L’indagine condotta da Osservatorio Immagino sulle nuove influenze di informazione nelle etichette alimentari. 

Oggi l’informazione digitale è la nuova materia prima delle aziende. Un consumatore che è immerso appieno in questa nuova concezione del commerciale può usufruire in qualunque momento, in qualunque luogo e in quantità inimmaginabili, di tutte le informazioni di un dato prodotto di consumo. Accanto alla rivoluzione digitale egli risponde, poi, agli stimoli della cultura alimentare e delle scoperte scientifiche su come il cibo influenzi la salute e il benessere. L’informazione sui prodotti alimentari diventa così un elemento fondamentale e l’etichetta è il primo elemento per entrarvi in contatto. Generalmente, le persone sono alla ricerca di punti di riferimento, infatti, le grandi marche oggi dispongono di strumenti informativi importanti per costruire una relazione di valore con loro: “informare bene” è oggi uno dei principali compiti per le imprese.

Tra le informazioni facoltative che possono essere presenti vi sono le indicazioni nutrizionali e salutistiche, i cosiddetti “claims” (es. “a ridotto contenuto calorico”, “a basso contenuto di sale”, “fonte di fibre”, etc.).  Secondo il Ministero della Salute, per poter utilizzare tali indicazioni occorre seguire le disposizioni generali e specifiche  definite al Regolamento CE 1924/2006 e s.m.i. 

Ma oggi, come si è giunti a questa consapevolezza? E in che modo i claims,  hanno influenzato gli acquisti? In questo articolo vi presentiamo l’analisi condotta dal 2019 al 2021 dall’Osservatorio Immagino GS1 Italy sui fenomeni del consumo alimentare con particolare riferimento ai prodotti di origine zootecnica, a favore della sostenibilità e alla tutela degli animali.  

«L’Osservatorio Immagino continua a monitorare tutto quello che succede sulle etichette dei prodotti di largo consumo, registrando sia le tendenze consolidate che quelle nuove» spiega Marco Cuppini, research and communication director di GS1 Italy. «In questa edizione abbiamo verificato, per la prima volta, l’esistenza di trend trasversali che accomunano o distinguono i prodotti a seconda della loro occasione di consumo. Insomma, dimmi quando mangi e ti dirò se cerchi benessere, salutismo, naturalità, sicurezza o italianità».

L’analisi inizia descrivendo il peso sul mass market dei prodotti formulati per adattarsi alle esigenze di chi soffre delle principali allergie e intolleranze alimentari, riportando un trend in continua crescita. Sono compresi in questo mondo un insieme di prodotti che presentano in etichetta o sul packaging i claims e i loghi correlabili  al “senza glutine”,, “senza lattosio”, “senza latte”, “senza lievito”, “senza uova”. 

Per esempio, nel 2021 le vendite dei 2.340 prodotti presentati in etichetta come “senza lattosio” sono cresciute del +4,3%, superando gli 1,5 miliardi di euro di sell-out.

Sul fronte della sostenibilità, in tutte le sue sfaccettature, questa si è confermata,  anche nel 2021, uno dei temi più sentiti e significativi del mondo del largo consumo in Italia. Ormai un prodotto su quattro presenta in etichetta un claim che ne comunica l’attenzione e l’impegno sul fronte del miglioramento dell’impatto ambientale. Sono, infatti, oltre 32,7 mila i codici rilevati che presentano on pack almeno uno dei 35 tra claims, certificazioni volontarie e bollini europei individuati dall’Osservatorio Immagino e suddivisi tra quattro aree tematiche: 

  • management sostenibile delle risorse, 
  • agricoltura e allevamento sostenibili, 
  • responsabilità sociale,
  • rispetto degli animali. 

Complessivamente, nel corso del 2021, il paniere dei prodotti, che comunicano on pack l’attenzione alla sostenibilità, ha realizzato 12,5 miliardi di euro di vendite, contribuendo per il 32,2% al giro d’affari del totale annuale.

Il gruppo più numeroso è quello dei prodotti contrassegnati dal claim “biologico” o dotati del logo EU Organic. Il 2021,  inoltre, ha  visto crescere ben sopra la media di mercato i prodotti con claim relativi a “filiera” o “tracciabilità”.

Queste  hanno mostrato, con 1.666 referenze riportanti la parola “filiera”,  le migliori performance, rappresentando  l’1,9% della numerica totale rilevata e contribuendo per il 3,2% al giro d’affari totale rilevato dall’Osservatorio Immagino. Inoltre, nel 2021, hanno fatto registrare oltre un miliardo di euro di vendite, mettendo a segno una crescita del +5,7% rispetto all’anno precedente. 

