Louis Pasteur, fondatore della microbiologia alimentare
Nel 2022 si compiono due secoli della nascita in Francia di Louis Pasteur (Dole, 27 dicembre 1822 – Marnes-la-Coquette, 28 settembre 1895), il chimico e microbiologo francese le cui scoperte hanno portato a importanti innovazioni nella conservazione degli alimenti e nella prevenzione delle malattie infettive, considerato il fondatore della moderna microbiologia cambiando la storia del latte. Dopo le sue ricerche sulla cristallografia all’Università di Strasburgo, Pasteur nell‘Università di Lille inizia a studiare con metodi scientifici i problemi di qualità dell’alcole ottenuto dalla fermentazione della barbabietola dedicando la sua attenzione ai lieviti. Già alla fine del neolitico ci si è accorti che taluni alimenti, come l’impasto dei cereali, i succhi d’uva, il latte e altri sono soggetti a mutamenti detti fermentativi, e trasformati in pane e birra, vino, latte acido e formaggi. In seguito gli antichi Babilonesi e Egiziani iniziano a produrre birra, e gli antichi Greci e Romani il pane e il vino, secondo metodi empirici attribuendo le caratteristiche di quanto ottenuto, e soprattutto le anomalie a o “malattie” di questi cibi, a influssi astrali come le fasi lunari o a interventi più o meno malefici, come la presenza di donne in fase mestruale, da prevenire con riti e scongiuri. Neppure gli scienziati, compresi i primi chimici, da Philippus Bombastus von Hohenheim detto Paracelso (1493 – 1541) al chimico Robert Boyle (1627 –1691), trovano spiegazioni convincenti delle fermentazioni e loro anomalie, nonostante la conoscenza dei lieviti individuati con i primi rudimentali microscopi di tipo ottico prodotti nei Paesi Bassi alla fine del XVI secolo e migliorati a partire dal XVII secolo da Antoni van Leeuwenhoek (1632 – 1723).
Ai tempi di Pasteur si pensa che nella fermentazione il lievito abbia solo un ruolo passivo, ma lui con i suoi esperimenti dimostra che il lievito è un microrganismo vivente che provoca la fermentazione, risultato di un processo biologico piuttosto che chimico, aprendo un nuovo campo della microbiologia e sfatando l’idea secolare della generazione spontanea, e cioè che in determinate circostanze alcune forme di vita, come ratti e mosche, possano derivare spontaneamente dalla materia non vivente. Le conoscenze scaturite dalle sue ricerche sulle fermentazioni degli alimenti permettono a Louis Pasteur di cambiare le idee sulle malattie infettive degli animali e dell’uomo, dimostrando come siano causate da microrganismi e quindi rivoluzionando i sistemi di diagnosi, prevenzione e cura anche con la produzione di vaccini.
Pasteur e le fermentazioni alimentari
Come si è detto, nel 1854 Louis Pasteur presso la Facoltà di Scienze dell’Università di Lille si occupa della fermentazione delle bevande alcoliche. A quei tempi Lille è l’epicentro birrario francese e nel 1856 un birraio di nome Bigo chiede a Pasteur di risolvere il suo problema: molte delle sue birre irrancidiscono. Pasteur scopre che l’inacidimento della birra non è frutto del caso o della magia, ma che ne sono i responsabili i lieviti selvaggi, scoprendo anche i metodi per il loro controllo e come eliminarli. Successivamente, nel 1863 Pasteur riceve una lettera da uno degli aiutanti di Napoleone III (1808 – 1873) che gli commissiona di studiare il deterioramento del vino, una questione di grande urgenza in Francia dove il vino è parte integrante della cultura alimentare e di grande importanza per la prosperità economica della nazione. L’aiutante scrive inoltre che l’Imperatore è fermamente convinto che sarebbe della massima importanza rivolgere l’attenzione al momento della vendemmia. Pasteur affronta il problema in diverse località francesi dove si produce vino, giungendo alla conclusione che non vi è una sola cantina in tutta Francia che possa dirsi completamene sana e che vi è una gigantesca microflora all’interno dei tini utilizzati per la fermentazione del vino. Prendendo spunto dalla sua precedente ricerca sulla birra, Pasteur sviluppa un metodo di riscaldamento del vino per rallentare la crescita microbica e prevenire il deterioramento senza distruggere le sue caratteristiche. Il vino è un alimento molto delicato e se è riscaldato diventava imbevibile, per questo Pasteur dopo diversi tentativi scoprì che 55 gradi centigradi sono la temperatura che permette di inibire la flora microbica fermentativa, mantenendo le caratteristiche del vino. Pasteur completa il primo test di successo il 20 aprile 1862, brevettando il metodo che ora conosciamo come pastorizzazione, presto applicato a birra, succo di frutta, uova e, più famoso di tutti, il latte. Già nel 1795 il francese, Nicolas Appert (1749 – 1841) era riuscito a conservare vari tipi di alimenti chiudendoli in contenitori ermetici di vetro e riscaldandoli con immersione in acqua bollente, ma Pasteur è il primo a provare la relazione fra le alterazioni dei cibi a contatto con l’ambiente esterno e la presenza di microrganismi, confermando che il calore può essere usato per distruggere questi microrganismi, dando una spiegazione scientifica alle osservazioni empiriche di Appert e altri.
