Prosegue in Italia il processo di contrazione del patrimonio ovino e la chiusura di molti allevamenti. Si registra anche un calo dei consumi domestici ma la produzione dovrebbe rimanere stabile nel breve periodo. Sono alcuni dei dati rilevati da ISMEA nel suo nuovo report Tendenze e dinamiche del settore ovicaprino, che fotografa la situazione del settore analizzando: produzione, numero di capi ed allevamenti, prezzi, consumi, importazioni e prospettive future.
Il contesto globale ed europeo: produzione in aumento nei primi mesi 2022
Ad inizio 2022, la produzione di carne ovina è risultata in significativo aumento in Grecia (+6%), Spagna (+11%), Irlanda (+7,5%) e Italia (+11%), indicando probabilmente un cambiamento nei pesi dei capi al macello, con un numero maggiore di allevatori che hanno scelto di passare all’agnello pesante.
La produzione media di carne di capra nell’UE è aumentata significativamente a gennaio, a causa principalmente dei picchi di macellazione verificatisi in Spagna, Paesi Bassi e Cipro. Tuttavia, la produzione in Grecia e Francia è stata più limitata a causa dei prezzi favorevoli del latte di capra.
Le importazioni dell’UE-27 sono aumentate nei primi due mesi del 2022, soprattutto dalla Nuova Zelanda e dall’Australia. La domanda comunitaria è rimasta stabile con prezzi in aumento della carne ovina, grazie all’apertura graduale dei servizi di ristorazione che hanno rafforzato la tendenza al rialzo. Notevoli incrementi delle esportazioni si sono registrati nel periodo precedente il Ramadan (1° aprile -1° maggio 2022) e la Pasqua cristiana (17 aprile 2022).
Prosegue la lenta contrazione del patrimonio ovino (-1,8%) italiano
Prosegue anche nel 2021 il lento processo di contrazione del patrimonio ovino (-1,8%). Secondo i dati del censimento dell’Anagrafe Nazionale Zootecnica, al 31 dicembre 2021 sul territorio nazionale risultano presenti circa 7,4 milioni di capi, di cui poco più di un milione di caprini e circa 6,4 milioni di ovini.
A livello territoriale, quasi due terzi del patrimonio si localizzano in 4 regioni con un’elevata concentrazione nelle Isole: in Sardegna si alleva quasi la metà del patrimonio ovino nazionale (47%); a seguire la Sicilia, con il 12% dei capi e, poi Lazio e Toscana (rispettivamente 9% e 5%).
Gli allevamenti ovicaprini attivi nel 2021 sono stati 135.732. In 5 anni si sono persi 257 mila capi, con la chiusura di 9.745 allevamenti, pari al 6,7% del totale, a causa del progressivo abbandono dell’attività da parte di aziende di ridotte dimensioni e meno competitive e strutturate.
A differenza degli allevamenti, il gregge è rimasto pressoché stabile nell’ultimo quinquennio (-1,8%), ma la riduzione delle aree disponibili a pascolo, associata alla scarsa redditività, alle problematiche legate al mancato ricambio generazionale e alla difficoltà a reperire manodopera, spiegano i fenomeni di concentrazione e la tendenza a convertire l’allevamento naturale-pastorale in forme di allevamento più intensive, soprattutto nelle aree maggiormente vocate: attualmente gli allevamenti ovini di dimensioni maggiori (>300 capi) incidono per meno del 10% sul totale, ma rappresentano ben oltre la metà dei capi allevati.
Il settore sconta una serie di debolezze strutturali, a cominciare dall’eccessiva frammentazione, che rendono impossibili economie di scala e non consentono di affrontare la variabilità dei costi di produzione e di avere un potere contrattuale adeguato con le fasi a valle della filiera, soprattutto la GDO per quanto riguarda le carni.
Prezzi in aumento, ma da analizzare alla luce della situazione attuale
I prezzi all’origine degli agnelli nelle settimane precedenti la Pasqua 2022 sono progressivamente aumentati, raggiungendo la quotazione massima di 5,80 sulla piazza di Siena (categoria kg 8-12), risultando mediamente e sensibilmente superiori rispetto alla stessa fase della campagna precedente, che comunque risentiva ancora delle misure di contenimento della pandemia. Tuttavia, i prezzi elevati della campagna pasquale 2022 vanno analizzati anche alla luce della particolare situazione attuale.
