Il latte nei programmi delle mense scolastiche
Requisiti nutrizionali dei programmi adottati nelle mense scolastiche
Andamento del consumo di latte
Consumo di latte e salute dei bambini
Fattori che influenzano la percezione dei bambini ed il consumo di latte
Criteri alimentari legati al confezionamento
Abstract
Il consumo di latte tra i bambini è diminuito da decenni. Un consumo adeguato di latte e di prodotti lattiero-caseari, soprattutto durante l’infanzia, ha conseguenze benefiche sulla salute per quanto riguarda la crescita e lo sviluppo e per la diminuzione del rischio di sviluppare osteoporosi, ipertensione, obesità e cancro durante l’età adulta. Tra i principali promotori del consumo di latte durante la nostra vita ci sono la soddisfazione legata al sapore del latte, i benefici per la salute percepiti e l’abitudine al consumo. Le preferenze e la propensione dei bambini verso il consumo di latte possono differire da quelle degli adulti, perciò comprendere e riuscire a soddisfare le esigenze dei bambini è fondamentale per invertire il declino del consumo di latte. I programmi delle mense scolastiche fanno si che il latte da bere sia accessibile a milioni di bambini ogni giorno; tuttavia, le normative e i sistemi di fornitura delle mense scolastiche degli Stati Uniti rendono talvolta difficile l’approvvigionamento di nuove tipologie di latticini o di latticini con un certo valore aggiunto. Il consumo totale di tutte le tipologie di latte nelle scuole statunitensi è diminuito del 14.2% dal 2008 al 2017 e anche la percentuale di bambini che partecipano ai programmi delle mense scolastiche è diminuita. Questa diminuzione è stata determinata anche dal calo dell’adesione media giornaliera ai programmi delle mense scolastiche e potrebbe rispecchiare anche l’insoddisfazione dei bambini verso le caratteristiche organolettiche e la tipologia di latte offerto nelle scuole. Il cambiamento della tipologia di latte offerto nelle scuole degli Stati Uniti (per ridurre il contenuto di grassi e di zuccheri aggiunti presenti nel latte) è stato promosso dal governo, che ha imposto il fabbisogno calorico e il contenuto di grassi che dovrebbe avere il pranzo fornito a scuola. Questa review descrive le attuali tendenze del consumo di latte tra i bambini; la struttura ed i requisiti di base del programma delle mense scolastiche nel complesso e per quanto riguarda il latte; e i fattori intrinseci, estrinseci ed ambientali che influenzano la percezione, la preferenza e il consumo di latte da bere all’interno del sistema scolastico statunitense.
Parole chiave: bambini, pranzo a scuola, latte da bere.
Introduzione
Il consumo di latticini durante l’infanzia e l’adolescenza ha un impatto che si ripercuote per tutta la vita sullo stato di salute (Huth et al., 2006). Un principale fattore predittivo del consumo di latte per il resto della vita è la consuetudine sviluppata durante l’infanzia (McCarthy et al., 2017a); quindi, garantire un consumo adeguato durante gli anni dell’istruzione primaria e secondaria è della massima importanza. È necessaria una valutazione delle percezioni e delle preferenze dei bambini per il latte da bere, poiché i loro fabbisogni e desideri differiscono da quelli degli adulti (Guinard, 2000), ma anche perché è stata stabilita l’esistenza di alcune correlazioni tra le preferenze alimentari della prima infanzia e quelle nelle fasi più tardive dell’infanzia stessa (Skinner et al., 2002), nell’adolescenza (Nu et al., 1996) e nei giovani adulti (Nicklaus et al., 2004). Anche l’esposizione ripetuta a determinati alimenti è un fattore chiave di preferenza dimostrato in una varietà di studi (Wardle et al., 2003; Anzman-Frasca et al., 2012; Ventura e Worobey, 2013). Lo scopo di questa review è quello di descrivere le normative passate ed attuali che influiscono sul latte servito nei programmi delle mense scolastiche, nonché le attuali tendenze sul consumo di latte e gli esiti sulla salute del consumo di latte da bere da parte dei bambini che aderiscono ai programmi alimentari scolastici. Inoltre, è stata analizzata una varietà di fattori intrinseci, estrinseci ed ambientali che sono capaci di influenzare il consumo e le preferenze dei bambini nei confronti del latte.
Il latte nei programmi delle mense scolastiche
I programmi di assistenza federale che prevedono il rimborso del costo del pranzo nelle scuole sono in vigore dagli anni ‘40 (Gunderson, 2017). Nel corso degli anni, questi programmi sono diventati parte del National School Lunch Program (NSLP; USDA, 2019a) e dello School Breakfast Program (SBP; USDA, 2019b). Questi programmi servono quasi 30 milioni di pranzi e 15 milioni di colazioni agli studenti ogni giorno. Scuole, istituti di assistenza per l’infanzia e centri sovvenzionati che non partecipano a questi programmi possono partecipare allo Special Milk Program (SMP; USDA, 2019c). Il programma intitolato “The Richard B. Russell National School Lunch Act”, è stato rivisto nel 2019 (Richard B. Russell National School Lunch Act, 2019). Le scuole che partecipano al NSLP, all’SBP o allo SMP possono ricevere sussidi in denaro per i pasti rimborsabili o per le pinte di latte servite, a condizione che gli standard nutrizionali codificati nel Code of Federal Regulations [CFR Part 210 (ovvero, standard nutrizionali e approcci di pianificazione dei menu per i pranzi e requisiti per gli spuntini doposcuola) e 220 (cioè SBP: standard nutrizionali e approcci di pianificazione del menu per la colazione] vengano soddisfatti. Il rimborso serve a garantire un’adeguata assunzione di cibo e di nutrienti ai bambini (Logan et al., 2019). Per soddisfare gli standard nutrizionali, le scuole che partecipano al NSLP e allo SBP sono tenute a fornire 1 tazza di latte al giorno agli studenti come parte della colazione e del pranzo. Tutto il latte deve essere pastorizzato ed integrato con vitamine A e D e gli studenti devono avere almeno due opzioni di scelta (una deve essere latte non aromatizzato), e il latte può essere aromatizzato o non aromatizzato senza grassi o magro (Code of Federal Regulations, 2019a). Le opzioni che non prevedono latticini vengono offerte solamente agli studenti con esigenze mediche o dietetiche speciali, e l’alternativa doveva avere un profilo nutrizionale paragonabile a quello del latte di derivazione animale come stabilito nei criteri per il pasto del pranzo (Code of Federal Regulations, 2019a). Dal 2012 al 2017, le normative dell’USDA stabilivano che tramite questi programmi poteva essere offerto solamente latte aromatizzato senza grassi (Registro federale, 2017). In sintesi, nel 2008 la normativa aveva previsto una riduzione del contenuto di grassi nel latte naturale servito nelle scuole, fino ad arrivare all’eliminazione del latte naturale al 2% di grasso dal programma nel 2012. Il contenuto di grassi nelle tipologie di latte aromatizzato è stato abbassato fino ad arrivare alla richiesta “senza grassi” nel 2012. Queste restrizioni messe in atto per ottenere dei pasti nelle mense scolastiche con un tenore di calorie più basso, in particolare di quelle provenienti dai grassi, e la diminuzione della partecipazione degli studenti a tali programmi sono coincise con la diminuzione del 14.2% di tutto il latte venduto nelle scuole statunitensi, che è passato dai 1.835 milioni di chilogrammi nel 2008 ai 1.573 milioni di chilogrammi nel 2017 (MilkPEP, 2017). Nel 2017, il 60, il 32 e l’8% circa delle vendite di latte erano relative, rispettivamente, al latte al cioccolato, al latte bianco e alle altre tipologie aromatizzate, e questi numeri sono rimasti più o meno gli stessi per molti anni (MilkPEP, 2017). Il calo maggiore si è visto nel consumo di latte al cioccolato. La somministrazione di latte al cioccolato è a volte vietata agli studenti in alcuni distretti scolastici, a causa delle decisioni prese dal consiglio scolastico locale che saranno discusse più avanti in questa review. Il latte bianco con il 2% di grassi e il latte aromatizzato a basso contenuto di grassi (1%) sono stati eliminati dalla fornitura di latte offerto nei programma delle mense scolastiche a causa delle preoccupazioni riguardanti i grassi saturi, lo zucchero e il contenuto calorico. Inoltre, anche la quantità di zucchero aggiunto nel latte aromatizzato è stata ridotta da 16.7 g/240 ml nel 2006 a 7.5 g/240 ml nel 2017 (MilkPEP, 2017). La diminuzione del consumo di latte al cioccolato ci suggerisce come questi cambiamenti relativi al contenuto di grassi e di zuccheri possano aver fatto diminuire il gradimento che i bambini traevano dal consumo di un latte fornito a scuola con certe proprietà organolettiche. Tuttavia, la regola ad interim “Flessibilità sul latte, sui cereali integrali e sul fabbisogno di sodio” introdotta nel 2017 (Registro federale, 2017) ha concesso agli operatori del Child Nutrition Program di reintrodurre nuovamente il latte aromatizzato a basso contenuto di grassi (1%). La regola finale è stata ampiamente adottata per consentire la reintroduzione del latte aromatizzato all’1% di grassi a partire dall’anno scolastico 2019-2020 (Registro federale, 2018). Sulla base dell’offerta di latte magro aromatizzato e dei dati di acquisto prima del 2012, la modifica effettuata nel 2018 per far si che il latte aromatizzato contenesse l’1% di grassi, potrebbe far recuperare una parte di quel consumo di latte nelle scuole degli Stati Uniti che è stato perso nel periodo dal 2012 al 2017. La sentenza aveva lo scopo di far fronte alle preoccupazioni espresse dagli operatori del Child Nutrition Program e dei partner del settore in merito al calo del consumo di latte nei partecipanti al NSLP nelle scuole elementari, medie e superiori (Registro federale, 2018). La decisione si è basata anche su studi recenti che hanno scoperto come la rimozione del latte aromatizzato dalle scuole portasse ad un calo significativo del consumo di latte (Quann e Adams, 2013). NSLP, SBP e SMP forniscono ogni anno miliardi di mezze pinte di latte ai bambini in età scolare. I partecipanti ai programmi NSLP e SBP consumano più latte rispetto ai soggetti che non vi partecipano (Condon et al., 2009). Vale la pena notare che sebbene questi programmi diano ai bambini la possibilità di consumare latte, oltre un quarto del latte servito nel NSLP e quasi la metà del latte servito nel SBP viene sprecato (cioè scartato e non consumato), cosa che ha notevoli implicazioni negative dal punto di vista nutrizionale, economico ed ambientale (Blondin et al., 2017).
