Il 25 settembre 2022 il popolo svizzero si è espresso bocciando la proposta del “No all’allevamento intensivo in Svizzera”.
Una raccolta di oltre 100.000 firme richiedeva al governo di stabilire regole più rigorose per il benessere degli animali e per la loro macellazione, tra cui l’imposizione di requisiti minimi per l’alloggio, l’assistenza sanitaria, l’accesso all’aria aperta, la significativa riduzione del numero massimo di capi per superficie e importazioni conforme alle norme introdotte.
Tutto questo in un lasso di tempo di circa 25 anni perché gli agricoltori si adattassero alle nuove regole. La Federazione degli agricoltori non ha tardato nei mesi scorsi a sottolinearlo come “un attacco ingiusto nei loro confronti come un mezzo per ridurre il consumo di carne nella società in senso lato”.
Il 62,86% dei votanti (la partecipazione al voto a livello nazionale è stata del 51,6%) si è dichiarato contrario all’iniziativa promossa dalle associazioni ambientaliste, che da anni stanno cercando di inserire la tutela degli animali nella Costituzione svizzera.
Anche il governo si era da subito detto contrario alla proposta, affermando che le modifiche richieste avrebbero violato gli accordi commerciali e aumentato i costi di investimento e i prezzi dei generi alimentari al consumo.
In realtà la Svizzera dispone di una legge che già dal 1996 delinea chiaramente l’importanza della protezione degli animali, tanto da considerarsi fra le più severe in assoluto: è vietato allevare le galline in batteria, il sovraffollamento, non è possibile tenere rinchiusi oltre 1500 suini per struttura o più di 300 vitelli.
Il ministro dell’Interno Alain Berset ha affermato, domenica scorsa, che i cittadini hanno “giudicato che la dignità degli animali è rispettata nel nostro Paese e che il loro benessere è sufficientemente tutelato dalla normativa vigente. Inoltre la legge avrebbe violato gli accordi commerciali e aumentato i costi di investimento e i prezzi dei generi alimentari al consumo.”
C’è da dire che la maggioranza dei cittadini svizzeri non percepisce quindi come un problema le attuali condizioni negli allevamenti. Diversamente dagli attivisti, che dalla loro, vedevano la riforma come una maniera per contribuire alla lotta globale contro il cambiamento climatico, giunto fin sulle vette svizzere, colpite anch’esse dalla siccità durante questa torrida estate e per incentivare una riduzione del consumo di carne e il riutilizzo della terra per produrre più verdure e meno aliementi per animali.
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