Nonostante i riconosciuti benefici dati dal consumo di carne bufalina, ad oggi questa produzione viene limitata da alcuni fattori che non permettono la crescita e lo sviluppo di una filiera stabile.
Uno dei principali limiti è dato dai costi per l’allevatore per l’alimentazione degli animali.
Dato che i fabbisogni proteici vengono normalmente soddisfatti dall’apporto di semi di soia (Soja hispida), nel seguente studio si sono indagati gli effetti di una sua sostituzione con favino (Vicia faba var. minor), alternativa più economica e dall’impatto ambientale inferiore, sulla qualità delle carni di vitelloni bufalini.
Introduzione
Un importante settore zootecnico in Italia è dato dall’allevamento del bufalo mediterraneo italiano. Sebbene oggi questo allevamento segua quasi esclusivamente la filiera produttiva della mozzarella di bufala, sempre più grande è l’interesse per la sua naturale filiera parallela: la produzione di carne di bufalo.
Questi animali, seguendo una corretta alimentazione in allevamento [1], produrranno carni con caratteristiche marcatamente diverse da quelle bovine. In particolare, il profilo acidico dei grassi ed i livelli di colesterolo [2-6] rendono le carni bufaline non solo capaci di ridurre il rischio di patologie cardiovascolari come l’aterosclerosi [7], ma la particolare distribuzione del grasso a livello muscolare rende queste carni una valida scelta dietetica per soggetti, anche ospedalizzati, con necessità d’integrazione di carni magre [2;3;7;8].
Una domanda sorge però spontanea: perché l’allevamento bufalino non è caratterizzato da una doppia filiera latte per caseificazione – carne?
Indagando le motivazioni circa l’assenza della doppia filiera ci accorgiamo di come ci sia una disponibilità di vitelli bufalini maschi destinabili alla produzione di carne, dato che solo una minima parte le fecondazioni avviene con seme sessato, e che quindi un vitello nato su due sarà statisticamente maschio. La specie bufalina è però definibile come tardiva rispetto alla specie bovina: un vitello bufalino, infatti, impiegherà più tempo di un vitello bovino per arrivare ad un peso idoneo alla macellazione, con un conseguente aumento per l’allevatore dei costi per gli alimenti. Si potrebbero però abbattere i costi dell’alimentazione attraverso l’impiego di alimenti prodotti dalla stessa azienda zootecnica, ottenendo così un costo finale delle carni più competitivo.
La presenza di un solido mercato della carne bufalina permetterebbe anche il recupero della già citata quota di vitelli maschi che non entrano nella filiera della mozzarella, e quindi una capitalizzazione ulteriore per l’allevatore. Per questo, recentemente, molti studi hanno ricercato alimenti dal basso impatto, sia economico che ambientale, che possano sostituire quelli più comunemente impiegati in zootecnia.
In particolare, i fabbisogni proteici vengono normalmente soddisfatti dall’apporto di semi di soia (Soja hispida), e già alcuni studi hanno indagato fonti proteiche alternative da introdurre nella razione di bufali [9].
Un possibile sostituto dei semi di soia è stato identificato nel favino (Vicia faba var. minor): considerandone infatti i valori nutritivi [10] quali l’alto livello in proteine (25-35%) e l’alto contenuto in lisina in rapporto al livello di amminoacidi solforati, il favino è in grado di soddisfare i fabbisogni dell’animale con costi in autoapprovvigionamento più bassi per l’allevatore, il tutto garantendo un minor impatto ambientale, dato che la produzione di questa coltura va a salvaguardare la fertilità del suolo.
Diversi studi condotti su altre specie [11-14] hanno dimostrato che l’uso del favino come principale fonte proteica non ha influenzato negativamente né le prestazioni degli animali né il profilo degli acidi grassi della carne o il contenuto di colesterolo.
Non esistendo dati sul questo tipo di alimentazione per la specie bufalina, lo scopo di questo studio è stato quello di valutare l’influenza di una dieta contenente favino sulle caratteristiche nutrizionali delle carni di vitelloni bufalini.
Materiali, metodi e risultati
Allo scopo 60 vitelli bufalini maschi di 8 giorni di età sono stati suddivisi equamente in due gruppi (FB, dieta favino, ed SB, dieta soia) ed hanno ricevuto 6 l/capo/die di un sostituivo del latte fino al cinquantaseiesimo giorno di vita; quindi, è stato introdotto alimento solido gradualmente fino al completo svezzamento (80 giorni di età).