Requisiti nutrizionali dei programmi adottati nelle mense scolastiche
I dettagli ufficiali del programma delle mense scolastiche negli Stati Uniti sono descritti nel Richard B. Russell National School Lunch Act, Capitolo 281 del 79° Congresso, approvato il 4 giugno 1946, 60 Stat. 230, come modificato da P.L. 116–6, emanato il 15 febbraio 2019 ( Richard B. Russell National School Lunch Act, 2019). I dettagli dei requisiti nutrizionali e della composizione dei pasti sono riportati nel Code of Federal Regulations (2019a). I valori nutrizionali target sono suddivisi dall’asilo alla quinta elementare, dal sesto all’ottavo grado e dal nono al dodicesimo grado perché le scuole pubbliche negli Stati Uniti tendono ad essere organizzate in questo modo, e i programmi alimentari nei distretti scolastici tendono ad essere raggruppati in questo modo. Le definizioni e i requisiti della composizione sono scritti in modo semplice e in linea generale per consentire flessibilità nella pianificazione dei menù. Il contenuto medio di calorie e di sodio dei pasti scolastici settimanali in un distretto scolastico deve rientrare in intervalli specifici per ciascuno dei gruppi menzionati in precedenza. Pertanto, i distretti scolastici devono lavorare per raggiungere questi obiettivi in termini di calorie e contenuto di sodio per pasto calcolati in media nell’arco di una settimana per tutti i gradi; i grassi saturi devono essere meno del 10% delle calorie totali e la quantità di grassi derivanti dai grassi trans deve essere zero. Inoltre, ci sono alcune disposizioni per i gruppi di alimenti forniti per pranzo. Le disposizioni per il latte da bere sono 1 porzione (240 ml) di latte scremato o contenente l’1% di grasso che può essere aromatizzato o non aromatizzato. Una classica porzione da 240 ml di latte scremato contiene tra le 80 e le 90 calorie, mentre una porzione di latte all’1% di grasso contiene dalle 100 alle 110 calorie. I latti aromatizzati avranno un contenuto calorico maggiore per porzione perché solitamente ad essi viene aggiunto un certo quantitativo di zucchero. Devono essere messe a disposizione almeno 2 tipologie di latte. Per soddisfare esigenze speciali, può essere fornito latte a ridotto contenuto o senza lattosio. Per coloro che non possono bere latte secondo una motivazione documentata, come alternativa ad esso può essere offerta una bevanda che non lo contenga (come il latte di soia) che soddisfi però gli standard nutrizionali stabiliti dall’USDA per i sostituti del latte. La regolamentazione degli standard relativi ai sostituti del latte impiegati nei programmi delle mense scolastiche degli Stati Uniti è stata pubblicata nel Federal Register (2008) e stabilisce che i sostituti del latte da bere non di origine casearia devono essere fortificati con calcio, proteine, vitamine A e D, riboflavina, vitamina B12, magnesio, fosforo e potassio fino ad ottenere i livelli che si riscontrano nel latte intero (3.25% di grasso nel latte). Se un sostituto del latte non va a soddisfare gli standard federali e statali, non può essere servito come parte di un pasto rimborsabile. Una panoramica del programma sul consumo di latte durante i pasti scolastici viene fornita nello School Nutrition and Meal Cost Study, Final Report volume 1: School Meal Program Operations and School Nutrition Environments (Forrestal et al., 2019). L’NSLP e l’SBP rappresentano il fondamento della rete di sicurezza alimentare nazionale per i bambini a basso reddito. Questi programmi, gestiti dall’USDA Food and Nutrition Service (FNS), forniscono giornalmente 30 milioni di pranzi e 15 milioni di colazioni ai bambini nelle scuole e sono sovvenzionati dal governo federale degli Stati Uniti (Forrestal et al., 2019). I distretti scolastici che seguono gli standard sopra riportati, possono essere ritenuti idonei per il programma di pasti rimborsabili USDA, come descritto nel Registro federale (2019). Per il periodo che andava dal 1° luglio 2019 al 30 giugno 2020, il rimborso per una porzione da mezza pinta di latte servita ad un bambino non indigente in una scuola, o in un’istituzione che partecipava al SMP, è stato di 21.50 centesimi, con un aumento di 1 centesimo rispetto all’anno scolastico 2018-2019. Sono previsti numerosi altri dettagli, eccezioni e criteri di pagamento, ed il tasso di rimborso viene adeguato annualmente in base alla variazione del Producer Price Index for Fluid Milk Products. Un riepilogo dettagliato delle caratteristiche nutrizionali dei pasti scolastici viene fornito nello School Nutrition and Meal Cost Study, Final Report volume 2: Nutritional Characteristics of School Meals (Gearan et al., 2019). Un riepilogo dettagliato dei costi e dei ricavi dei pasti scolastici viene fornito nello School Nutrition and Meal Cost Study, Final Report volume 3: School Meal Costs and Revenue (Logan et al., 2019). Non tutti i distretti scolastici a livello nazionale partecipano al programma di rimborso del pranzo scolastico e la tipologia di rimborso varia da distretto a distretto. Usando il pasto come unità di analisi, il costo medio riportato per un pranzo comune era di 3.66 $, sostanzialmente superiore al sussidio federale medio di 3.32 $ erogato per l’ottenimento un pranzo gratuito (Logan et al., 2019). Un riepilogo dettagliato della partecipazione delle scuole e dei risultati viene fornito nello School Nutrition and Meal Cost Study, Final Report volume 4: Student Participation, Satisfaction, Plate Waste, and Dietary Intakes (Fox et al., 2019). Migliorare il gradimento del latte da parte degli studenti all’interno dei programmi delle mense scolastiche, fornendo al contempo benefici nutrizionali e riducendo al minimo gli sprechi, è sicuramente una sfida. Andando avanti con la lettura si scopre che il consumo di latte da parte dei bambini in età scolare è diminuito e il suo gradimento, a fronte della concorrenza in costante aumento di altre bevande somministrate all’interno e all’esterno delle scuole, è sicuramente una sfida per l’industria lattiero-casearia. Modernizzare il latte come bevanda facendo si che possa apportare ulteriori benefici nutrizionali e di convenienza nel contesto dello stile di vita di oggi, potrebbe essere importante per un successo futuro. L’ambiente istituzionale ed economico del sistema scolastico e le preferenze organolettiche dei bambini dovranno essere tenuti seriamente in considerazione dal settore lattiero-caseario per far si che vi sia un aumento del consumo di latte.
Andamento del consumo di latte
Il consumo complessivo di latte da parte di bambini ed adolescenti di età compresa tra i 2 e i 18 anni è diminuito in modo significativo dagli anni ‘70 in termini di percentuale di soggetti che consumano latte, di numero di porzioni consumate al giorno e di quantità di ciascuna porzione (Dror e Allen, 2014). Questa tendenza è stata osservata anche nei bambini che partecipano ai programmi alimentari nelle mense scolastiche, con soltanto il 66% dei partecipanti al NSLP che ha consumato latte nel corso dell’anno scolastico 2014-2015, rispetto ad un 75% durante l’anno scolastico 2004-2005 (Fox et al., 2019). Quando parliamo di consumo di latte totale (all’interno e al di fuori della scuola) sia nei bambini che negli adolescenti, il latte normale è quello che contribuisce maggiormente alla percentuale di latticini e latte consumati (Sebastian et al., 2010; Green et al., 2015). Nei bambini di età compresa tra i 2 e gli 11 anni, il latte aromatizzato è il secondo prodotto che contribuisce maggiormente, seguito dal latte normale aggiunto ai cereali (Sebastian et al., 2010). Questa tendenza si inverte negli adolescenti di età compresa tra i 12 e i 19 anni; il latte normale aggiunto ai cereali è il secondo prodotto che contribuisce maggiormente al consumo di latte, seguito dal latte aromatizzato come bevanda (Sebastian et al., 2010). Il consumo complessivo di latte semplice con almeno l’1% di grassi è diminuito in modo significativo, mentre il consumo di latte aromatizzato con zucchero aggiunto (indipendentemente dal contenuto di grasso del latte) è aumentato significativamente secondo i sondaggi del National Health and Nutrition Examination Surveys (NHANES) nel 1989-1991 (Dror e Allen, 2014). È stato scoperto che solamente il 20% dei bambini consuma regolarmente latte a basso contenuto di grassi e scremato, mentre il 45.4 e il 32.4% hanno riferito di bere, rispettivamente, latte contenente il 2 e il 3.3% di grassi al di fuori della scuola (Kit et al., 2011).
