidi grassi ritenuti benefici per la salute umana nel latte e latticini di capre e pecore, e sono state messe in evidenza le differenze con le quali le due specie rispondono a tali strategie.
Pascoli e dei foraggi
È noto che l’effetto positivo dell’incremento di PUFA, acido vaccenico e CLA nel latte degli animali tenuti al pascolo sia fondamentalmente legato al contenuto in ALA nell’erba fresca e nei foraggi verdi (Tsiplakou et al., 2006). Il contenuto in acidi grassi benefici possiede dunque un andamento stagionale che è funzione della disponibilità di erba e della sua qualità (Jahreis et al., 1999). In generale si riportano elevate concentrazioni di CLA in primavera (alta disponibilità e qualità dell’erba, quindi alto apporto di PUFA) e più basse in estate (minore disponibilità e qualità, basso apporto di PUFA). Un aspetto molto interessante evidenziato dal lavoro di Nudda et al. (2020) è che le capre mostrano una risposta diversa rispetto alle pecore. In particolare, il latte delle capre ha un contenuto in CLA decisamente inferiore rispetto a quello delle pecore, nonostante siano tenute sugli stessi pascoli (Nudda et al., 2003). Inoltre, la variazione stagionale è molto meno marcata rispetto a quanto avviene negli ovini. Le cause di queste differenze sono molteplici, e devono essere ricercate nelle differenze di comportamento al pascolo, ingestione, scelta delle piante, e tempistiche diverse nei pasti. Uno degli aspetti più importanti riportati nel lavoro è ad esempio il fatto che le capre, rispetto alle pecore, non amino particolarmente le leguminose; in questo modo si priverebbero dell’importante apporto di PUFA, dei quali queste specie foraggere sono ricche. In aggiunta, per le capre si riportano pasti più brevi e frequenti rispetto alle pecore (Abijaoudé et al., 2000); ciò garantirebbe un ambiente ed un pH ruminale più regolari favorendo una più completa bioidrogenazione degli acidi grassi insaturi, riducendone pertanto la concentrazione ne latte (compresi VA e RA).
Oli vegetali
L’inclusione di oli vegetali nella dieta dei piccoli ruminanti può essere considerata una buona strategia per incrementare l’energia della dieta e migliorare il profilo acidico del grasso del latte, specialmente quando il contenuto in PUFA della dieta è basso, come può verificarsi quando la maggior fonte di fibra è rappresentata dal fieno o insilato. Semi e oli di girasole, lino, soia, cartamo e colza sono tra le fonti lipidiche vegetali più impiegate in tal senso (Nudda et al., 2014; Sanz Sampelayo et al., 2007). Tra queste il più impiegato è il lino in quanto ricco in ALA; l’analisi dei dati in letteratura ha mostrato come l’impiego di questa fonte lipidica sia similmente efficace in entrambe le specie nell’incrementare la concentrazione di ALA nel latte (e quindi migliorare il rapporto n6/n3) nonché di acido vaccenico e acido rumenico.
Anche l’uso di olio di soia e di girasole ha mostrato un generale effetto positivo nel migliorare il profilo acidico del latte in entrambe le specie, anche se in questo caso vi è un aumento (atteso ma non desiderabile) del rapporto n6/n3, visto che le due fonti lipidiche sono entrambe ricche di acido linoleico (n6). Tra le due specie si è evidenziata inoltre una differente risposta al trattamento alimentare. In particolare, l’olio di girasole ha determinato un aumento percentuale di rumenico e vaccenico superiore nelle pecore rispetto alle capre; viceversa, l’olio di soia ha determinato incrementi maggiori di questi due acidi grassi nel latte caprino rispetto a quello ovino. Tale comportamento rimane poco spiegabile, anche alla luce del fato che le due fonti lipidiche possiedono una simile composizione in acidi grassi.
