La placenta, come sappiamo, è un “organo condiviso” che collega utero materno e feto, permettendo scambi di nutrienti, ossigeno e scarti tra sangue fetale e materno. Ciò, rende sostanzialmente madre e feto un’unica entità sino al momento del parto, quando la componente fetale della placenta viene riconosciuta come tessuto “estraneo” dal sistema immunitario della vacca allo scopo di permetterne il distacco e l’espulsione. È a questo punto che la placenta, o meglio, la sua eventuale ritenzione, ottiene il nostro interesse.

Infatti, se la vacca non espelle gli invogli fetali entro 12-24 ore dal parto, come dovrebbe avvenire normalmente, viene definita come affetta da “ritenzione placentare”. Spesso, il tasso di ritenzione placentare, se non supera il livello soglia (in media un 10%), rimane come elemento di “sfondo” insieme ad altri valori, come l’incidenza di chetosi o metriti. Dovremmo invece imparare a prestare più attenzione a questi dati che praticamente compongono una sorta di carta d’identità dell’allevamento: una “fotografia” della gestione della mandria. Trattandosi di entità biologiche, una certa incidenza può essere considerata “fisiologica”; tuttavia, se i casi iniziano ad aumentare, anche di poco, significa che stiamo sbagliando qualcosa. Rari, infatti, sono i casi di ritenzione placentare riconducibili ad una vera e propria patologia; molto più spesso l’eziologia è da ricercare in errori gestionali. L’incidenza di ritenzione di placenta in una mandria dovrebbe quindi essere considerata non come un caso a sé stante, ma come un indicatore dello stato immunitario o, per altri aspetti, della gestione dell’asciutta e della transizione di quell’azienda.

Una vacca con ritenzione sarà ovviamente più esposta al rischio di metriti cliniche o subcliniche. Un tale quadro infiammatorio può portare, nel peggiore dei casi, a squilibri fisiologici che potrebbero risultare in chetosi o dislocazione dell’abomaso, oltre chiaramente a causare un calo della produzione di latte ed un ritardo nel ciclo riproduttivo. Non facciamoci quindi ingannare da un basso tasso di ritenzione placentare, in quanto i suoi effetti negativi possono estendersi sino a mesi dopo il parto, originando un discreto danno economico per l’allevamento.

Lo sviluppo della ritenzione placentare è sicuramente multifattoriale, essendo legato a squilibri ormonali, nutrizionali ed immunitari. Tuttavia, se vogliamo cercare di prevenirla dobbiamo dedicare la nostra attenzione al fattore comune: lo stress che subisce la vacca al parto e nei mesi che lo precedono.

È stato ampiamente dimostrato quanto lo stress possa influire negativamente sul sistema immunitario e sappiamo anche molto bene che il periodo più stressante per la vacca da latte è la transizione. Tuttavia, se sicuramente buona parte dei problemi riscontrati durante il primo mese di lattazione hanno origine da una transizione difficile, molto può essere fatto anche durante l’ultima fase di lattazione e alla messa in asciutta. Anche questa, infatti, sebbene in modo meno drastico dell’inizio di lattazione, comporta notevoli cambiamenti e stress per la vacca.

La sospensione “forzata” della produzione di latte, anche dal punto di vista metabolico, costituisce un forte cambiamento nella ripartizione dei nutrienti senza considerare, a livello fisiologico, l’aumento iniziale della pressione nella mammella che può indurre forte dolore. A tutto questo si devono aggiungere gli stress ambientali e sociali. Dopo aver passato 7-8 mesi nello stesso “habitat” la vacca si ritrova in uno spazio nuovo dove dovrà riconquistare un suo posto per riposare e per mangiare, nonché per riposizionarsi nel nuovo ordine sociale. Anche la nuova razione è fonte di stress in quanto, oltre a comportare inizialmente un senso di “fame”, necessita di un adattamento della microflora ruminale ed intestinale. A questi vanno aggiunti gli stress che dovrebbero essere “straordinari”, quali sovraffollamento e stress da caldo. Troppo spesso, infatti, lo spazio dedicato all’asciutta è affetto da una mancata programmazione, ed il raffrescamento viene prevalentemente dedicato ai gruppi in lattazione.

Durante le ultime 2-3 settimane prima del parto i maggiori fabbisogni dovuti alla crescita fetale ed alla produzione del colostro portano ad un’aumentata mobilizzazione delle riserve corporee che, se non compensate da un’adeguata (qualitativamente e quantitativamente) ingestione di sostanza secca, può portare ad un grave bilancio energetico e proteico negativo, contribuendo a sua volta ad una ridotta funzionalità del sistema immunitario al momento del parto.

Lo stress psicologico e metabolico non è solamente una “condizione” ma ha conseguenze concrete. Si traduce infatti in una cascata di stimoli ormonali che portano ad un aumento plasmatico di glucocorticoidi (cortisolo) e catecolamine (adrenalina). Cortisolo e adrenalina interagiscono con recettori specifici sulle cellule immunitarie alterandone la produzione di citochine: ne consegue la disfunzione del sistema immunitario che può protrarsi dall’inizio dell’asciutta sino ai primi giorni di lattazione.