Consumo di latte e salute dei bambini
L’importanza del latte nella dieta dei bambini non può essere sovrastimata, e ciò rende preoccupante il recente calo del consumo di latte. Le Dietary Guidelines for Americans (2015-2020) raccomandano che i bambini con età dai 4 agli 8 anni consumino 2.5 tazze equivalenti di latticini senza e a basso contenuto di grassi; la raccomandazione per gli adolescenti di età compresa tra i 9 e i 18 anni è di 3 tazze equivalenti al giorno (USDHHS-USDA, 2015). Sfortunatamente, per i bambini di età pari o superiore ai 4 anni, il consumo di latticini non soddisfa queste raccomandazioni (Quann e Adams, 2013). Il latte “da bere” è il numero uno come alimento che contribuisce all’assunzione di calcio, potassio, fosforo e vitamina D nei bambini di età superiore ai 2 anni (Rafferty e Heaney, 2008). Negli Stati Uniti, circa il 72% del calcio introdotto con la dieta proviene da prodotti lattiero-caseari come latte, yogurt e formaggio, nonché da altri alimenti contenenti tali prodotti (Ross et al., 2011). La dose giornaliera media raccomandata (RDA) o l’adeguata assunzione di calcio è di circa 900 mg/giorno (da 800 a 1.000 mg, a seconda del paese) per gli adulti, che sale a 1.200 mg/giorno quando parliamo di adolescenti ed anziani (Institute of Medicine, 2010 ). Il latte fornisce elevate quantità di calcio e fosforo e di altri elementi come lattosio, caseina e fosfopeptidi, che possono far aumentare l’assorbimento del calcio e la ritenzione minerale (Guéguen e Pointillart, 2000). Il contenuto di vitamina D e di calcio nel latte e nei prodotti lattiero-caseari influenza positivamente il picco di massa ossea, e quindi migliora l’integrità scheletrica e la predisposizione alla perdita ossea nelle fasi più avanzate della vita (Sandler et al., 1985). Ciò rende cruciale il consumo di latte durante l’infanzia e l’adolescenza per riuscire ad avere una buona salute delle ossa (Weaver, 2010). Black et al. (2002) hanno scoperto che i bambini che non bevevano latte avevano maggiori probabilità di avere un’assunzione inadeguata di calcio e una scadente salute delle ossa, inclusa una minore area ossea e densità minerale ossea, rispetto ai bambini che consumavano latte. I bambini che consumavano ≥ 2 porzioni di latticini al giorno avevano una massa ossea, un’area e una densità ossea maggiori rispetto ai bambini che ne consumavano di meno (Kalkwarf et al., 2003; Moore et al., 2008). Sebbene il consumo di latticini durante tutte le fasi della vita sia necessario per il mantenimento della densità della massa ossea, è importante anche lo sviluppo di abitudini di consumo dei latticini durante la prima infanzia, perché questo può influenzare il consumo nelle fasi più avanzate delle vita (Kelder et al., 1994; Eysteinsdottir et al., 2014). Oltre al suo impatto sulla salute ossea, il consumo di latte è stato associato ad una diminuzione del rischio di malattie cardiovascolari, ipertensione, cancro al colon e diabete di tipo 2 (Huth et al., 2006; Weaver, 2010; World Cancer Research Fund International, 2018 ). Inoltre alcune componenti del latte, compresi il calcio e le proteine del siero di latte, possono svolgere un ruolo nel controllo del peso, sebbene siano necessarie ulteriori ricerche visti i risultati incoerenti sul consumo di latticini e sul peso, in particolare tra i bambini e gli adolescenti (Huth et al., 2006; Abargouei et al., 2012 ; Rautiainen et al., 2016; Dougkas et al., 2019).
Fattori che influenzano la percezione dei bambini ed il consumo di latte
Fattori intrinseci
Contenuto di grassi del latte. Ci sono diversi report secondo i quali i bambini preferiscono cibi con un contenuto maggiore di grassi (Johnson et al., 1991; Kern et al., 1993; Kildegaard et al., 2011). Non c’è molta letteratura disponibile relativa all’effetto del contenuto di grassi del latte sul gradimento dei bambini o sul loro consumo di latte. Tuttavia, è ben noto che il contenuto variabile di grasso influisce sulle proprietà organolettiche del latte da bere incluso il colore, la sensazione in bocca (ad esempio, consistenza, cremosità, pellicola orale residua), l’aroma e il sapore (Phillips et al., 1995; Phillips e Barbano, 1997; Frøst et al., 2001; Chojnicka-Paszun et al., 2012; McCarthy et al., 2017b). Kling et al. (2016) hanno determinato il gradimento e il consumo di latte a basso contenuto di grassi (1%) rispetto a quello del latte intero (3.25% di grassi) per i bambini di età compresa tra i 3 e i 6 anni. Lo studio ha riportato che i punteggi relativi al gradimento e alla preferenza da parte dei bambini (n = 107) erano simili sia per il latte a basso contenuto di grassi che per quello intero. Kling et al. (2016) hanno servito ai bambini le diverse tipologie di latte in un contenitore di plastica trasparente durante il pranzo. Il pasto era uguale nella composizione e nella dimensione della porzione per tutti i bambini e per tutti i trattamenti. Il contenuto di grassi non ha influenzato in modo significativo la quantità di latte che i bambini (n = 125) hanno consumato durante un pasto. Alcuni studi hanno ipotizzato l’esistenza di un’avversione da parte delle giovani donne nei confronti del latte a causa del contenuto calorico o di grassi percepito (Horwath et al., 1995), ma altri studi hanno riportato che il non gradimento del latte, o del suo retrogusto, era il fattore determinante l’avversione al latte da parte delle giovani donne (Porubcan e Vickers, 2005). Al contrario, Green et al. (2015) non hanno riportato differenze nel consumo di latte tra i bambini di età compresa tra i 9 e gli 11 anni e tra gli adolescenti di età compresa tra i 12 e i 18 anni, sebbene i maschi consumassero più latte rispetto alle femmine. Sono stati condotti molti altri studi sulla preferenza e sul consumo di grassi del latte negli adulti; Contrariamente agli studi condotti sui bambini, quelli sugli adulti hanno scoperto che il livello di grasso influenza il gradimento del latte. Numerosi studi hanno scoperto che le preferenze versi i grassi contenuti nel latte sono associate alla tipologia di latte che viene solitamente consumata da un individuo (Tuorila, 1987; Bakke et al., 2016; Mc-Carthy et al., 2017b). Ad esempio, McCarthy et al. (2017b) hanno scoperto che i consumatori preferivano il latte che aveva un contenuto di grassi maggiore rispetto a quello che consumavano abitualmente, affermando che aveva un aspetto, un sapore, una densità o una cremosità migliori. Lo studio ha scoperto anche che, sebbene i bevitori di latte scremato e magro preferissero il latte con un contenuto di grassi del 2%, questi non preferivano quello con un contenuto di grassi superiore al 2%, poiché lo ritenevano troppo denso, grasso e pesante. Questo risultato ci suggerisce che i consumatori preferiscono il latte che ha caratteristiche sensoriali simili a quello che abitualmente hanno consumato per un lungo periodo (McCarthy et al., 2017b). L’effetto della percentuale di grasso contenuto nel latte consumato abitualmente potrebbe non essere così importante nei bambini, specialmente in quelli più giovani, poiché tali abitudini e preferenze potrebbero non essersi ancora ben definite (Ventura e Worobey, 2013). Robb et al. (2007) hanno scoperto che il consumo di latte a basso contenuto di grassi era positivamente associato all’età, probabilmente a causa della maggiore attenzione posta sulla diminuzione del consumo di grassi totali nella dieta.