Olio di pesce e alghe
L’introduzione di oli ottenuti da pesci o alghe nella dieta dei ruminanti sembra essere un’interessante strategia per aumentare il contenuto di acidi grassi benefici nel latte. In particolare, gli oli di pesce ed alghe sono ricchi in acidi grassi essenziali (PUFA n3), ossia acidi grassi che non possono essere sintetizzati dall’uomo che pertanto li deve assumere attraverso la dieta (Lee et al., 2016). Considerando il ridotto consumo di pesce nella dieta umana, l’arricchimento di altri cibi con PUFA n3, attraverso l’impiego di supplementi di derivazione marina, potrebbe essere una valida strategia per incrementare l’apporto di acidi grassi essenziali nella dieta dell’uomo (Nguyen et al., 2019). Tuttavia, il trasferimento di questi acidi grassi nel latte è molto difficile poiché sono soggetti ad una intensa azione di bioidrogenazione. Una soluzione in tal senso è l’impiego di acidi grassi rumino protetti, che si è dimostrato utile nell’aumentare le concentrazioni di EPA e DHA (acidi grassi essenziali), VA e RA sia in pecore che in capre. Occorre però sottolineare il fatto che, in seguito all’uso di questo tipo di fonti lipidiche, è stata riscontrata in entrambe le specie un’aumentata incidenza della cosiddetta milk fat depression scoraggiandone di fatto l’impiego (Toral et al., 2018; Berndard et al., 2017).
Oli essenziali e polifenoli
Parte dell’articolo di Nudda et al. (2020) inoltre è dedicato all’analisi degli effetti di oli essenziali e polifenoli, non in quanto fonti lipidiche, ma perché mostrano degli effetti molto interessanti sul profilo acido del latte. Gli autori dell’articolo sottolineano come non ci sia una vasta letteratura riguardo l’uso degli oli essenziali in particolare negli ovini, e dall’analisi si evince che gli effetti seppur generalmente positivi nel migliorare il profilo acidico del latte, non sono sempre univoci. Tale incertezza nei risultati è legata all’elevata variabilità in termini di parti della pianta utilizzata, metodo di estrazione degli oli essenziali, grado di purezza, dose impiegata stabilità chimica ecc. (Cobellis et al., 2016).
Per quanto concerne l’effetto dei polifenoli, nell’articolo si evidenzia un generale effetto positivo sul profilo acidico del latte, in entrambe le specie. In particolare, si nota un aumento dei PUFA (inclusi acido linoleico e acido linolenico) ed una generale riduzione di acidi grassi saturi. Il meccanismo d’azione proposto per questi effetti è relativo alla inibizione della crescita e dell’attività di alcuni microorganismi ruminali responsabili della bioidrogenazione degli acidi grassi polinsaturi; ciò favorirebbe un maggior accumulo ruminale di questi acidi grassi e loro intermedi di bioidrogenazione (in particolare acido vaccenico e acido rumenico) e di conseguenza una maggior concentrazione nel latte (Correddu et al., 2019; Cabiddu et al., 2009; Vasta et al., 2010). L’analisi specifica sull’effetto dell’inclusione di polifenoli nella dieta di ovini e caprini sul contenuto in acido rumenico del latte mostra un effetto quasi sempre positivo, con un andamento che però non sembra essere dose dipendente. Ciò dipende da tutta una serie di fattori, quali il tipo di polifenoli considerato, la fonte, l’eventuale metodo di estrazione, e l’interazione con gli altri alimenti della dieta. Un altro aspetto sottolineato dagli autori del lavoro è relativo all’effetto dei polifenoli la stabilità ossidativa del latte. Questo aspetto è particolarmente importante per il latte e i latticini poiché l’ossidazione, in particolare l’ossidazione degli acidi grassi, è uno dei fenomeni che contribuisce maggiormente al deterioramento della loro qualità in termini di valore nutrizionale e proprietà funzionali. I risultati analizzati nel lavoro suggeriscono un effetto positivo dell’inclusione di estratti polifenolici o alimenti ricchi in polifenoli nella dieta di ovini e caprini proprio nel ridurre l’entità dei processi ossidativi nel latte e nei formaggi.
In conclusione, i risultati dell’analisi suggeriscono come nonostante ovini e caprini siano entrambi piccoli ruminanti, la loro risposta alle diverse strategie impiegate per migliorare il profilo acidico del latte possano dare effetti differenti. Il diverso comportamento al pascolo ma anche differenze nei processi metabolici che coinvolgono gli acidi grassi giocano un ruolo fondamentale nel determinare tali differenze.
La presente nota è una sintesi del seguente articolo scientifico pubblicato da Animals, dove è riportata tutta la letteratura citata: Nudda, A., Cannas, A., Correddu, F., Atzori, A.S., Lunesu, M.F., Battacone, G. and Pulina, G., 2020. “Sheep and goats respond differently to feeding strategies directed to improve the fatty acid profile of milk fat”. Animals, 10(8), p.1290.
Autori:
Giuseppe Conte, Alberto Stanislao Atzori, Fabio Correddu, Antonio Gallo, Antonio Natalello, Sara Pegolo, Manuel Scerra – Gruppo Editoriale ASPA
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