Accolgo volentieri l’invito dell’amico Dott. Alessandro Fantini di raccontare la mia esperienza al COP27 a Sharm el-Sheikh. È stata la mia terza esperienza in presenza alle COP dopo Madrid 2019 e Glasgow 2021 (nel 2020 l’edizione è stata rimandata).

COP, la storia

COP è l’acronimo che sta per Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC).

Sono 197 i paesi + 1 (l’Unione Europea) che hanno ratificato l’UNFCCC. Nata con gli Accordi di Rio a Rio de Janeiro nel 1992, ha visto la prima conferenza nel 1995 a Berlino, poi Ginevra. La terza, storica, la COP3 tenutasi nel 1997 a Kyoto, è stata la prima ad aver prodotto un accordo che stabiliva obiettivi di emissione di gas serra, il famoso “Protocollo di Kyoto”. Altra COP storica è stata la COP21, nel 2015 a Parigi, che ha prodotto il famoso Paris Agreement fissando globalmente il limite massimo di incremento della temperatura da non superare, di 1.5°C.

Anche l’Italia ha ospitato una COP, la COP 9 a Milano nel 2003

La 27a COP, si è svolta dal 6 al 20 novembre 2022 a Sharm el-Sheikh, in Egitto.

Premesse

Cominciamo col dire che la scelta dell’Egitto non mi ha convinto, per usare un eufemismo; anche tralasciando la questione del rispetto dei diritti umani, il paese non è di certo impegnato nella lotta alla crisi climatica: si basa per il 90% sul carbone per la produzione di elettricità e ha in programma di aumentare le proprie estrazioni di gas e petrolio.

L’esperienza

Il resoconto della mia esperienza comincia con l’arrivo nell’aeroporto di Sharm con il mio Jet… “Easyjet” J per la precisione, pieno di gente in giacca e cravatta e qualche famiglia di vacanzieri un po’ spaesata. Ho subito notato la moltitudine di Jet privati giunti per portare da tutto il mondo leader impegnati nel parlare di riduzione di gas serra… jet che nei giorni successivi si vedevano volare nei cieli sopra la città. Tutta la città era super militarizzata e iper-sorvegliata: appena arrivato e anche durante le giornate seguenti sono stato fermato più volte per una verifica del passaporto e ho dovuto sempre lasciare l’indirizzo dell’hotel e il motivo per cui ero lì. Il numero di guardie che pattugliavano le aree prospicienti le sale conferenze era notevole e, muovendosi per la città per i vari meeting che ho avuto, mi hanno colpito, e anche fatto un po’ pena, le molte guardie visibili in lontananza in mezzo al deserto, in uniforme e armate sotto il sole. Persino di fronte alla spiaggia del mio hotel c’erano due motovedette in mare.

Per chi non c’è mai stato, la COP sembra una gigantesca fiera capace di ospitare 40 mila persone tra delegati e osservatori, che diventano almeno il triplo contando i vari operatori, volontari, poliziotti, inservienti e via dicendo, ma dove all’interno, piaccia o meno, si decidono politiche che poi, adottate dai paesi, impattano sulla nostra vita.

L’organizzazione non è stata certo impeccabile, dopo pochi giorni è finita l’acqua, nonostante lo sponsor dell’evento sia uno dei maggiori produttori di acqua del mondo (da molti criticato per sospetto greenwashing: Coca Cola). Code lunghissime sotto il sole per procurarsi il cibo nei pochi bar, con costi insostenibili per un evento teoricamente “umanitario”: 12-15 dollari, per un panino da mangiare in piedi magari davanti ai pannelli pubblicitari che ricordano quanto il cibo sia importante per il Pianeta… Molte cose erano insostenibili e fastidiose, a cominciare dal costo degli hotel decuplicato o anche di più, dalla quantità di taxi costituiti da vecchie auto inquinanti. La gente che si incontrava però era estremamente interessante e rappresentava uno spaccato del mondo. Come scritto in un divertente articolo di Ferdinando Cotugno su Esquire, le conferenze sul clima “somigliano al bar di Guerre Stellari, un posto nel quale puoi incontrare un lobbista di un’azienda petrolifera araba, un’adolescente tatuata, voce ufficiale del dolore climatico delle Filippine, un parlamentare indigeno del Brasile che prova la realtà virtuale, una spia egiziana costretta a fingersi società civile ambientalista nordafricana per origliarti meglio”, proprio così.