Latte aromatizzato. La maggior parte dei bambini preferisce il latte aromatizzato al latte normale poiché lo considera più appetibile (De Pelsmaeker et al., 2013; Fayet-Moore, 2016), e in quanto tale, il latte aromatizzato è positivamente associato ad un maggior consumo complessivo di latte (Johnson et al., 2002; Nicklas et al., 2017). Thompson et al. (2007) hanno scoperto che il latte al cioccolato era il latte aromatizzato più popolare tra i bambini, mentre tra le altre tipologie di latte aromatizzato comunemente consumate c’erano quello alla fragola e quello alla vaniglia. Nelle scuole, la principale argomentazione a sostegno della somministrazione di latte aromatizzato è che la sua eliminazione dai programmi alimentari scolastici si tradurrebbe in una diminuzione del consumo complessivo di latte (Patterson e Saidel, 2009; Quann e Adams, 2013; Henry et al., 2015). Quann e Adams (2013) hanno osservato che quando il latte aromatizzato veniva rimosso dalle scuole elementari, non solo veniva acquistato meno latte, ma quello acquistato in eccesso veniva gettato via; i risultati di Quann e Adams (2013) concordano con la diminuzione del consumo di latte al cioccolato riportato dal MilkPEP 2017. In uno studio condotto su bambini di età compresa tra 1 e gli 8 anni, Henry et al. (2015) hanno scoperto anche che, nel complesso, più studenti sceglievano di bere del latte quando erano disponibili sia la varietà al cioccolato che il latte semplice. Sebbene il consumo di latte fosse più basso quando veniva offerto solamente il latte normale, la percentuale di studenti che consumavano latte normale saliva dal 3 al 14% quando venivano offerte entrambe le tipologie (normale ed aromatizzato). Tuttavia, è stato evidenziato un effetto legato al grado scolastico, con gli studenti delle classi dal 5° all’8° grado che consumavano con minor frequenza il latte dopo l’eliminazione di quello al cioccolato, rispetto ai bambini delle classi dal 1° al 4° grado. Davis et al. (2017) hanno scoperto che la quantità media di latte consumato tra i bambini della scuola materna fino al secondo grado era di 59.5 g (2.1 once) negli studenti che non consumavano latte al cioccolato e di 68 g (2.4 once) in quelli che consumavano latte al cioccolato; la quantità media di latte sprecata da questi 2 gruppi era compresa tra le 3 e le 5 once di latte per pasto. A causa del grande quantitativo di latte sprecato, gli autori hanno sottolineato l’importanza di esaminare individulamente i dati relativi allo spreco di bevande e pasti negli studi successivi che valutavano i cambiamenti del consumo da parte degli studenti e i cambiamenti relativi all’apporto di nutrienti provenienti dai pasti forniti dalla scuola. Davis et al. (2017) hanno scoperto anche che quando il latte al cioccolato veniva eliminato dal pranzo scolastico, il consumo di latte era, generalmente, di soli 8.5 g (0.3 once) in meno per i bevitori di latte non al cioccolato e di 11.35 g (0.4 once) in meno per i bevitori di latte al cioccolato. Questo risultato può suggerirci che gli studenti più giovani sono più propensi a passare al latte normale quando il latte aromatizzato non viene più offerto, ma che questo effetto non si verifica nei bambini le cui esigenze nutrizionali continuano a beneficiare del consumo di latte da bere. I bambini che consumano latte aromatizzato tendono a consumare meno bibite e succhi di frutta (Johnson et al., 2002) e avrebbero un maggiore apporto di proteine, calcio e amminoacidi essenziali provenienti dal latte rispetto ai bambini che non lo consumano. Questo rende il latte aromatizzato una componente molto importante nel quadro dell’assunzione di nutrienti da parte dei bambini e degli adolescenti. Il latte aromatizzato ha lo stesso contenuto di nutrienti principali (ad es. proteine, calcio, amminoacidi essenziali) del latte non aromatizzato. A causa del suo effetto sull’aumento del consumo complessivo, il latte aromatizzato è potenzialmente in grado di far aumentare anche l’assunzione di diversi nutrienti essenziali, come calcio, fosforo, potassio, vitamina D e vitamina A (Johnson et al., 2002; Murphy et al. , 2008; Nicklas et al., 2013; Henry et al., 2015). Come discusso in precedenza, l’assunzione di questi nutrienti durante l’infanzia e l’adolescenza è fondamentale per la salute durante tutta la vita. Il consumo da parte dei bambini di latte aromatizzato ha destato molte preoccupazioni per quanto concerne la salute, in particolare se parliamo di obesità e di carie dentale, a causa dello zucchero contenuto in esso. L’American Dental Association (2000) ha messo in guardia dal consumo illimitato di bevande contenenti zuccheri fermentescibili, come il latte, che potrebbero contribuire allo sviluppo della carie. Tuttavia, Murphy et al. (2008) hanno riportato che le assunzioni corrette di zuccheri aggiunti erano equiparabili nei bambini di età superiore ai 5 anni, indipendentemente dal fatto che i bambini consumassero latte aromatizzato o non aromatizzato. Uno studio di Dunning e Hodge (1971) ha rilevato che il consumo di latte al cioccolato con aggiunta di zucchero non era significativamente correlato all’incidenza della carie dentale rispetto al consumo di latte semplice. Esistono dati contrastanti sull’effetto del consumo di latte aromatizzato rispetto a quello normale per quanto concerne l’adiposità e l’assunzione energetica. Sebbene alcuni studi affermino che il consumo di latte aromatizzato al posto di quello normale non sia correlato all’apporto energetico nei bambini di età superiore ai 5 anni o allo stato del peso dei bambini (Murphy et al., 2008; Nicklas et al., 2013), altri studi suggeriscono che l’assunzione di energia potrebbe risultare aumentata in seguito al consumo di latte aromatizzato (Noel et al., 2013; Patel et al., 2018). Pertanto, sono necessarie ulteriori ricerche per indagare la correlazione tra il consumo di latte aromatizzato e la composizione corporea. Il Committee on Nutrition Standards for National School Lunch and Breakfast Programs, Food and Nutrition Board of the Institute of Medicine (IOM) ha convenuto nel suo report (Stallings et al., 2010) che il contenuto di grassi del latte da bere offerto dovesse essere limitato all’1% (il contenuto di grassi del latte magro). Il comitato IOM ha preso atto del fatto che le Dietary Guidelines for Americans (USDHHS-USDA, 2015) consigliano il consumo di cibi e bevande con poco zucchero aggiunto. Il comitato ha tenuto in considerazione i vantaggi e gli svantaggi del mantenimento del latte aromatizzato come alternativa al latte normale. Il comitato dell’OIM ha deciso di mantenere il latte magro aromatizzato. I latti aromatizzati sono stati e continuano ad essere la principale scelta di latte nelle scuole (MilkPEP, 2017). Il comitato era preoccupato dal fatto che l’eliminazione totale del latte aromatizzato avrebbe comportato una sostanziale diminuzione del consumo di latte (come indicato da Murphy et al., 2008), specialmente se fossero stati eliminati dal menu anche il latte normale a ridotto contenuto di grassi (2% di grassi) e il latte intero. Il livello calorico massimo stabilito per i pasti somministrati dalla mensa scolastica pone un limite alla quantità di zuccheri aggiunti (e di grassi saturi) che possono essere presenti negli alimenti offerti; quindi, la quantità di zuccheri aggiunti e il livello di grassi nel latte sarebbero, in pratica, limitati dalle calorie massime totali del pranzo.