In particolare, a partire dal settantesimo giorno è stato somministrato insilato di mais, mentre dalla quinta settimana sono stati aggiunti fieno polifita tritato e granelle.
Dalla fine dello svezzamento all’inizio della sperimentazione i vitelli sono stati alimentati ad libitum con fieno polifita ed insilato di mais con integrazione di 2 kg/capo/die di granelle.
A 84 giorni gli animali sono stati posti in box individuali; i due gruppi hanno ricevuto due diete caratterizzate da diversa fonte proteica (favino vs soia), ma isoenergetiche (0.91 UFC/kg s.s.) ed isoproteiche (PG 15.2% s.s.) caratterizzate dal 39% di NDF. Tutti gli alimenti sono stati analizzati a cadenza bimestrale per la composizione chimica [15;16] e per il calcolo del valore nutritivo [17]; sui due mangimi e sulle due fonti proteiche si è anche determinato il profilo acidico.
Al raggiungimento dei 350 kg di peso gli animali sono stati sacrificati; dopo 15 giorni di frollatura a temperatura di 4° ± 1 dalla mezzena destra sono stati prelevati campioni di muscolatura dal Longissimus thoracis, Semitendinoso ed Ileopsoas e Psoas Minore. Su campioni degli stessi muscoli si è proceduto alla determinazione dell’analisi chimica [18-22] del profilo acidico dei grassi e al calcolo degli indici di aterogenicità e trombogenicità [23] mentre si è provveduto ad una misurazione del pH sugli stessi muscoli sia entro 1 h dalla morte sia al campionamento.
Risultati
In tabella 1 viene riportata l’analisi chimico-nutrizionale degli alimenti nonché la percentuale dei singoli ingredienti delle due diete.
Il profilo acidico delle due diverse fonti proteiche in tabella 2 ha mostrato per la soia valori elevati degli acidi palmitico (C16: 0), oleico (C18: 1 n-9) e linoleico (C18: 2 n-6), mentre per il favino sono stati registrati livelli più alti degli acidi stearico (C18: 0) e alfa-linolenico (C18: 3 n-3).
L’analisi del pH dei campioni delle carni in figura 1, nonostante le differenze significative rilevate tra i diversi gruppi musolari, indica una corretta glicolisi con valori alla macellazione sempre inferiori a 7.0 e sempre superiori a 5.5 dopo frollatura.
Le carni del gruppo FB hanno mostrato valori significativamente inferiori per grassi, proteine e colesterolo rispetto a quelle del gruppo SB. Il tipo di muscolo ha fortemente influenzato i diversi valori, fatta eccezione per quello della concentrazione in colesterolo (tabella 3).
L’analisi del profilo degli acidi grassi (tabella 4) ha invece evidenziato per il gruppo SB valori più elevati di acidi grassi saturi (SFA) e inferiori di acidi grassi polinsaturi (PUFA).
L’alto livello di SFA, con proprietà potenzialmente non favorevoli per la salute umana in quanto trombogenici, del gruppo SB è da attribuirsi principalmente ad alcuni acidi a catena lunga (C15: 0, C17: 0, C20: 0 – C24: 0) [24;25].
Le differenze riscontrate tra i tre muscoli studiati per il profilo acidico dei grassi sono probabilmente dovute a due ragioni principali: il campionamento della parte edibile del muscolo, che comprende anche grasso d’infiltrazione, ed il diverso tipo di muscolo che, avendo un’attività diversa, favorisce l’accumulo di diversi nutrienti.
Questa differenza qualitativa può essere utile per la commercializzazione: i muscoli con un’alta percentuale di acidi grassi insaturi (UFA) ottengono un punteggio più alto nella valutazione organolettica e gli alimenti con un alto UFA, in particolare in acidi grassi polinsaturi (PUFA), sono desiderabili per la loro influenza sulla salute del consumatore [26-29].
Gli indici aterogenici e trombogenici registrati non sono stati influenzati dai due approcci dietetici, ma erano diversi a seconda del muscolo in esame. In ogni caso, entrambi gli indici sono risultati inferiori rispetto a quelli riportati in bibliografia per la cane bovina [23;30].
Conclusioni
I risultati mostrano che il favino, oltre ai già citati vantaggi agronomici ed economici, può essere utilizzato come fonte proteica alternativa alla soia per l’allevamento di bufali destinati alla produzione di carne di alta qualità.
In particolare, la percentuale di grasso e i contenuti di colesterolo e di acidi grassi saturi totali sono risultati inferiori nelle carni di animali alimentati con il favino.
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