Negli scorsi giorni, un articolo pubblicato dal The Guardian ha raccontato l’introduzione della buona pratica del pascolo per la riduzione della biomassa vegetale, e quindi del rischio incendio, nel catalano Parc de Collserola alle spalle di Barcellona.

Negli oltre ottomila ettari che connettono le nove municipalità dell’area metropolitana (Barcelona; Sant Feliu de Llobregat; Sant Just Desvern; Esplugues de Llobregat; Montcada i Reixac; El Papiol; Molins de Rei; Sant Cugat del Vallés; Cerdanyola del Vallés) nel parco metropolitano più grande al mondo, la conservazione degli habitat naturali si integra in un mosaico di usi del suolo non solo boschivi: sono numerose le attività agricole autorizzate che producono, coltivano e gestiscono il territorio in coordinamento con l’area protetta, a beneficio della conservazione e perpetuazione della Natura, oltre che di economie rurali improntate anche ad una fruizione turistica dell’area.

Oltre il 60% del territorio del Parco è di proprietà privata e attualmente 290 tra pecore e capre, due pastori e quattro cani pastore, sono stati “ingaggiati” per gestire il carico di biomassa vegetale, per i tecnici del fuoco “biomassa combustibile”. Circa 70 ettari sono l’area pilota di un progetto finanziato dal Ministero spagnolo dell’Ambiente, e coordinato dalla Fondazione Pau Costa che, dal 2016, promuove cultura e prevenzione antincendio a livello internazionale. L’attività di pascolo controllato mira a ridurre la potenzialità dello sviluppo di incendi in aree “fire-prone”, ovvero suscettibili al fuoco: gli animali semplicemente brucano e pascolano, favorendo discontinuità verticale tra la vegetazione erbacea e arbustiva, erbacea e forestale, sottraendo quindi biomassa erbacea (spesso secca in estate), combustibile ideale per lo sviluppo di incendi.

L’aumento di superfici forestali in Europa negli ultimi decenni, e l’abbandono di aree un tempo coltivate o pascolate estensivamente, ma anche la mancata gestione delle aree di interfaccia urbano-rurali, costituiscono infatti lo scenario di sviluppo incendi soprattutto, ma non solo, estivi, situazione esacerbata dal cambiamento climatico che causa condizioni straordinarie cui assistiamo quotidianamente. Sulle cause di innesco, tralasciando quelle naturali che hanno poca incidenza nello sviluppo dei grandi incendi nell’Europa Mediterranea (meno del 10%), il recente articolo scientifico di Tedim et al (2022) conferma come in Europa il 38% degli incendi sia intenzionale, accorpando nella complessa classificazione dell’EFFIS (European Forest Fires Information System) in questa voce anche gli incendi derivanti daattività agricole; mentre quelli causati da vandalismo, conflitti socio-economici e da piromani costituiscono solo una piccola parte, sovrastimata nella percezione generale.

Nonostante dunque la riconducibilità di una certa percentuale di incendi ad attività agricole, legate a lavorazioni del suolo ma anche all’uso stesso del fuoco per il rinnovo di aree a pascolo, la zootecnia ha un ruolo importante nella lotta alla prevenzione incendi. Lo suggeriscono i risultati di numerosi progetti europei, e lo riporta il Recommendation report del progetto GrazeLIFE: il pascolo controllato ed estensivo in aree a rischio incendi contribuisce a ridurre il rischio, agendo direttamente sul carico di biomassa vegetale, e migliorando allo stesso tempo i livelli di biodiversità nei territori interessati dal carico animale, grazie alla distribuzione zoocora dei semi con il pascolo, al controllo delle infestanti, al mantenimento di habitat comunitari quali pascoli e praterie (molto utili anche per la fauna), alla concimazione naturale con carichi animali sostenibili, allo stoccaggio del carbonio e alla difesa delle aree boschive dagli incendi. 

Gli allevatori di ogni parte del Mediterraneo potrebbero dire “Niente di nuovo sotto il sole!”, ma in realtà la portata culturale dell’azione pilota è legata alla sua adozione come soluzione basata sulla natura (nature based solution) all’interno di un’area Natura 2000, da cui prendere spunto per replicarla in contesti nostrani, mitigando anche la conflittualità cui spesso si assiste nella gestione di aree protette tra enti preposti alla tutela della Natura e operatori agricoli. Sulla sostenibilità poi del pascolo in aree fragili, è comunque necessario favorire un carico sostenibile e tener conto di accorgimenti, ad esempio il confinamento in alcune aree, recintate ad esempio, per un miglior controllo degli animali (un’analisi su limitazioni e benefici sul pascolo caprino come pratica di prevenzione, è riportata nell’articolo di Lovreglio et al.2014). Il pascolo costituisce inoltre una importante alternativa che abbatte i costi di prevenzione legati alla pulizia di fasce antincendio con mezzi meccanici, ad esempio, oltre che di potenziamento dell’uso del fuoco prescritto, di cui parleremo prossimamente. 