Dolcificanti. L’USDA non pone limiti sugli zuccheri aggiunti o sui carboidrati totali nel latte aromatizzato servito nei programmi delle mense scolastiche (Code of Federal Regulations. 2019a). D’altro canto, si presuppone che il livello di calorie massime per pasto limiti l’introduzione di cibi e bevande con elevati livelli di zucchero aggiunto, costringendo le scuole ad optare per il latte magro non aromatizzato o per il latte aromatizzato a basso contenuto di zucchero. La riduzione dello zucchero nel latte aromatizzato inserito nei programmi delle mense scolastiche è una tematica di grande interesse, visti i problemi di salute associati alla presenza di zuccheri aggiunti e le restrizioni caloriche adottate in questi programmi. Va detto che i genitori preferiscono per i loro figli il latte aromatizzato a basso contenuto di zuccheri rispetto al latte senza zucchero aggiunto o a quello con un contenuto di zucchero regolare (Kim et al., 2013; Li et al., 2014). Per quanto riguarda la tipologia di dolcificante, i genitori preferiscono il saccarosio o i dolcificanti naturali rispetto allo sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio o ai dolcificanti artificiali (Li et al., 2014). Il quantitativo di zucchero aggiunto nel latte aromatizzato distribuito nelle mense scolastiche è stato ridotto da 16.7 g/240 g di latte nel 2006 a 7.5 g/240 g nel 2017 (MilkPEP 2017). Uno studio di Li et al. (2015a) valutava l’effetto della diminuzione del saccarosio sul gradimento del latte al cioccolato scremato da parte dei bambini di età compresa tra i 5 e i 13 anni. Sebbene lo studio abbia confermato che i bambini di tutte le età preferissero il latte con la più alta concentrazione di saccarosio, gli autori hanno anche riferito che i bambini accettavano riduzioni di saccarosio fino ad un 30% circa (da 16.8 a 11.7 g di saccarosio aggiunto). Risultati simili sono stati riportati per gli adulti (Li et al., 2015a; Oliveira et al., 2016). La diminuzione del saccarosio oltre il 30% circa ha avuto effetti negativi lineari sui punteggi relativi al gradimento generale, al gradimento della dolcezza e al gusto di cioccolato per i bambini di tutte le età. Analogamente, Buczkowski et al. (2018) hanno scoperto che tra i bambini del Regno Unito di età compresa tra i 4 e i 10 anni, non vi era alcuna differenza nel gradimento del latte al cioccolato con riduzione del 30% di saccarosio rispetto al controllo (il livello di zucchero aggiunto nel controllo non è stato segnalato), mentre una riduzione del 40% di saccarosio ha portato a punteggi di gradimento significativamente inferiori. Henry et al. (2016) hanno studiato l’effetto della sostituzione di latte al cioccolato all’1% di grasso contenente 25 g di zucchero aggiunto con una formulazione che ne conteneva meno del 25% (19 g di zucchero aggiunto) e senza dolcificanti artificiali sul consumo di latte da parte di studenti (gradi da 1 a 8) canadesi durante il pranzo. I bambini in età scolare preferivano il latte al cioccolato al latte normale anche quando veniva offerta una formulazione a ridotto contenuto di zucchero; tuttavia, il passaggio al latte al cioccolato con meno zucchero ha portato ad una diminuzione del numero di studenti che sceglievano il latte. Sono necessari studi di durata più lunga per determinare se gli studenti sarebbero disposti ad acquistare latte al cioccolato a ridotto contenuto di zucchero alla stessa velocità con cui acquisterebbero latte al cioccolato normale. L’utilizzo di dolcificanti artificiali è un’opzione che potenzialmente potrebbe andare a ridurre il contenuto di zucchero del latte aromatizzato mantenendo invariata la dolcezza e il gradimento dei prodotti a basso contenuto di zucchero. Dolcificanti alternativi potrebbero essere utilizzati per ridurre il contenuto di zucchero aggiunto nel latte aromatizzato ed abbassare il contenuto calorico del latte senza comprometterne il consumo. L’impiego di dolcificanti alternativi ridurrebbe il rischio di carie dentale, poiché questi dolcificanti artificiali non possono essere metabolizzati dalla microflora orale (Gupta et al., 2013). Li et al. (2015b) hanno riferito che i genitori attribuivano massima importanza alla tipologia di dolcificante utilizzato quando acquistavano il latte al cioccolato per i loro figli. I genitori erano più propensi ad accettare dolcificanti naturali o non calorici e li preferivano al saccarosio o ai dolcificanti artificiali impiegati nel latte (cioè dolcificanti di sintesi come aspartame, acesulfame e saccarina; Li et al., 2015b). La non accettazione dei dolcificanti artificiali da parte dei genitori potrebbe essere dovuta ad una scarsa conoscenza di essi, alla convinzione che questi dolcificanti non siano sicuri per il loro bambino o all’attuale attenzione dell’opinione pubblica posta sulle etichette naturali e sui dolcificanti naturali (Sylvetsky et al., 2014; Parker et al., 2018; Smith et al., 2019). Lo zucchero, le sue alternative e gli approcci verso una sua riduzione nei latticini sono stati sottoposti a review (McCain et al., 2018). Pochi studi hanno esaminato nello specifico il gradimento da parte dei bambini di questi dolcificanti alternativi presenti nel latte aromatizzato. Li et al. (2015b) hanno realizzato un latte scremato al cioccolato che includeva un controllo di saccarosio a 12.3g di saccarosio aggiunto per porzione da 240 ml, nonché latte con un contenuto di saccarosio ridotto del 25, 50, 75 e 100% che conteneva estratti di foglie di stevia o di monk fruit aggiunti a concentrazioni tali da ottenere in queste tipologie di latte la stessa dolcezza del controllo con il saccarosio. I 12g di zucchero aggiunto si univano ai 12 g di lattosio in una porzione di latte da 240 ml. Le formulazioni a ridotto contenuto di zucchero selezionate per i test di gradimento con i bambini, oltre al controllo con saccarosio, erano: latte con riduzione del 25% del contenuto di zucchero + estratto di monk fruit e latte con riduzione del 25% del contenuto di zucchero + estratto di stevia. Li et al. (2015b) non hanno evidenziato differenze per quanto riguardava il gradimento generale, il gradimento della dolcezza o il gradimento del gusto di cioccolato relativamente al controllo con saccarosio, al latte aromatizzato a ridotto contenuto di zucchero/monk fruit o al latte aromatizzato a ridotto contenuto di zucchero/stevia nei bambini (n = 110) di età compresa tra gli 8 e i 13 anni. Un altro studio (Castillo et al., 2005) con bambini peruviani ha esaminato l’utilizzo dello xilitolo e del sorbitolo come dolcificanti per il latte normale (non aromatizzato). In quello studio, i bambini (n = 75) hanno preferito il latte zuccherato a quello non zuccherato e il latte dolcificato con xilitolo rispetto a quello dolcificato con sorbitolo. Infine uno studio con bambini di età compresa tra 1.5 e 5 anni, che metteva a confronto il consumo di latte al cioccolato dolcificato con aspartame o con saccarosio, ha evidenziato che il consumo di queste due tipologie di latte non era significativamente diverso, ed ha scoperto che l’energia complessiva (calorie) assunta quando venivano serviti a pranzo era inferiore quando i bambini consumavano il latte dolcificato con aspartame rispetto a quando assumevano quello dolcificato con saccarosio (Wilson, 2000). Un altro metodo per dolcificare il latte che potrebbe consentire la riduzione del contenuto di zucchero è rappresentato dall’idrolisi del lattosio con β-galattosidasi (lattasi). Sebbene il suo gradimento non sia stato studiato esplicitamente nei bambini, Li et al. (2015b) hanno scoperto che i giovani adulti non differivano significativamente per quanto concerneva il gradimento generale del latte al cioccolato dolcificato con saccarosio (11.7 g di saccarosio/porzione da 240 ml) e di quello con lattosio idrolizzato (aggiunta di 10 g di lattosio idrolizzato/ml). Tuttavia, gli autori hanno scoperto che la quantità necessaria di lattosio da aggiungere per ottenere una certa dolcezza nel latte con lattosio idrolizzato (cioè, i 12 g di lattosio di base e i 10 g di lattosio aggiunto per un totale di 22 g di lattosio idrolizzato) era comparabile, in termini di carboidrati totali, a quelli del normale latte al cioccolato zuccherato con saccarosio (12 g di lattosio più 11.7 g di saccarosio) ed era troppo alta affinché il latte con lattosio idrolizzato potesse essere considerato “ipocalorico”. Ciò ci suggerisce che l’idrolisi del lattosio potrebbe non essere un’opzione adottabile per dolcificare il latte al cioccolato (e per ottenere una riduzione calorica) vista l’amarezza propria del cacao; tuttavia, potrebbe essere più utile per dolcificare naturalmente altre tipologie di latte aromatizzato, come quello alla vaniglia (Li et al., 2015b). Un approccio combinato tra l’idrolisi del lattosio e la diminuzione dello dello zucchero (ad esempio, un dolcificante naturale) potrebbe essere una valida alternativa per diminuire il contenuto di zucchero nel latte al cioccolato. La filtrazione con membrana, discussa più avanti, è un’altra opzione utile per la riduzione del lattosio sebbene, a differenza dell’idrolisi del lattosio, questo metodo non vada ad incrementare la dolcezza del latte (McCain et al., 2018).
Trattamento termico. Il latte viene trattato termicamente con una varietà di temperature diverse per assicurare la qualità e la sicurezza del prodotto, e il tempo e la temperatura di lavorazione possono avere un impatto significativo sulle caratteristiche organolettiche del latte. È stato dimostrato che queste differenze nelle proprietà organolettiche influenzano il gradimento da parte dei bambini dei prodotti lattiero-caseari da bere (Chen et al., 1996; Chapman e Boor, 2001; Lee et al., 2017). Le tempistiche e le temperature adottate per il trattamento termico del latte sono specificate nel Code of Federal Regulations (2019b). Durante la pastorizzazione convenzionale, il latte fluido deve essere riscaldato a 72° C per 15 s. L’ultrapastorizzazione (UP) è un metodo che prevede il riscaldamento del latte ad almeno 138° C per 2 s. L’applicazione della UP con riempimento asettico genera un prodotto che non deve essere refrigerato e che viene considerato latte sterile, con durata stabile o trasformato UHT. L’utilizzo di metodiche UHT e UP allunga in maniera significativo la durata di conservazione del latte, che va oltre quella del latte pastorizzato convenzionalmente. L’utilizzo di un latte a lunga conservazione o stabile potrebbe ridurre lo spreco di questo alimento nei programmi alimentari scolastici (Beckerman et al., 2019) e i costi di distribuzione (permettendo consegne non refrigerate meno frequenti e quindi con costi di conservazione e refrigerazione ridotti), due fattori che contribuiscono significativamente al costo totale del latte somministrato nelle scuole. Questa opzione proposta funzionerà solamente se i bambini gradiranno le proprietà organolettiche del latte pastorizzato, che, secondo la nostra conoscenza, non sono state già dimostrate in ricerche sottoposte a peer-review. Chapman e Boor (2001) hanno riportato che i bambini dai 6 agli 11 anni preferivano significativamente il latte al 2% di grasso pastorizzato tramite HTST rispetto al latte UHT, mentre il latte UHT era preferito al latte UP. Analogamente, Chen et al. (1996) hanno evidenziato una preferenza per il latte al 2% di grasso pastorizzato con metodo HTST rispetto al latte UHT nei bambini di età compresa tra i 3 e i 5 anni. Lee et al. (2017) hanno scoperto che i bambini preferivano significativamente il latte HTST rispetto al latte UP, indipendentemente dal contenuto di grassi o dal fatto che fosse prodotto mediante iniezione diretta di vapore o riscaldamento indiretto. Entrambi i latti UHT e UP avevano un sapore “di bollito” significativamente maggiore rispetto al latte HTST, a causa del rilascio di composti solforati volatili provenienti dalla denaturazione delle proteine del siero di latte che avviene durante il trattamento termico (Al-Attabi et al., 2009, 2014; Lee et al., 2017; Jo et al., 2017; Jo et al. al., 2019). Il sapore di bollito e l’aumentata astringenza (presente anche nel latte UP) vengono percepiti come sapori sgradevoli e non sono apprezzati dalla maggior parte dei consumatori e comunemente limitano il gradimento del latte UHT e UP (Liem et al., 2016; Lee et al., 2017; Jo et al., 2019). La preferenza per il latte HTST nei bambini potrebbe essere dovuta anche alla familiarità, perché il latte più comunemente servito a casa, all’asilo o a scuola è quello HTST. I bambini preferiscono cibi a loro familiari (Ventura e Worobey, 2013).