Pastorizzazione e sua evoluzione
La temperatura e il tempo dei trattamenti di pastorizzazione sono determinati dall’acidità del cibo. Negli alimenti acidi (pH < 4.6) come il succo di frutta il calore è applicato per inattivare gli enzimi e distruggere lievito e lattobacilli. Negli alimenti meno acidi (pH > 4.6), come il latte, i trattamenti termici sono progettati per distruggere agenti patogeni lieviti e muffe. La pastorizzazione per la conservazione di alimenti liquidi o semiliquidi di varia natura consiste nel portare rapidamente le sostanze da trattare a temperature comprese fra circa 60 °C (p. bassa) e circa 80 °C (p. alta), per tempi di durata variabile fra circa 30 minuti e 15 secondi (tanto più brevi quanto più alta è la temperatura): con questa tecnica si mira a distruggere tutti i microrganismi patogeni presenti nell’alimento e una parte di quella microflora saprofitica che può causare alterazioni di varia natura. Il cibo può essere pastorizzato prima o dopo essere stato confezionato in contenitori, e dalla scoperta da parte di Pasteur sono stati sviluppati diversi metodi di pastorizzazione secondo il tipo di alimento. La pastorizzazione prolunga la durata di conservazione del prodotto, soprattutto in combinazione con la refrigerazione e se isolato dall’ambiente esterno così da evitare un nuovo inquinamento.
Pastorizzazione del latte
Non risulta che Pasteur abbia studiato la pastorizzazione del latte. È nel 1886 che il chimico tedesco Franz von Soxhlet (1848 – 1926), quattro anni dopo la scoperta da parte di Robert Koch (1843 – 1910) del batterio della tubercolosi, propone di pastorizzare il latte, all’epoca consumato soprattutto crudo, evitando di tramettere la malattia e anche di causare molte morti per diarrea soprattutto nei bambini. I metodi adottati non sono perfetti, ma per i benefici presto evidenziatisi sulla salute pubblica e per i vantaggi commerciali garantiti dai tempi di conservazione aumentati del latte, nei decenni successivi la pastorizzazione del latte è adottata in diversi paesi occidentali. Negli Stati Uniti nel 1908 Chicago è la prima municipalità a richiedere la pastorizzazione obbligatoria del latte e nel 1910 Ernst Lederle (1865 – 1921), Commissario per la Salute di New York, introduce la pastorizzazione obbligatoria del latte a New York City. Dopo che gli incidenti di malattia e morte diminuiscono notevolmente, le singole città e stati iniziarono ad emanare leggi obbligatorie sulla pastorizzazione. In Italia la pastorizzazione del latte è introdotta con il Regio Decreto 9 maggio 1929 n. 994 e, secondo quanto riportato dalla successiva legge 3 maggio 1989, al trattamento termico deve seguire un rapido raffreddamento che porti il latte nel più breve tempo possibile ad una temperatura non superiore ai 4 °C.
Sistemi di pastorizzazione del latte
Per il latte il metodo originale di Pastorizzazione classica è ora utilizzato principalmente per fare colture di avviamento nella lavorazione di formaggio, yogurt e latticello, scaldando il latte in un grande serbatoio per almeno trenta minuti prima del raffreddamento. La Pastorizzazione ad alta temperatura a breve termine (HTST) è attualmente il metodo più comune e utilizza piastre metalliche e acqua calda per aumentare le temperature ad almeno 161° F (71,66° C) per non meno di 15 secondi, seguito da un raffreddamento rapido, fornendo una durata di conservazione refrigerata di circa due settimane. Tempo più breve di calore più elevato (HHST): un processo simile alla pastorizzazione HTST, HHST utilizza una varietà di combinazioni di temperatura e tempo. Ultra Pastorizzazione (UP): questo metodo fornisce una durata di conservazione refrigerata di circa tre mesi e UP riscalda i liquidi a non meno di 280 ° F per 1-2 secondi. Oltre a questi metodi divenuti tradizionali di pastorizzazione, sono stati sviluppati nuovi processi per pastorizzare gli alimenti e ottenere una prolungata durata di conservazione senza refrigerazione, ridurre gli effetti sulle caratteristiche sensoriali degli alimenti e prevenire la degradazione dei nutrienti. Tra questi metodi vi è la Pastorizzazione ad altissima temperatura (UHT), la Pastorizzazione del riscaldamento volumetrico a microonde (MVH) che utilizza microonde per riscaldare liquidi, e la Pastorizzazione a bassa temperatura breve tempo (LTST), il metodo brevettato che spruzza goccioline in una camera riscaldata al di sotto delle normali temperature di pastorizzazione per diversi millesimi di secondo per prolungare la durata di conservazione a 50 giorni o più.
