Uno dei fattori più importanti nell’ambito della gestione della produzione lattiero-casearia è quello legato alla salute della ghiandola mammaria, in quanto essa si riflette non solo sul benessere della bovina, ma anche sulla sua produttività, sulla qualità del latte e la sua attitudine casearia. È pertanto fondamentale il continuo studio e la messa a punto di indicatori di funzionalità della ghiandola mammaria in grado di fornire informazioni rapide e di facile interpretazione all’allevatore.
Allo stato attuale, il più diffuso strumento di screening a livello aziendale per l’identificazione di infezioni intramammarie rimane la conta delle cellule somatiche (SCC), le quali sono composte, oltre che da una piccola percentuale di cellule di sfaldamento dell’epitelio mammario, da diverse popolazioni leucocitarie (linfociti, neutrofili polimorfonucleati e macrofagi), le cui frequenze relative cambiano notevolmente a seconda della fase della risposta immunitaria (es. i neutrofili polimorfonucleati sono principalmente coinvolti nella fase acuta dell’infezione, mentre i macrofagi sono generalmente maggiormente presenti nella ghiandola mammaria sana).
Per quanto siano un indicatore robusto, le SCC presentano il limite di non fornire le singole proporzioni delle diverse popolazioni immunitarie, il che ha portato al recente sviluppo di un nuovo indicatore, la conta delle cellule somatiche differenziali (DSCC). Esse rappresentano la percentuale combinata di neutrofili polimorfonucleati e linfociti (da cui è possibile estrapolare quella dei macrofagi come complemento a 100) presenti all’interno delle cellule somatiche, e pertanto riescono a fornire, insieme alle SCC, informazioni più puntuali anche sull’andamento dell’infezione intramammaria.
Un recente studio condotto dal Dipartimento DAFNAE dell’Università degli Studi di Padova è andato a valutare per la prima volta, su quasi 1,500 bovine in produzione allevate in sei diverse aziende della Pianura Padana, l’associazione tra questi due indicatori di salute (SCC e DSCC) e il profilo proteico del latte. Tra i vari componenti del latte, le frazioni proteiche svolgono un ruolo fondamentale, non soltanto dal punto di vista nutrizionale, ma anche tecnologico, in quanto influenzano in modo significativo la resa casearia.
La quantificazione delle diverse frazioni proteiche è stata effettuata con una metodica di HPLC a fase inversa mentre le SCC (cell/mL) e DSCC (%) sono state misurate utilizzando la strumentazione Fossomatic TM 7DC, che permette di processare un elevato numero di campioni in tempi molto brevi. Per valutare in maniera più dettagliata l’impatto delle diverse popolazioni leucocitarie sul profilo proteico del latte, le DSCC sono state successivamente convertite ed espresse come conta di neutrofili polimorfonucleati e linfociti (PMN-LINF count = DSCC, % × SCC log) e macrofagi (MAC count = 100 – DSCC, % × SCC log).
Lo studio ha evidenziato come l’aumento di SCC e DSCC comporti delle alterazioni significative nel profilo proteico del latte. All’aumentare delle SCC è stata riscontrata una diminuzione della caseina totale (in particolare della frazione β-caseina) e un aumento di siero proteine, probabilmente legato all’aumento dell’azione di enzimi proteolitici che sembrano agire selettivamente nei confronti delle frazioni caseiniche. D’altra parte, l’aumento di DSCC è risultato associato negativamente con alcune principali frazioni caseiniche (α-s1 e β-caseina), e negativamente con la siero proteina α-lattoalbumina, evidenziando quindi un trend opposto rispetto a quanto riscontrato con le SCC.
Andando successivamente a considerare le DSCC come conta di PMN-LINF e conta MAC è stato osservato, anche in questo caso, un andamento opposto tra queste due variabili nei confronti delle varie frazioni proteiche, sebbene molto più marcato per la categoria dei MAC. Infatti, all’aumentare delle popolazioni di PMN-LINF si è osservato un aumento significativo di β-caseina e una riduzione di α-lattoalbumina, mentre un contenuto maggiore di MAC è stato associato ad una diminuzione del contenuto di caseine (in particolare β-caseina) e ad un aumento di siero proteine (β-lattoglobulina e α-lattoalbumina). Questa associazione sfavorevole dei MAC nei confronti delle caseine sembra essere ascrivibile alla loro azione proteolitica endogena, in particolare proprio nei confronti delle frazioni caseiniche, anche se la maggior parte degli animali coinvolti in questo studio si trovava in buone condizioni di salute e quindi si poteva assumere che la popolazione immunitaria prevalente fosse appunto proprio quella dei macrofagi.
In conclusione, sebbene le SCC e DSCC nascano come indicatori di salute della mammella, il presente studio ne ha evidenziato il loro potenziale utilizzo anche per la valutazione di aspetti legati alla qualità del latte, come il profilo proteico. Inoltre, il marcato effetto sfavorevole dei MAC potrebbe essere il punto di partenza per lo sviluppo di un nuovo indicatore di interesse per il settore lattiero-caseario.
La presente nota è una sintesi del seguente articolo scientifico pubblicato sul Journal of Dairy Science dove è riportata tutta la letteratura citata: “Impact of somatic cell count combined with differential somatic cell count on milk protein fractions in Holstein cattle” (2022) di V. Bisutti, A. Vanzin, A. Toscano, S. Pegolo, D. Giannuzzi, F. Tagliapietra, S. Schiavon, L. Gallo, E. Trevisi, R. Negrini, e A. Cecchinato.
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