Filtrazione tramite membrane. La filtrazione tramite membrana è un metodo fattibile ed economico utile per frazionare le componenti del latte in base alle loro dimensioni molecolari durante la sua lavorazione. Le prime applicazioni della filtrazione a membrana si sono avute nella produzione di formaggio e nella lavorazione del siero (Kosikowski, 1974). Quando viene applicata alla lavorazione del latte da bere, l’ultrafiltrazione (UF) serve per aumentare o standardizzare la concentrazione di proteine riducendo la concentrazione di lattosio. Non sono disponibili molte ricerche sugli effetti della filtrazione a membrana sulle proprietà organolettiche e sul gradimento da parte dei consumatoridel latte da bere. Studi sensoriali con partecipanti qualificati suggeriscono che la variazione della concentrazione proteica totale nel latte fluido, ottenuta utilizzando l’UF, suscita differenze nell’aspetto piuttosto che nel sapore (Quiñones et al., 1997, 1998). Tuttavia, variando la tipologia di proteine (cioè proteine del siero e caseina) mediante microfiltrazione nel latte da bere (Cheng et al., 2019a, b) si ottengono differenze di sapore; vale a dire, una diminuzione del sapore di bollito, di zolfo e di cartone e della consistenza pastosa nelle bevande proteiche a base di latte contenenti un quantitativo inferiore di proteine del siero di latte come percentuale di proteine totali (Cheng et al., 2019b). La rimozione delle proteine del siero può essere ottenuta mediante microfiltrazione e il latte microfiltrato UHT può avere meno sapore di zolfo/di bollito rispetto al latte convenzionale. È necessario determinare la quantità di proteine del siero di latte da rimuovere prima del processo UHT, al fine di riuscire ad eliminare questi sapori sgradevoli. L’efficienza di rimozione delle proteine del siero dal latte differisce in base alle tipologie di membrane impiegate (cioè, di ceramica vs. polimerica), con le membrane per microfiltrazione in ceramica che riescono a garantire una maggiore rimozione delle proteine (Zulewska et al., 2009). Vale la pena notare che il marchio di latte UF Fairlife (Fairlife LLC, Chicago, IL), che ha il 50% in più di proteine, il 30% in più di calcio e il 50% in meno di zucchero rispetto al latte normale, ha registrato una crescita nelle vendite (in dollari) del 79% nel 2016, suggerendo un elevato gradimento da parte dei consumatori dei prodotti a base di latte UF (Watson, 2017). Questo aumento è probabilmente dovuto anche al crescente interesse dei consumatori verso i prodotti a valore aggiunto e le bevande a base di latte definite funzionali, nonché verso l’aumento del quantitativo di proteine (Harwood e Drake, 2018, 2019). Sono necessarie ulteriori ricerche per determinare il gradimento da parte dei consumatori, sia adulti che bambini, dei prodotti a base di latte UF.
Fattori estrinseci
Influenza sociale. Le interazioni sociali con genitori, i tutori, gli insegnanti, il personale scolastico e i coetanei possono influenzare il consumo e la scelta del latte nei bambini. Le scelte alimentari e le abitudini dei genitori e degli educatori possono avere una forte influenza sullo sviluppo dei modelli alimentari nei bambini, poiché agiscono come fornitori di materia prima e modelli (Savage et al., 2007). Le azioni dei consigli scolastici locali sono influenzate dagli elettori (genitori), e questi consigli possono imporre ulteriori restrizioni sull’offerta di prodotti per il pranzo somministrato nella scuola (ad esempio, nessuno sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio nel latte aromatizzato), cosa che rende difficile ai produttori di latte fornire un prodotto conforme alle preferenze locali più rigorose. Per questo è fondamentale che i genitori vengano educati sui benefici per la salute derivanti dal consumo di latte fluido e di latte aromatizzato. Ad esempio, le tipologie e le quantità di latte consumato dai bambini sono altamente correlate a quello che viene fornito dai genitori a casa (De Pelsmaeker et al., 2013). In uno studio, gli studenti dai 10 ai 16 anni hanno indicato che i loro genitori preferirebbero che bevessero la stessa tipologia di latte che consumano abitualmente a casa (Gummeson et al., 1996). Diversi altri studi hanno evidenziato che i bambini hanno modelli di assunzione di latte simili, sia per quantità (Berg et al., 2000; Johnson et al., 2001) che per tipologia (Dennison et al., 2001), a quelli delle madri, suggerendo che i genitori funzionano come modelli di consumo per il latte. Nelle strutture scolastiche e di assistenza all’infanzia, anche i modelli espressi dai coetanei possono avere una grande influenza sulle scelte di cibo e bevande da parte dei bambini. Birch (1980) ha dimostrato che le scelte alimentari, le preferenze e i modelli di consumo di un bambino erano fortemente influenzati da quelle dei suoi coetanei, in particolar modo nei bambini più piccoli dove le preferenze erano più plasmabili. La modellizzazione tra coetanei è stata dimostrata anche per quanto riguarda il consumo di latte nelle mense scolastiche (Connors et al., 2001; Burgess-Champoux et al., 2016). L’incoraggiamento verso il consumo di latte e l’informazione sui nutrienti del latte fornita dagli insegnanti e da altro personale scolastico vengono proposti come una potenziale influenza sociale per il consumo di latte (Connors et al., 2001). Tutti questi studi confermano i risultati di McCarthy et al. (2017a), secondo i quali un aspetto univoco del consumo di latte è l’abitudine.
Benefici per la salute percepiti. Le opinioni sulla salute avranno un impatto sull’atteggiamento che i bambini manifestano verso il latte (Berg et al., 2000). I bambini commentano che il latte è importante per una buona salute, in particolare per la salute delle ossa e dei denti, ma non hanno la capacità di spiegare le osservazioni fatte sui valori nutrizionali (Connors et al., 2001; Marcinow et al., 2017). In uno studio condotto su giovani adulti, molti non erano a conoscenza dei benefici per la salute dovuti ad un’adeguata assunzione di calcio per la loro fascia di età (Marcinow et al., 2017). Mentre l’aspetto nutrizionale viene tenuto in considerazione dai bambini più grandi, è più probabile che i bambini più piccoli si concentrino solamente sul sapore (Gummeson et al., 1996; Connors et al., 2001). Molti studi hanno concluso che, sebbene i bambini siano informati sulle corrette abitudini alimentari da tenere per avere una buona salute, ciò potrebbe non tradursi in una corretta scelta alimentare o in un adeguato comportamento dietetico (Trexler e Sargent, 1993; Gummeson et al., 1996; Woodward et al., 1996), dato che le preferenze verso una certa tipologia di cibo sono guidate principalmente dal gusto, dalla consistenza e dall’aspetto (Stevenson et al., 2007; Fitzgerald et al., 2010; Jones et al., 2012). Ad esempio, nonostante i bambini ritengano più sano il latte normale rispetto al latte aromatizzato, continuano ancora a preferire chiaramente quest’ultimo (De Pelsmaeker et al., 2013). Una spiegazione proposta è che i bambini credono che fare scelte alimentari basate sulla salute sia compito soltanto degli adulti, mentre loro possono fare scelte alimentari basate principalmente sul gusto (Chapman e MacLean, 1993; Guidetti et al., 2014). I bambini vengono incoraggiati a praticare dell’attività fisica e molti di essi partecipano agli sport proposti all’interno del sistema scolastico. Visto il contenuto di carboidrati, proteine, acqua ed elettroliti nel latte, quello aromatizzato al cioccolato potrebbe essere d’aiuto durante i periodi recupero successivi ad una maggiore attività fisica. Diversi studi condotti sugli adulti hanno dimostrato una maggiore sintesi proteica muscolare, un aumento del ripristino del glicogeno, dell’idratazione, una diminuzione del dolore muscolare e persino un miglioramento delle prestazioni (ad esempio, un allungamento del tempo prima del raggiungimento dell’esaurimento fisico) quando il latte al cioccolato veniva consumato dopo l’esercizio fisico, se paragonato alla somministrazione di un placebo o di altre bevande contenenti carboidrati, proteine e grassi (Pritchett e Pritchett, 2012; Amiri et al., 2019; James et al., 2019; Russo et al., 2019). Tuttavia, gli studi sul recupero vengono generalmente condotti su adolescenti ed adulti, non sui bambini più piccoli. Questa potrebbe essere una tematica interessante su cui lavorare ulteriormente. Un altro vantaggio del latte al cioccolato usato nel recupero dopo l’esercizio fisico è che spesso è meno costoso di altre bevande commercializzate con questa stessa finalità (James et al., 2019). Le bevande a base di latte e il latte aromatizzato possono essere offerti agli studenti per soddisfare queste esigenze post allenamento tramite i distributori automatici presenti nelle scuole.