A far aumentare il valore delle vendite sono state le performance positive di alcune categorie, come la verdura di quarta gamma, la pasta di semola, il latte UHT, gli elaborati di carne (bovino, pollo, avicunicolo, suino) e i pomodori.

Sempre nel 2021, la crescita dei prodotti, che evidenziano in etichetta il claim “no cruelty”, si è stabilizzata, nonostante si sia registrato un calo delle vendite del 2,3%  per 642 prodotti con  logo “Cruelty free”. 

L’ attenzione alla provenienza dei prodotti, le esigenze di garanzie sulla sicurezza degli stessi, la sensibilità per l’eticità e la sostenibilità delle filiere da cui provengono sono solo alcuni degli atteggiamenti comuni a milioni di cittadini e che stanno diventando via via più condivisi. Del ruolo importante di queste istanze è una conferma anche lo spazio che hanno ottenuto, sulle etichette dei prodotti di largo consumo, i loghi di conformità europeo e le certificazioni del mondo della Corporate Social Responsibility (CSR), oltre che la bandiera del Paese produttore. 

L’Osservatorio Immagino ha suddiviso i prodotti di largo consumo, alimentari e non, in quattro categorie a seconda di quanto riportato in etichetta:

  • le bandiere del paese d’origine,
  • il logo europeo del biologico, 
  • il marchio di conformità europeo “CE” 
  • l’agglomerato CSR, che include otto certificazioni volontarie nell’ambito della sostenibilità ambientale ed etica. 

L’elemento più diffuso on pack è la bandiera del paese di origine, presente sul 14% dei prodotti analizzati dall’ Osservatorio  Immagino. Risulta, infatti, che sono 17.903 i prodotti con questa peculiarità, che nel 2021 hanno permesso di ottenere un’entrata pari a  6,1 miliardi di euro di sell-out, valore in calo del 1,5% rispetto al 2020. 

Ma i prodotti alimentari  si comprano e si vendono anche puntando sulla percezione sensoriale del consumatore, e in particolare sull’evocazione emotiva ad essi collegata. Un fenomeno, quello dell’indicazione “on pack” della texture dei prodotti, che l’Osservatorio Immagino monitora da alcuni anni, e che nel 2021 è arrivato a coinvolgere l’8,6% delle referenze alimentari rilevate (acqua e alcolici esclusi). Sono stati, infatti, quasi 7 mila i prodotti che hanno specificato in etichetta la loro consistenza, ricorrendo a uno degli 11 claims individuati. In totale hanno generato più di 3 miliardi di euro di vendite (10,8% del totale del paniere Immagino) e, nel corso del 2021, hanno visto ridursi dell’1,1% il giro d’affari, principalmente per la contrazione della domanda (-4,5%) e non per l’offerta, che è aumentata del 3,4%. La texture più segnalata sulle etichette, e anche la numero uno in termini di giro d’affari generato dai prodotti che la riportano, è “croccante”. Nel 2021 ha raggiunto i 913 milioni di euro di sell-out, con 1.542 referenze. Ma, rispetto all’anno precedente, ha perso lo 0,8% delle vendite, a causa della contrazione del 3,6% della domanda. L’offerta, invece, è cresciuta del  2,8%. Tra i prodotti che hanno maggiormente contribuito al trend negativo ci sono i biscotti tradizionali e i cereali per la prima colazione. Ancor più negativo il bilancio 2021 del secondo claim per rilevanza: “cremoso”. Rispetto all’anno precedente, ha ridotto il giro d’affari del 9,1%, soprattutto a causa delle minori vendite di yogurt intero, formaggi fusi in fette, biscotti tradizionali, formaggi freschi industriali e panna UHT.

In conclusione, oggi, come si è potuto notare, sono veramente tanti i fattori che possono influenzare il consumo. Le scelte che facciamo ogni giorno rappresentano delle opportunità per offrire il nostro supporto a quei prodotti che rappresentano il meglio per la nostra salute, per la società e per l’ambiente. E in questo, una sana e buona informazione è senz’altro un elemento in più per condurre il consumatore a una scelta consapevole e di maggiore indirizzo. Non si è più solamente “consumatori” che alla cieca acquistano un dato alimento, ma bensì “consumatori che scelgono” che per cultura e libero pensiero, decidono spontaneamente di acquistare “quel prodotto” che li rispecchia in termini di valori, etica e origini. 

Valter Baruzzi, pedagogista, in un’ intervista offre, per quest’ultimo aspetto, un’interessante prospettiva: “Il consumatore consapevole possiede gli strumenti culturali che gli consentono di valutare diverse fonti d’informazione sapendole soppesare, confrontare e utilizzare nelle quotidiane situazioni d’acquisto e di consumo. Egli possiede anche quelle capacità gestionali che risultano necessarie per affrontare gli aspetti pratici della vita quotidiana.

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