Come ogni anno la COP è divisa in due zone: Green Zone e Blue Zone. La Green Zone è quella dedicata alla società civile e vi hanno accesso tutte le persone, come turisti appassionati dei temi della sostenibilità e visitatori vari (ovviamente l’ingresso è consentito previa registrazione nominale, molti controlli, ecc): in parte ricordava l’expo di Milano 2015, decisamente ho trovato migliore quella di Glasgow.

La Blue Zone (con aria condizionata esageratamente fredda) è la parte più interna, dove hanno accesso solamente gli accreditati: i giornalisti, gli osservatori, il personale Onu ed egiziano e tutti i delegati dei Paesi che prendono parte ai negoziati, comprese le istituzioni, le ONG e i lobbisti. I lobbisti già… parliamo, tra questi, di 636 rappresentanti dell’industria fossile, cento in più rispetto della scorsa COP! Per avere un termine di paragone, nessuna nazione ha inviato un numero così alto di delegati. Si tratta di cifre che dimostrano chiaramente quanto impegno sia profuso dal settore delle fossili per tentare in ogni modo di rallentare la transizione ecologica.

Oltre a queste aree c’erano altre zone molto interessanti che ospitavano i cosiddetti “side event”, tra i quali il World Climate Summit e, forse la più interessante di tutte, la Climate Action Sustainable Innovation Zone dove nelle ultime 3 COP, ho partecipato con entusiasmo anche con diversi miei interventi come speaker o nei “panel” e nelle tavole rotonde sul palco. Mi piace perché è un luogo dove è facilitato il networking, l’incontro tra molte aziende che presentano soluzioni e prodotti innovativi, pratici, concreti, economicamente sostenibili.

Marco Poggianella, con David Grimes, former president

World Meteorological Organization alla COP 26

Sì perché esistono già molte soluzioni, vanno provate e utilizzate, come quelle presentate anche al COP 27 dalla Solar Impulse Foundation. La Solar Impulse Foundation, onlus fondata nel 2003 da Bertrand Piccard, ha presentato ai potenti del mondo le etichette “Solar Impulse Efficient Solution” assegnate a più di 1000 soluzioni redditizie e positive per il pianeta, scientificamente dimostrate ed attuabili ora. La mia azienda, SOP, ha ben 2 prodotti inseriti nella lista delle soluzioni attuabili ora (SOP LAGOON per il trattamento delle vasche di stoccaggio del liquame, con la riduzione di metano oltre il 70%, e SOP STAR COW, con la riduzione del metano enterico dal 20 al 50%).

Bilancio

Discorsi

Innanzitutto i primi discorsi dei leader sono stati molto decisi: “L’umanità ha una scelta da compiere” -ha detto il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ai leader riuniti a Sharm el-Sheikh- “o cooperare sul clima o morire. Il mondo può decidere di andare verso una solidarietà sul clima oppure rischia un suicidio collettivo”. Parole molto chiare. Al Gore, ex vicepresidente degli USA e premio Nobel 2007, dal podio ha detto che stiamo trattando la nostra atmosfera, quel “sottile guscio blu che ci protegge”, come “una fogna a cielo aperto” E ha aggiunto “Oggi, come ogni giorno, stiamo vomitando 162 milioni di tonnellate di calore artificiale che intrappolano nel cielo l’inquinamento dovuto al riscaldamento globale. Si somma e si accumula lì… La quantità accumulata intrappola tanto calore extra quanto sarebbe rilasciato da 60.000 bombe atomiche di classe Hiroshima che esplodono ogni giorno sul nostro pianeta. Ecco perché stiamo assistendo a questi disastri”.

“La voce della scienza odierna sul cambiamento climatico non potrebbe essere più acuta, più forte e più certa: oggi non siamo sulla buona strada per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi Celsius. Il momento per la nostra azione collettiva è adesso”, ha invece dichiarato il presidente del IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) Hoesung Lee e ancora: “disponiamo della tecnologia e del know-how per affrontare il cambiamento climatico. La comunità scientifica rimane pronta a lavorare con voi e a sostenervi in ogni fase. L’umanità, il nostro pianeta e tutte le specie che vivono su di esso non meritano niente di meno.”