La moltitudine dei fattori stressogeni che caratterizzano il periparto e l’asciutta può avere ben altre conseguenze. Recenti studi pongono infatti l’attenzione sul fatto che lo stress possa esporre il sistema circolatorio all’ingresso di endotossine (LPS) che a loro volta scatenerebbero la risposta infiammatoria. L’LPS può avere origine nell’utero (metrite), nella mammella (mastite) o nel tratto gastroenterico (acidosi ruminale, ridotta ingestione, stress intestinale). L’attivazione del sistema immunitario porterebbe quindi al sequestro del calcio plasmatico con conseguente ipocalcemia ed aumento dei NEFA ed iper-chetonemia, prima e dopo il parto.

È stato dimostrato come la concentrazione di NEFA nel preparto possa predire una ritenzione di placenta. Se la concentrazione sierica di NEFA una settimana prima del parto è ≥ 0,3 mEq/L, la possibilità di incorrere in ritenzione di placenta è di 1,8 volte superiore rispetto a vacche con miglior bilancio energetico (Chapinal et al., 2011). Altri studi (Ospina et al., 2010) hanno riscontrato come vacche che presentavano NEFA in concentrazione ≥ 0.5 mEq/L nei 14 giorni prima del parto hanno avuto un’incidenza di ritenzione, metrite o entrambe superiore di 2,2 volte. Chiaramente, anche il BCS ha una correlazione con un maggior rischio di ritenzione placentare. Animali che al momento dell’asciutta presentano valori di BCS superiori a 3,75 saranno esposti ad una maggior mobilizzazione ed avranno un rischio maggiore di sviluppare chetosi, fegato grasso, collasso puerperale e ritenzione di placenta. Come è noto, uno squilibrio di macrominerali come calcio e fosforo dovuto alle aumentate richieste per la produzione di latte, alla mancata ingestione o ad uno stato infiammatorio, predispone alla ritenzione di placenta. L’ipocalcemia subclinica, come è stato riscontrato, può infatti aumentare l’incidenza di ritenzione placentare di 3,4 volte (Ca ≤ 2,05 mM; Rodriguez et al., 2017).

Cosa possiamo fare quindi per mitigare gli effetti negativi dello stress sul sistema immunitario nel periparto?

Per quanto riguarda gli stress ambientali, va da sé che una gestione più accurata sin dalla messa in asciutta può recare molti vantaggi. Tuttavia, sebbene una parte dello stress metabolico sia inevitabile, dal punto di vista nutrizionale possiamo sempre fare qualcosa per aiutare le nostre vacche. Vi sono, naturalmente, l’apporto di vitamina E, selenio ed acidi grassi omega 6 che, migliorando il profilo ossidativo, possono dare dei benefici. Recenti studi hanno inoltre evidenziato che anche altri nutrienti possono giocare un ruolo molto importante. Il sistema immunitario attivato necessita di elevate quantità di glucosio e proteine (proliferazione di neutrofili, citochine). Una carenza di proteine metabolizzabili può solo peggiorare le cose. Infatti, gli amminoacidi non servono solo come elementi costitutivi delle proteine, ma hanno un ruolo immuno-metabolico diretto e indiretto. Essi partecipano al metabolismo energetico (gluconeogenesi) e vengono utilizzati per la sintesi di importanti molecole antiossidanti, come la glutatione perossidasi, la taurina e l’idrogeno perossidasi. La metionina rumino-protetta migliora il meccanismo di riconoscimento dei patogeni, la capacità di fagocitosi dei neutrofili e supporta la sintesi di antiossidanti (GSH). Recenti studi mostrano come anche la colina possa svolgere ruoli importanti, oltre a ridurre l’accumulo di trigliceridi epatici. Essa potrebbe infatti migliorare l’integrità della mucosa gastrointestinale (acidosi ruminale, stress da caldo), ridurre il passaggio di endotossine ed aumentare l’assorbimento dei nutrienti durante il periparto. È stato inoltre riportato come l’integrazione con colina rumino-protetta possa aumentare le concentrazioni di α-tocoferolo nelle vacche da latte (Pinotti et al., 2003; Sun et al., 2016), probabilmente a causa del migliorato assorbimento dei lipidi e del trasporto delle vitamine liposolubili attraverso gli enterociti. L’integrazione di colina rumino-protetta durante la transizione aumenta anche la concentrazione di calcio totale plasmatico nei primi 7 giorni dopo il parto (Zenobi et al., 2018), con conseguente riduzione della prevalenza di ipocalcemia subclinica, probabilmente grazie ad un possibile miglioramento dell’assorbimento gastrointestinale di calcio. Studi molto recenti (Arshad et al., 2020) hanno inoltre mostrato come l’integrazione di diete di vacche da latte in transizione con colina rumino-protetta tenda a ridurre l’incidenza di ritenzione placentare e mastiti.

Impariamo dunque a prestare molta attenzione ai dati aziendali in quanto sono ottimi indicatori di problematiche gestionali spesso nascoste e latenti. La soluzione è spesso davanti ai nostri occhi, ma purtroppo (o per fortuna) non è così facile vederla.

Per ulteriori approfondimenti riguardo all’alimentazione durante il periodo d’asciutta rimandiamo a degli articoli precedentemente pubblicati su questa rubrica: “Perché si devono asciugare le bovine da latte? – Parte I” e “Perché si devono asciugare le bovine da latte? – Parte II”.

Autori

Richard Paratte, Tamás Kertész

 

Rubrica a cura di Vetagro


 

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