Criteri alimentari legati al confezionamento
Elementi di progettazione grafica e visiva. Lo scopo principale del confezionamento è contenere il prodotto e garantire la sicurezza alimentare; tuttavia, la confezione riveste un importante ruolo di marketing (Harris et al., 2010). L’attrattiva che il packaging genera alla vista influisce sul gradimento, sul comportamento e sulle decisioni di acquisto dei consumatori. Molti prodotti destinati ai bambini utilizzano dei disegni da cartone animato o un carattere colorato che servono ad identificarli come alimenti per bambini (Elliott, 2008). Le confezioni colorate e “divertenti” attraggono maggiormente i bambini e ne aumentano l’intenzione di acquisto (Pires e Agante, 2011). Tuttavia, è importante sottolineare come il colore crei anche associazioni ed aspettative relativamente al sapore e alle proprietà organolettiche del prodotto, in particolar modo quando si parla di latte, dove i colori vengono associati ad un certo sapore o al contenuto di grassi (Connors et al., 2001; Ares e Deliza, 2010). Uno studio ha scoperto che il cambiamento del colore della confezione del latte normale a basso contenuto di grassi da blu a rosa, ha coinciso con un cambiamento di popolarità tra il genere dei soggetti che gradivano quella bevanda, passando da essere più popolare tra i ragazzi ad esserlo tra le ragazze (Wechsler et al., 1998). Una vasta gamma di prodotti alimentari e di bevande utilizzano figure promozionali sulla confezione, la maggior parte delle quali sono personaggi concessi in licenza o caratteristiche di valore del marchio, ma anche celebrità (Hebden et al., 2011). È stato dimostrato che l’utilizzo di personaggi dei cartoni animati concessi in licenza dai media autorizzati (come i personaggi di programmi televisivi o di film) sulle confezioni di cibi e bevande incrementa la quantità di tempo e il numero di volte in cui un bambino guarda un prodotto (McGale et al., 2016; Ogle et al. al., 2017). I bambini preferiscono, con maggiore probabilità, alcuni cibi quando vengono associati a personaggi che gli piacciono (Kotler et al., 2012). L’aspetto promozionale può incrementare il gradimento, la preferenza, la richiesta di acquisto e la scelta del cibo per più tipologie di prodotti (Letona et al., 2014; Kraak e Story, 2015). Al contrario, in alcuni studi si è visto che la scelta di un personaggio ha avuto un impatto diametralmente opposto sulla scelta del cibo (Ogle et al., 2017) mentre in altri non ha avuto nessun impatto sul gradimento o sulla scelta del prodotto (Neeley e Schumann, 2004). Questo impatto può variare a seconda di fattori quali età, sesso e specifico personaggio utilizzato (Ogle et al., 2017). Alcuni studi (Letona et al., 2014; Ogle et al., 2017) hanno evidenziato che i bambini più piccoli (dai 4 ai 6 anni) sono più attratti dai prodotti con figure rispetto ai bambini più grandi (dagli 8 agli 11 anni). Come per l’età, Ogle et al. (2017) hanno riscontrato differenze nell’efficacia dei personaggi a seconda del genere verso cui si rivolgevano. Esistono pochissime ricerche su come gli aspetti visivi delle confezioni influenzino il gradimento del latte da parte dei bambini. Valajoozi e Zangi (2016) hanno studiato l’impatto delle caratteristiche della confezione sui bambini di età compresa tra i 7 e i 14 anni e sui loro genitori che vivevano a Teheran. Hanno riportato che i bambini trovavano la forma, il colore e l’illustrazione presente sulla confezione più importanti rispetto ai loro genitori, mentre i genitori ritenevano lo stile del font più importante rispetto ai bambini. In un altro studio, Connors et al. (2001) hanno condotto dei focus group con studenti di età compresa tra i 6 e gli 11 anni ed hanno evidenziato che il colore, la grafica e la tipologia di confezionamento del latte influenzavano le percezioni e le esperienze degli studenti con questo alimento. In relazione al tipo di confezione, alcuni studenti hanno notato che era difficile bere da un cartone gable-top senza far fuoriuscire il latte (Connors et al., 2001). Uno studio condotto dalla School Nutrition Association e dal National Dairy Council ha notato che i bambini acquistavano e consumavano più latte quando veniva servito in bottiglie di plastica richiudibili di vari formati (Rafferty et al., 2009). Sebbene gli studi discussi finora forniscano informazioni sugli aspetti della confezione che vengono notati dai bambini, mancano tuttavia i dati sull’importanza relativa di questi aspetti per i bambini.
Caratteristiche dell’etichettatura. Le indicazioni nutrizionali possono avere un impatto positivo sul gradimento del bambino verso un prodotto e sulla percezione dei benefici per la salute (Ares et al., 2016). Lima et al. (2019) hanno stabilito che, basandosi esclusivamente sulle informazioni e sulle dichiarazioni presenti sulla confezione, i bambini dai 6 ai 12 anni avevano maggiori probabilità di selezionare un prodotto a ridotto contenuto di zucchero rispetto ad un prodotto che ne conteneva un maggior quantitativo. Tuttavia, quando il prodotto è stato degustato, i bambini hanno espresso la preferenza per il prodotto con più zucchero, anche quando le indicazioni sul basso contenuto di zucchero venivano apposte sulla parte anteriore della confezione. Ciò supporta l’ipotesi che nei bambini la scelta del latte aromatizzato sia guidata dai sensi piuttosto che dalla percezione della salute. Oltretutto, i bambini (dai 7 ai 12 anni) erano più propensi degli adolescenti (dai 13 ai 17 anni) a definire il latte al cioccolato (etichettato come a ridotto contenuto di zucchero) come “buono per la mia salute” (Yoo et al., 2017). Si è scoperto anche che l’utilizzo di una certa etichettatura nutrizionale per i bambini nella parte anteriore della confezione, come un semaforo o gli emoticon per trasmettere messaggi sulla salute, influenza la scelta e la percezione della salute. Ad esempio, l’utilizzo di un semaforo rosso dà una percezione negativa dell’effetto che il prodotto potrebbe avere salute, scoraggiando potenzialmente il consumo di prodotti contenenti più zucchero (Yoo et al., 2017), mentre è stato dimostrato come un’emoticon verde con faccina sorridente possa incrementare l’acquisto di latte magro (senza influire sull’acquisto complessivo di latte) da parte dei bambini dalla scuola materna fino al 6° grado (Siegel et al., 2015). La realizzazione di un marchio (branding) è un metodo pubblicitario utilizzato per stabilire un riconoscimento e delle associazioni positive con il nome di un’azienda o di un prodotto, con l’obiettivo di fidelizzare il cliente per tutta la vita (Connor, 2006). Il riconoscimento del marchio può avvenire già all’età di 2 anni (Valkenburg e Buijzen, 2005). Altri studi hanno scoperto che la pubblicità televisiva di un particolare marchio può influenzare le preferenze alimentari dei bambini piccoli, in particolare dei bambini in sovrappeso (Borzekowski e Robinson, 2001; Halford et al., 2008). Nei bambini in sovrappeso la sola presenza del marchio può essere sufficiente per far aumentare il consumo effettivo di un particolare alimento (Cornwell et al., 2014). Il branding e l’impiego di figure promozionali sono tecniche che non vengono ampiamente utilizzate nella categoria latte da bere convenzionale (Smith et al., 2009). In uno studio condotto su individui adulti nell’Irlanda del Nord, i consumatori consideravano il latte come un prodotto e quindi non hanno mostrato fedeltà per una certa marca (Hollywood et al., 2013); tuttavia, non è noto se lo stesso effetto si sarebbe potuto osservare anche nei bambini. Per i consumatori statunitensi di latte da bere in generale la marca era l’attributo meno importante (McCarthy et al., 2017a; Harwood e Drake, 2018). Effetti analoghi legati al marchio sulla percezione dei consumatori sono stati osservati per il latte aromatizzato. Kim et al. (2013) hanno riferito che il marchio non aveva avuto un effetto costante sul gradimento del latte al cioccolato, e il marchio era meno importante del contenuto di grasso e del contenuto di zucchero riportati sull’etichetta del latte. Va anche notato che c’è un grande controllo dell’opinione pubblica riguardo l’etica dell’utilizzo di marchi o di personaggi a scopi promozionali nella pubblicità del cibo per i bambini piccoli, soprattutto perché queste tattiche spesso vengono utilizzate per promuovere cibi ad elevata densità energetica e poveri di nutrienti (Elliott, 2008; Harris et al., 2010). Tuttavia, sebbene non esista molta ricerca su questo tema, tali tecniche potrebbero venire utilizzate per promuovere e far aumentare il gradimento dei bambini verso i cibi salutari (Cornwell et al., 2014).