Per sostenere le filiere zootecniche locali a supporto della prevenzione incendi in aree a rischio incendi, la Fondazione catalana Pau Costa, nell’ambito del progetto Ramat de Foc, promuove un marchio legato alle produzioni zootecniche inserite nel progetto di riduzione del carico di biomassa vegetale, per favorire la riconoscibilità da parte dei consumatori dell’inestimabile ruolo di presidio del territorio e perpetuazione dei servizi ecosistemici delle attività zootecniche estensive, al tempo stesso stimolo al consumo responsabile, comunicando il valore della qualità dei prodotti ovini, caprini e bovini derivanti dalle attività connesse alla prevenzione incendi nel territorio di provenienza dei prodotti alimentari.

Il recente studio di Soy-Massoni et al (2022) ha caratterizzato il consumatore ideale di carne d’agnello da filiera “fire-wise” nell’area di Barcellona, mostrando l’importanza di investire sulla comunicazione dei valori ambientali riferiti a tutta la filiera, che può aggiungersi o integrare etichettature da prodotti di denominazione di origine, per accrescere la fiducia e conoscenza sul ruolo dell’allevamento come agente di prevenzione incendi. Poiché esistono diversi profili di consumatori, la costruzione della fiducia nei confronti della filiera può richiedere strategie “target” rispetto al contesto in cui i consumatori provengono o in cui vivono (ad esempio aree metropolitane anziché comunità rurali) e alla loro età, ideando strategie ad hoc verso i consumatori più giovani anche attraverso piattaforme virtuali. Etichette che attestino il contributo alla prevenzione incendi supportano la profittabilità delle produzioni di filiera “fire-wise”. Una delle più forti limitazioni all’inclusione pro-attiva del pascolo come attività di prevenzione incendi dipende proprio dalla scarsa remunerazione dei prodotti derivati: senza il riconoscimento del valore aggiunto di questi prodotti, come emerso anche dal report del progetto europeo PREVAIL –  PREVention Action Increases Large fire response preparedness, finanziato dal Meccanismo di Protezione Civile dell’Unione Europea nel 2021, queste filiere hanno più difficile profittabilità. 

In Italia l’inclusione delle pratiche di pascolo nelle attività di prevenzione e gestione del territorio è richiesta da più parti: già all’indomani del disastroso grande incendio che percorse oltre 10mila ettari in tre giorni nell’area del Montiferru (Sardegna), la sezione sarda della Società Botanica Italiana divulgava un comunicato in cui segnalava come per una corretta prevenzione incendi sia necessario ripensare in maniera transdisciplinare le politiche e gli strumenti normativi di pianificazione del territorio e agro-forestali regionali, inglobando temi quali il pastoralismo e la gestione dei sistemi agro-silvo-pastorali, la conservazione della biodiversità e dei servizi ecosistemici, la lotta ai cambiamenti climatici, la tutela del suolo, la partecipazione delle comunità locali e degli imprenditori agricoli e forestali” e proponeva quale modello di gestione dei territori rurali “i sistemi forestali a mosaico, in cui aree di bosco naturale si alternano a boschi pascolati o soggetti ad utilizzazioni selvicolturali, pascoli arborati, garighe di piante officinali, radure, pascoli montani, aree coltivate”.

Successivamente, la Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale ha proposto, tra le dieci priorità per le foreste italiane, pubblicate a luglio 2022 sulla rubrica dedicata al #FocusIncendi, l’importanza di “investire nell’adattamento delle foreste agli stress climatici e nella prevenzione dei danni alle foreste dovuti agli incendi e agli eventi climatici estremi, che riducono o interrompono i benefici che le foreste forniscono alla società”. Intendendo la necessità di promuovere la resilienza dei territori anche non boscati al rischio incendi (aree rurali e di interfaccia) anche il fronte dell’ambientalismo è compatto: tra le dieci proposte di Legambiente pubblicate qualche settimana addietro insieme al report sugli incendi in Italia nel 2022, è promosso il “pascolo prescritto come strumento di prevenzione: il pascolamento con specie domestiche è […] riconosciuto come tecnica per prevenire il propagarsi degli incendi o evitare che una volta innescati diventino disastrosi. Tutte le specie pascolanti, bovini, ovini e caprini possono essere utilmente impiegate”.

Al governo degli incendi siamo tutti chiamati a fare la nostra parte, come cittadini, consumatori, ricercatori, giornalisti (a questo proposito recentemente un appello firmato da numerosi divulgatori scientifici promuove un giornalismo scientifico che sappia promuovere argomenti delicati e complessi come quello legato alla crisi climatica e promuovendo anche per un corso di formazione dedicato), condividendo il rischio con i tecnici di settore, prendendo parte attiva soprattutto sul fronte prevenzione.

L’inclusione di tutti i portatori di interesse, dalla ricerca scientifica all’associazionismo civico, passando per i consorzi di tutela delle produzioni a denominazione di origine e le aziende agricole che nei territori producono, vivono e consumano, consapevoli che il fuoco non si può eludere ma si può provare a governare condividendo il rischio, anche supportando direttamente chi attua azioni dedicate alla sua riduzione, non contrasta solo gli impatti del cambiamento climatico perpetuando i servizi ecosistemici, ma contribuisce concretamente a contrastare l’abbandono delle aree rurali come parte nevralgica della soluzione all’adattamento dei nostri territori, ancora lontano.