Controversie sul latte pastorizzato
Storicamente il latte è stato una delle principali fonti di malattie di origine alimentare e tra queste soprattutto Brucellosi, Tubercolosi di tipo bovino e più recentemente Listeriosi, Salmonellosi, Campilobatteriosi ed Escherichia coli produttore della tossina Shiga (STEC). Secondo l’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, 14 gennaio 2015) in base ai dati forniti dagli Stati membri riguardo ai focolai infettivi di origine alimentare, 27 focolai verificatisi tra il 2007 e il 2013 sono da ricondurre al consumo di latte crudo. La maggior parte di tali focolai (21) sono stati causati da Campylobacter, uno di essi è stato causato da Salmonella, due da STEC e tre dal virus dell’encefalite da zecche (TBEV). La grande maggioranza dei focolai è stata causata da latte vaccino crudo, mentre alcuni hanno avuto origine da latte caprino crudo.
Mentre la pastorizzazione ha contribuito a fornire latte e formaggio sicuri e ricchi di nutrienti per oltre centoventi anni, ancora oggi non mancano appassionati di latte crudo che affermano che la pastorizzazione riduce il valore nutrizionale del latte e diminuisce caratteristiche organolettiche, e soprattutto aromatiche, dei latti di malga, concludendo che il latte crudo è un’alternativa sicura e più sana se adeguatamente lavorato in un ambiente sterile. Senza confondere la sicurezza con la qualità soprattutto organolettica, il problema della pastorizzazione del latte è molto più complesso di quello che spesso si crede, perché comprende molte condizioni di produzione e altrettanto numerose diverse richieste dei consumatori. Infatti, la scelta tra un latte crudo, pastorizzato o bollito deve tenere conto dei livelli sanitari del bestiame (esistenza o assenza in questi di tubercolosi e brucellosi e relativi controlli), modo di produzione (animali al pascolo, tipo di alimentazione, sistema di mungitura, raccolta e trasporto del latte), uso locale di piccole quantità di latte o commercio a lunga distanza di grandi quantità di questo alimento, utilizzo del latte come bevanda o per la caseificazione di formaggi freschi o a lunga maturazione, e da qui la coesistenza in tutto il mondo di scelte differenziate. Un particolare riguardo va inoltre assegnato alla cultura dei consumatori che spesso hanno richieste di qualità emotive, e soprattutto nei paesi industrializzati richiedono alimenti con una sicurezza “assoluta” insita nel prodotto stesso, ma al tempo stesso non sono sempre attenti a tutelare e conservare la sicurezza nel prodotto che usano. Per questo il CDC (Center for Disease Control and Prevention degli Stati Uniti) ricorda che il latte crudo gestito in modo improprio è responsabile di quasi tre volte più ricoveri ospedalieri di qualsiasi altra fonte di malattie di origine alimentare. Anche per questo la FDA (Food and Drug Administration degli Stati Uniti) sul latte crudo e la pastorizzazione ricorda che pastorizzare il latte non causa intolleranza al lattosio e reazioni allergiche, il latte crudo non uccide da solo agenti patogeni pericolosi, e che la pastorizzazione non riduce il valore nutrizionale del latte. Inoltre, pastorizzare non significa che sia sicuro lasciare il latte fuori dal frigorifero per un lungo periodo, in particolare dopo che è stato aperto, mentre uccide i batteri nocivi e salva vite umane.
Nell’Unione Europea (UE) si constata un crescente interesse dei consumatori verso il consumo di latte crudo poiché molti credono che esso abbia benefici per la salute. In base alle norme di igiene dell’UE, gli Stati membri possono vietare o limitare l’immissione sul mercato di latte crudo destinato al consumo umano. L’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) il 14 gennaio 2015 ha emesso un parere nel quale ricorda che il latte crudo può contenere batteri nocivi che possono provocare gravi malattie. Mettere in atto corrette e moderne pratiche igieniche nelle aziende agricole è essenziale per ridurre la contaminazione del latte crudo, mentre il mantenimento della catena del freddo è ugualmente importante per prevenire o rallentare in esso la crescita dei batteri, ma queste prassi, da sole, non eliminano tali rischi. Bollire il latte crudo prima di consumarlo è il modo migliore per eliminare molti dei batteri che possono far ammalare le persone, ma questo trattamento è certamente più distruttivo di una pastorizzazione.
Eredità di Louis Pasteur
Per la sua teoria dei microrganismi, della scoperta della fermentazione e dell’invenzione della pastorizzazione, Louis Pasteur ancora oggi è un personaggio familiare in tutto il mondo. I suoi contributi alla sicurezza alimentare e alla medicina sono tra i più grandi successi nella storia della salute e dell’alimentazione. Per questo la Medaglia UNESCO/Institut Pasteur creata nel centenario della sua morte è assegnata ogni due anni in riconoscimento a chi ha compiuto una ricerca eccezionale che contribuisce alla salute umana.
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.
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