Materiali per il confezionamento. Il materiale e la forma della confezione hanno un grande impatto sull’esperienza del consumatore e sul sapore del latte fluido. Il confezionamento del latte protegge dalla contaminazione microbica, dalla luce, dall’ossigeno e aiuta a mantenerne intatto il valore nutrizionale durante la conservazione (Zygoura et al., 2004). I materiali più comunemente utilizzati per il confezionamento del latte oggi includono le taniche in polietilene ad alta densità (HDPE), le bottiglie in polietilene tereftalato (PET) e in policarbonato, le vaschette in polistirene ad alto impatto, i sacchetti in polietilene a bassa densità, i contenitori di carta rivestita e i materiali compositi multistrato (Karaman et al., 2015). Harwood e Drake (2018) hanno riportato che la tipologia di imballaggio era di scarsa importanza per i consumatori adulti; tuttavia, la forma o la linea della confezione potrebbero creare aspettative nei consumatori riguardo al prodotto (Ares e Deliza, 2010). Ad esempio, i focus group con i consumatori nell’Irlanda del Nord hanno evidenziato che i contenitori di cartone non trasparenti erano meno attrattivi per i consumatori rispetto alle confezioni che permettevano loro di osservare e di valutare visivamente la qualità del prodotto lattiero-caseario (Hollywood et al., 2013). Le tipologie più diffuse di contenitori per i latticini fluidi sono le taniche e le bottiglie in HDPE (Brody, 2016). Sono convenienti, durevoli e di facile utilizzo. Sebbene l’HDPE rappresenti una buona barriera contro l’umidità, di per sé è piuttosto inefficace nel proteggere dall’ossigeno e dalla luce. Pertanto, il latte confezionato in taniche o bottiglie in HDPE è suscettibile all’ossidazione dei lipidi (Cladman et al., 1998) e all’ossidazione indotta dalla luce. Per combattere l’ossidazione indotta dalla luce, solitamente vengono utilizzate bottiglie in materiale multistrato pigmentato con composti come il biossido di titanio (Karatapanis et al., 2006). Le confezioni in polietilene tereftalato hanno il vantaggio essere resistenti pur essendo leggere, oltre al fatto che garantiscono un miglior effetto barriera nei confronti dell’ossigeno rispetto all’HDPE (Zygoura et al., 2004; Karatapanis et al., 2006). Karatapanis et al. (2006) hanno scoperto che il latte intero pastorizzato con metodo HTST e confezionato in bottiglie di PET sia trasparenti che colorate sviluppava aromi indesiderati di plastica e si ossidava dopo 5 giorni di conservazione se esposto a luce fluorescente, il che riduceva significativamente la qualità del sapore del latte. Inoltre, le confezioni in PET non fornivano la stessa protezione dalla luce delle bottiglie in HDPE colorato o delle confezioni in cartone (Karatapanis et al., 2006). Una contenitore composito comunemente utilizzato per il confezionamento del latte da bere in Europa e in Nord America è il tetraedro, sviluppato da Tetra Pak (Pully, Svizzera). È formato da una combinazione di materiali costituiti da cartone, rivestimento in polietilene e strato di alluminio. Questo formato viene comunemente impiegato per gli imballaggi che devono durare a lungo nel tempo (Brody, 2016). Le confezioni di cartone gable-top sono una forma popolare di contenitore per mezzo gallone (o misure più piccole) di latte fluido, data la loro resistenza all’umidità, la loro convenienza economica e la facilità con cui vi si possono appore delle grafiche (Brody, 2016). Vengono prodotte estrudendo uno strato di polietilene su uno di cartone (Baigrie, 2003). Circa il 93.8% del latte venduto nei programmi delle mense scolastiche statunitensi (2017-2018) era contenuto in confezioni di cartone da 240 ml, il 4.6% in bottiglie di plastica e l’1.6% in sacchetti (MilkPEP, 2017). Una limitazione dei contenitori di cartone è che sono altamente suscettibili al passaggio degli aromi dei composti volatili dalla confezione; vale a dire, dal rivestimento in polietilene al latte (Leong et al., 1992). Questi cartoni non funzionano bene come barriera per l’ossigeno e causano la comparsa di sapori stantii durante il periodo di conservazione (Karatapanis et al., 2006). I cartoni gable-top destano una certa preoccupazione perché, come discusso in precedenza, il sapore è il principale motore del consumo di latte nei bambini. Per quanto riguarda la facilità d’utilizzo, risultano essere più difficili da aprire rispetto ad altre tipologie di imballaggio e non sono richiudibili (Brody, 2016).
Riepilogo
Molti fattori influenzano la percezione che i bambini hanno del latte da bere, ma il sapore e l’abitudine rimangono i fattori chiave del consumo di latte. Far sviluppare delle abitudini di consumo di latte durante gli anni della scuola elementare è fondamentale per promuovere il consumo di latte durante tutta la vita, allo scopo di migliorare la salute e il benessere delle ossa. Per rendere il latte più appetibile per i bambini durante questi anni fondamentali, è necessario tenere in considerazione sia le proprietà intrinseche ed estrinseche del latte da bere, sia i fattori ambientali in base ai quali il latte viene fornito ai bambini nelle scuole. Gli organismi che si occupano delle mense scolastiche devono sottostare a molti vincoli specifici (calorie totali, grassi come percentuale di calorie e livello di sodio) che devono poi riuscire a soddisfare per poter beneficiare del rimborso per il pranzo scolastico. Inoltre, devono soddisfare i criteri stabiliti per i gruppi di alimenti per un numero specifico di porzioni per pasto di frutta, verdura e latte. Per rispettare i limiti imposti sulle calorie totali per pasto e sulla percentuale di calorie derivanti dai grassi, il latte offerto deve essere quello scremato o quello all’1% di grassi. Inoltre, i fornitori delle mense scolastiche devono controllare il costo totale del pranzo per studente per poter rientrare nel budget del distretto scolastico locale. Nonostante questi vincoli, a scuola viene sempre offerta ad ogni studente una porzione di latte da 240 ml per pasto. La qualità del latte scremato e di quello all’1% di grasso offerto nei programmi delle mense scolastiche non è ottimale (a causa del confezionamento a basso costo adottato), e spesso le proprietà organolettiche non soddisfano gli studenti (Sipple, 2019). Lo scarso utilizzo e la scadente conservazione del latte nella scuola è spesso un ulteriore ostacolo al raggiungimento di un elevato gradimento della qualità del latte da parte degli studenti. Di conseguenza, i dati relativi al grande spreco di latte mostrano che gli studenti prendono il latte che gli viene offerto ma ne consumano solamente una parte. Il settore lattiero-caseario deve trovare strategie più convenienti per riuscire a fornire ai bambini latticini “a valore aggiunto”, così come prodotti con confezioni migliorate o prodotti riformulati per contenere più proteine e calcio, meno carboidrati, lattosio idrolizzato o dolcificanti naturali e artificiali, o con sapore e confezioni in grado di soddisfare il gusto degli studenti. È necessario incrementare la ricerca per sviluppare bevande a base di latte (aromatizzato e non) con un’elevata qualità nutrizionale che possano piacere ai bambini ed essere scelte, tra tutte le altre bevande, nella caffetteria, nella mensa e nei punti vendita al dettaglio. C’è una lacuna nella ricerca per quanto riguarda le preferenze dei bambini circa le proprietà estrinseche del latte da bere, soprattutto per quanto concerne l’etichettatura e la grafica della confezione. Per incrementare il consumo di latte durante tutta la vita dell’individuo è necessario capire come creare e commercializzare i prodotti lattiero-caseari attraenti per i bambini, che non vadano però a compromettere la loro salute tramite un’eccessiva assunzione di calorie o grassi.
Invited review: Maintaining and growing fluid milk consumption by children in school lunch programs in the United States
Lauren R. Sipple1,David M. Barbano2, e MaryAnne Drake1*
- Department of Food, Bioprocessing, and Nutrition Sciences, Southeast Dairy Foods Research Center, North Carolina State University, Raleigh 27695.
- Department of Food Science, Northeast Dairy Foods Research Center, Cornell University, Ithaca, NY 14853.
*Autore corrispondente: mdrake@ncsu.edu
J. Dairy Sci. 103:7639–7654
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