I prezzi in allevamento per gli agnelli sono decisamente in salita; si tratta di una dinamica che origina da lontano ma che negli ultimi mesi ha visto un balzo notevole a causa delle note vicende legate all’aumento di carburanti e materie prime per mangimi. I prezzi delle carni ovine hanno raggiunto ad aprile 2022 il picco massimo degli ultimi 5 anni arrivando a toccare i 5.65 €/Kg, mettendo a segno uno spread rispetto alla media delle tre pasque precedenti del 39%.
In calo le importazioni di ovini vivi ma aumentano quelle di carne
Le importazioni di ovini vivi sono in contrazione per il terzo anno consecutivo. Nello specifico, dopo la riduzione del 14% del 2019 e dell’8,8% del 2020, anche nel 2021 le importazioni di ovini vivi si sono ridotte di un ulteriore 11,4% portando al -34% la tendenza nel quinquennio. L’Ungheria rimane il principale fornitore, con una quota del 42%, seguito da Spagna e Romania che insieme detengono la metà delle quote. Nel 2021, malgrado la contrazione totale, si evidenzia un raddoppio dei capi provenienti dalla Spagna (+183%) a discapito di quelli provenienti dai Paesi dell’Est.
Sul fronte delle importazioni di carne, il 2021 ha segnato invece un incremento del 4,5% dopo l’importante flessione del 2020 (-21,3%). Nell’arco del quinquennio i volumi importati sono comunque in contrazione del 7%.La Francia, principale fornitore con il 25% del totale, ha nel 2021 raddoppiato i volumi inviati in Italia; incrementi anche per le provenienze da Spagna e Grecia, rispettivamente +31% e +57%. In netto ridimensionamento gli arrivi da UK e Nuova Zelanda.
Continuano a calare i consumi
I consumi di carni ovicaprine risultano in flessione, ormai strutturale, anche nel 2021 (-7,6% in volume e -3,4% la spesa), confermando la dinamica negativa degli ultimi cinque anni, parzialmente interrotta solo nel 2020. Il consumo di queste carni è considerato di nicchia e ancora relegato a una stagionalità concentrata in soli due momenti dell’anno in coincidenza con le festività natalizie e pasquali. Il consumo medio annuo pro-capite si aggira attorno a 1 Kg e le vendite rappresentano in volume solo il 2% delle carni totali.
I volumi esitati nel canale retail nel periodo prepasquale sono stati inferiori a quelli dei precedenti due anni quando la chiusura della ristorazione aveva costretto a maggiori consumi tra le mura domestiche.
Quali prospettive per il futuro?
Una delle poche opportunità create dalla pandemia è che ora la logistica ha costi tali da rendere meno convenienti le importazioni di agnelli e/o carni dall’estero con una predilezione maggiore per il mercato nazionale.
Secondo Ismea, sebbene alcune convergenze di mercato abbiano determinato picchi di prezzo di notevole entità, il settore ovicaprino mantiene le sue criticità strutturali:
- alti costi di produzione, anche legati alla bassa e discontinua disponibilità di pascoli e di foraggi per questioni sempre più connesse ai cambiamenti climatici;
- bassa resa al macello per capo;
- forte stagionalità della domanda concentrata nel periodo natalizio e pasquale;
- bassa propensione media all’innovazione di prodotto;
- difficoltà di ingresso in nuovi mercati emergenti.
- la mancanza di ricambio generazionale
- la scarsa competitività, ecc.
In generale, le prospettive di breve periodo portano a ipotizzare una produzione di carne stabile grazie al miglioramento dei prezzi per i produttori, ai sostegni economici, alla diminuzione delle esportazioni di animali vivi (a causa delle preoccupazioni per il benessere degli animali del trasporto a lunga distanza, dei rischi finanziari di alcune destinazioni commerciali, dei costi di trasporto sempre più elevati), alla presenza di consumatori sempre più attenti e sensibili alle produzioni territoriali e/o certificate (IGP), oltre che a una dieta più diversificata riguardo al consumo di carni.
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