Marco Poggianella con Hoesung Lee, presidente IPCC

Emozionante un filmato mostrato con una mappa del globo punteggiata da bandiere rosse per mostrare i luoghi che hanno subito disastri nel solo 2022: quasi il mondo intero era coperto. Dall’Oman alla Francia, dal Brasile al Sudan, sono state mostrate potenti immagini di distruzione insieme a testimonianze sconvolgenti di vittime del cambiamento climatico, compresi i bambini. Il video ha anche rivelato che senza una vera azione per il clima, luoghi iconici come Alessandria, Osaka, Rio de Janeiro, Maldive, Miami e Venezia potrebbero semplicemente scomparire. Ho apprezzato molto anche il discorso di Mia Mottley, prima ministra delle Barbados, altro stato fortemente a rischio sparizione, che ha dichiarato: “non c’è una crisi ecologica, una crisi sociale e una crisi politica, ma una sola policrisi”. E all’attacco: “Come fanno le aziende a realizzare 200 miliardi di dollari di profitti negli ultimi tre mesi e non aspettarsi di contribuire con almeno 10 centesimi su ogni dollaro a una creazione di un fondo danni? Questo è ciò che la nostra gente si aspetta”, ha detto Mia Mottley. È stato anche uno dei primi discorsi del nostro nuovo primo ministro Giorgia Meloni che ha ricordato che l’Italia “resta fortemente impegnata a proseguire il suo percorso di decarbonizzazione, nel pieno rispetto degli obiettivi dell’Accordo di Parigi avendo triplicato i propri stanziamenti, portandoli a 1,4 miliardi di euro”.

Cosa è stato fatto? Cominciamo dagli aspetti positivi

Quanto detto da Mia Mottley è stato il precursore del nuovo fondo istituito “Loss and Damage” (Perdite e Danni). I paesi poveri sono riusciti dopo anni, finalmente, ad ottenerlo per poter essere aiutati a riprendersi da eventi meteorologici che sono già stati influenzati dal cambiamento climatico e per prepararsi agli eventi futuri previsti. È stata una trattativa lunghissima e il passaggio che ha permesso di superare l’impasse è stato quello di non considerare come beneficiari tutti i Paesi in via di sviluppo, ma solo quelli più vulnerabili. Questo ha permesso di non includere per esempio i Paesi petroliferi del Golfo, la Cina e la Russia tra i possibili beneficiari degli aiuti.

Tuttavia, per la decisione di tutti i dettagli tecnici di tale fondo, a partire da chi lo finanzierà a chi saranno destinate le risorse, si dovrà attendere agli esiti delle trattative che saranno condotte nel corso del 2023.

Un altro dato molto positivo è stato il fatto che finalmente ad una COP, abbiano partecipato i Paesi africani che fino ad oggi avevano rivestito un ruolo da emarginati nei negoziati internazionali sul clima.

Alla COP27 si è parlato di biodiversità, finalmente con una giornata interamente dedicata Se ne è parlato al COP perché a pesare sul futuro della biodiversità è soprattutto la crisi climatica: in uno studio pubblicato su Science nel 2018 si è stimato che, se il riscaldamento globale non viene arginato drasticamente, di qui alla fine del secolo perderemo metà delle specie presenti su questo pianeta. L’obiettivo dei negoziati era però di gettare le fondamenta per un documento vincolante sottoscritto a livello internazionale, un “accordo di Parigi per la natura” per fissare degli obiettivi di protezione e ristorazione degli ambienti che tuttavia non è stato completamente raggiunto. Il nuovo leader del Brasile, il presidente da Silva, ha annunciato che il suo governo darà la priorità agli sforzi per combattere la deforestazione in Amazzonia, proclamando altresì di voler istituire un ministero dedicato alla popolazione indigena, che svolge un ruolo fondamentale nella tutela della biodiversità forestale. A tal riguardo c’è stato anche un accordo per istituire la Forest and Climate Leaders Partnership per invertire la deforestazione in altri paesi.

Soprattutto quest’anno per la prima volta in una COP c’era anche un padiglione dedicato al Cibo e all’Agricoltura. Agricoltura che insieme all’adattamento è stata il tema centrale di una giornata dedicata. È stata diffusa una lettera stata firmata da oltre 70 reti e organizzazioni che rappresentano agricoltori, pescatori, pastori e produttori forestali che rivolgendosi ai leader mondiali denunciava come “il sistema alimentare globale non è attrezzato per affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici, anche se limitiamo il riscaldamento globale a 1,5°C e la costruzione di un sistema alimentare in grado di nutrire il mondo su un pianeta caldo deve essere una priorità per la COP27”.  È stato lanciato quindi il programma FAST (Food and Agriculture for Sustainable Transformation, ovvero Cibo e Agricoltura per la Trasformazione Sostenibile), con l’obiettivo di migliorare la quantità e la qualità dei contributi finanziari per il clima per trasformare l’agricoltura e i sistemi alimentari entro il 2030. Per farlo FAST supporterà l’adattamento, mantenendo l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro i +1,5° C e allo stesso tempo garantendo la sicurezza alimentare ed economica a più persone possibile. La FAO, in collaborazione con altre agenzie delle Nazioni Unite, svolgerà il ruolo di facilitatore neutrale, fornendo l’obiettività, l’indipendenza e la credibilità che sono prerequisiti per il successo dell’iniziativa FAST (non sono chiari ancora i dettagli e le modalità).

Un altro aspetto positivo è sul fronte della lotta per la riduzione del metano. Il metano ci riguarda da vicino perché è emesso, oltre che da attività come l’estrazione e distribuzione di gas e petrolio (23%), miniere a carbone (12%), discariche (20%), dall’agricoltura che rappresenta il 40%, con la coltivazione del riso l’8% e il 32% l’allevamento (con le emissioni enteriche e dai liquami).

Ho partecipato ad alcuni incontri e rilasciato interviste riguardo il metano negli allevamenti. Tra queste un incontro molto interessante è stato con Durwood Zaelke, presidente e fondatore del IGSD (Istituto per la Governance e lo Sviluppo Sostenibile, con sedi a Washington e Parigi). Durwood Zaelke è uno dei maggiori esperti di gas climalteranti al mondo, autore di molte pubblicazioni scientifiche e libri tra cui l’ultimo: Cut Super Climate Pollutants Now! The Ozone Treaty’s Urgent Lessons for Speeding Up Climate Action). Durwood ha definito la riduzione delle emissioni di metano “il modo più efficace per fermare l’aumento globale delle temperature. Il metano è circa 80 volte più climalterante della CO2 ed è responsabile di quasi la metà del riscaldamento netto che stiamo vivendo ora, ma ha una vita molto più breve nell’atmosfera (10-12 anni, contro i 50-100 anni della CO2) La mia raccomandazione è stata, parlando con molti governi, negoziatori e leaders” -mi ha raccontato Zaelke- “che il Protocollo di Montreal sia utilizzato come ispirazione per un accordo globale sul metano. Quando abbiamo scoperto il buco dell’ozono, il mondo è andato nel panico. Ma poi abbiamo trovato una via d’uscita. Il protocollo di Montreal è stato fatto in nove mesi. E oltre a riparare l’ozono, sta già evitando circa 2,5 gradi Celsius di riscaldamento: 1,5 gradi dai gas fluorurati che stanno per essere eliminati, e circa 1 grado dalla riparazione dello strato di ozono che impedisce alle radiazioni ultraviolette di entrare e distruggere il processo di fotosintesi.” (L’accordo internazionale del 1988, “Il Protocollo di Montreal” è considerato il regolamento ambientale internazionale di maggior successo essendo riuscito ad eliminare quasi il 90% delle sostanze chimiche dannose per l’ozono come i clorofluorocarburi (CFC) che erano ampiamente utilizzate nell’industria del mobile e del condizionamento dell’aria). “La lotta al cambiamento climatico è una maratona, ma se non vinciamo prima lo sprint, non vinceremo mai la maratona. È questo periodo dei prossimi 10 o 20 anni in cui vinceremo o perderemo la battaglia climatica. Saremo in grado di rallentare le emissioni che stanno riscaldando il pianeta, oppure andremo oltre il limite di temperatura di 1,5 gradi e lasceremo che i tipping points (i punti critici di non ritorno) del clima prendano il sopravvento”.

Tra questi “tipping points” il più preoccupante è il permafrost, il terreno ghiacciato che c’è in Siberia e nelle zone artiche. Se, a causa del riscaldamento globale, il permafrost si scioglie, queste “bombe di metano” – come vengono chiamate – possono disperdersi in atmosfera, accelerando ulteriormente il riscaldamento.

Come ben sanno I lettori di Ruminantia, visto I molti articoli pubblicati, la riduzione delle emissioni di metano è considerata una delle azioni più efficaci a breve termine per contribuire al raggiungimento dell’obiettivo climatico globale di limitare il riscaldamento a 1,5°C. Nel famoso rapporto dell’ Unep (Global Assessment: Urgent steps must be taken to reduce methane emissions this decade) pubblicato il 6 maggio 2021, citato da moltissimi speaker alla COP, viene indicato come ridurre le emissioni antropiche di metano del 45% entro il 2030 consentirebbe un risparmio di circa 180 milioni di tonnellate di metano all’anno, risparmiando un aumento della temperatura globale di 0,3°C entro il 2045. In termini di costi sanitari e sociali, equivarrebbe a prevenire nel mondo 260.000 morti premature, 775.000 visite in ospedale per asma, 73 miliardi di ore di lavoro risparmiate da ondate di calore estremo, salvare 25 milioni di tonnellate di coltivazioni altrimenti andate perdute ogni anno.

L’anno scorso, alla COP26 è stato lanciato Il Global Methane Pledge. Si tratta di un accordo volontario per ridurre le emissioni globali di metano del 30% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2020. L’impegno è condiviso da 150 Paesi che insieme sono responsabili della maggior parte delle emissioni mondiali di metano causate dalle attività umane. Il piano prevede una serie di azioni mirate alle emissioni di metano in diversi settori. Nel settore agricolo, le iniziative comprendono l’espansione del mercato di soluzioni “intelligenti dal punto di vista climatico”, il sostegno ai digestori anaerobici negli allevamenti e investimenti nella ricerca di nuove soluzioni.

Il Pledge è penalizzato dalla mancanza di Russia, India e Cina, anche se quest’ultima, pur non aderendo formalmente alla Global Methane Pledge, a sorpresa, ha presentato l’inviato speciale per il clima Xie Zenhua per partecipare al vertice e ha dichiarato che il governo ha preparato una strategia nazionale contro le emissioni di metano allineata con gli obiettivi della Pledge.

Aspetti negativi

Ora passiamo agli aspetti negativi che mi fanno dire, continuando nella analisi della COP27, che il bilancio, dal mio punto di vista, è più negativo che positivo. Il problema è l’aspetto della mitigazione, perché soltanto 33 dei 200 Paesi alla COP26 di Glasgow che avevano promesso di rivedere le proprie promesse di riduzione di emissioni vi hanno effettivamente dato seguito.  Perché nel testo finale del “Piano di attuazione” per ridurre le emissioni di gas a effetto serra, elaborato dopo estenuanti trattative, fa sì riferimento agli 1,5 gradi (stabiliti alla COP 21 di Parigi) ma non viene esplicitata la necessità di liberarsi totalmente dei combustibili fossili, e rimanda la richiesta ai singoli paesi di aggiornare i propri impegni di mitigazione alla prossima COP 28. Perché in questo testo, grazie probabilmente ai lobbisti citati sopra, il linguaggio è debole e ambiguo: si chiede la riduzione “graduale” (phase down) dell’uso del carbone ma non si menziona la riduzione degli altri combustibili fossili (petrolio e gas) nonostante la richiesta arrivata da oltre 80 Paesi, a partire da India ed Europa. Si chiede l’eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili ma solo di quelli “inefficienti”. Il testo promuove le energie rinnovabili, ma anche quelle “a basse emissioni”. Questo è pericoloso perché alcuni potrebbero tentare di includere anche il gas, un combustibile fossile che quando viene bruciato è meno inquinante del carbone, o i combustibili fossili con cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica. Purtroppo sappiamo tutti bene come il diavolo si nasconda nei dettagli…

Doveva essere il summit dell’implementazione, dell’azione decisa, ma è stato, quanto meno per gli impegni sulla riduzione di gas serra, un altro summit dell’inattività. E restare fermi in mezzo ad una crisi di tale portata, come riconosciuto dallo stesso segretario Guterres, significa correre “sparati a tutta velocità sull’autostrada per l’inferno climatico”.

Il limite 1,5° è stato molto citato durante il summit. Una quota crescente di studiosi ritiene che sia ormai poco realistico e, secondo alcune previsioni, l’aumento di 1,5° sarà superato nei prossimi anni Trenta, forse solo temporaneamente, per arrivare a 2.5°, 2.9° in futuro, con conseguenze drammatiche. In un recente articolo ‘The Economist’ ha scritto: “Sarebbe meglio ammettere che il limite di 1,5° è morto. La maggior parte degli addetti ai lavori sa che è vero. In pochi lo dicono in pubblico o alla stampa”.

Conclusioni

Cari amici di Ruminantia, lettori di questo unico e straordinario contenitore, luogo di libera espressione: “Stiamo facendo già molto…” sento dire spesso nel nostro settore. “I bovini ci sono sempre stati”, “La colpa non è nostra”. Molto non basta, e non importa molto di chi sia la colpa. Dobbiamo fare tutti insieme il massimo che possiamo. Io ho ancora speranze che ce la faremo, ma dobbiamo agire in fretta.

Anche quest’anno girava per la COP “Frankie the Dino”, un pupazzo di velociraptor animato dell’ONU, che diceva a tutti: «Noi ci siamo estinti a causa di un asteroide. Qual è la vostra scusa? Ogni anno i governi spendono centinaia di miliardi di fondi pubblici per finanziare sussidi ai combustibili fossili. È come se noi li avessimo spesi per finanziare meteoriti giganti! Non scegliete l’estinzione». Scegliamo le soluzioni che già esistono! Facciamolo ora.