Tra gli alimenti controversi, al centro del dibattito pubblico in modo altalenante da anni, c’è il latte , e se non questo i suoi sottoprodotti. 

Il latte è un liquido secreto dalla ghiandola mammaria di femmine di mammiferi, a seguito della nascita del piccolo. Questo alimento ricchissimo presenta un’elevata complessità dovuta alla quantità di componenti, la cui sintesi per la maggior parte (circa il 92%) avviene nella ghiandola mammaria (si tratta di lattosio, grassi, caseine, β-lattoglobuline, α-lattoglobuline, acido citrico), e che per il resto sono secreti dal circolo sanguigno. 

Il consumo di latte, una storia iniziata millenni or sono

Il latte è al centro dell’alimentazione umana da millenni. Dopo il perfezionamento dell’addomesticamento degli animali è iniziata la scoperta dei prodotti derivati, quali il latte, la lana e la forza fisica degli animali per l’agricoltura, verso la fine del Neolitico, in quel periodo che Andrew Sherratt definì la “rivoluzione dei prodotti secondari”. Da quel momento il latte ha cominciato il lungo percorso verso la sua lavorazione, per essere trasformato nei latti fermentati, come abbiamo visto in precedenza (Vi raccontiamo i latti fermentati: un’introduzione per conoscerli da vicino), che sono stati una chiave di volta per l’evoluzione il miglioramento della dieta soprattutto perché il processo che ha portato all’assimilazione del latte a livello nutrizionale non è stato immediato. Sebbene l’essere umano sia un mammifero, e quindi assuma latte sin da piccolo, non aveva da adulto la composizione enzimatica adeguata per ingerirlo. Ma pian piano, grazie ad un adattamento progressivo, il latte è diventato centrale per i nostri progenitori che, avendone intuita la completezza nutrizionale, hanno deciso di integrarlo nell’alimentazione. Ma come veniva consumato questo latte? Sotto forma di latte fermentato, e quando si darà il via alla caseificazione anche come formaggio, oppure sotto forma di bevanda quale quella che anche oggi consumiamo.

Il latte che consumavano, dunque, era ovviamente latte crudo, rischioso ma allo stesso tempo ricco e insostituibile. In seguito fu scoperta la fermentazione e ancor più tardi la caseificazione, che andavano ad attenuare tutti quei rischi dovuti alla microbiologia di quest’alimento. 

Cosa si intende per latte crudo?

Per latte crudo si intende un latte proveniente dalla mungitura che non ha subito alcun processo di termizzazione, e dotato di una complessa comunità di microrganismi, proveniente dall’interno della mammella, dalla pelle della mammella, dalla sala di mungitura, dalle mani dell’operatore, dai recipienti e più in generale da tutto ciò con cui il liquido viene a contatto. Il latte, dunque, possiede di base una carica microbica, considerata accettabile se non supera le 1.000 UFC/ ml, ma dal momento in cui lascia la mammella fino a quando è distribuito in recipienti, tutto ciò con cui entra in contatto è una sorgente potenziale d’altri microrganismi. Il mancato rispetto delle pratiche igieniche dà come risultato un latte fortemente contaminato che si altera con rapidità, mentre la mungitura eseguita in condizioni igieniche rigorose dà un prodotto con un basso tenore batterico e con un lungo tempo di conservazione. Infatti all’arrivo nei recipienti si considera accettabile un latte con una carica microbica che non superi le 100.000 UFC/ml alla stalla, mentre una volta prelevato dallo stabilimento non dovrebbe superare il 1.000.000 UFC/ml.

Il latte che esce dalla mammella si trova a una temperatura di 37°C, che è ottimale alla crescita e alla proliferazione batterica; proprio per questo anche il latte che viene commercializzato come crudo deve sottostare ad un raffreddamento, che avviene a 4°C. 

La microflora di contaminazione del latte non si sviluppa che dopo un certo periodo di conservazione a temperatura ambiente dopo la mungitura, questa è la fase cosiddetta battericida. Ha una durata molto variabile a seconda del latte, a volte è di parecchie ore, altre è molto breve. Nel latte si possono trovare varie specie microbiche: batteri (gram+ e gram-), comprendenti Micrococchi, Stafilococchi, batteri sporigeni (Bacillaceae), batteri lattici, enterobatteriaceae, Alcaligenes, Pseudomonas e Brucella; lieviti, muffe e virus. 

Dopo la mungitura sono essenziali due tipi di pratiche per limitare la contaminazione: pulizia e disinfezione del materiale, e raffreddamento del latte. Lo scopo di quest’ultimo è quello di mantenere inalterata la qualità del latte fino al suo utilizzo o trasformazione e rallentare la proliferazione di numerose specie.

La refrigerazione del latte alla stalla è un obbligo di legge; secondo il Regolamento CE n. 853/2004, infatti, il latte “deve essere posto, immediatamente dopo la mungitura, in un luogo pulito, progettato e attrezzato in modo da evitare la contaminazione. Deve essere immediatamente raffreddato a una temperatura non superiore a 8°C in caso di raccolta giornaliera e non superiore a 6°C qualora la raccolta non sia effettuata giornalmente”. La refrigerazione favorisce la conservabilità del latte in quanto riduce la proliferazione microbica, e conseguentemente rallenta il decremento del pH (legato alla fermentazione del lattosio) e la comparsa di sapori anomali legati al deterioramento delle componenti grasse e proteiche.

Questo trattamento di refrigerazione è l’unico a cui viene sottoposto quel latte che viene commercializzato come crudo. È infatti un latte che, date le caratteristiche microbiologiche, fa parte della filiera corta, giunge al consumatore munto in giornata e subisce solo una filtrazione per eliminare le sostanze grossolane. I trattamenti che gli altri latti subiscono non sono sempre inoffensivi per la componente nutrizionale e organolettica. Il riscaldamento provoca infatti una diminuzione del valore nutritivo a seguito della modificazione delle vitamine e degli amminoacidi. Nei processi moderni di pastorizzazione e sterilizzazione in continuo la modificazione è minimale, mentre l’ebollizione domestica abbassa notevolmente il valore vitaminico del latte. Non solo i trattamenti appositamente effettuati, ma anche la negligenza di lasciare il latte esposto all’aria e al sole provoca notevoli danni. L’ossidazione è la maggior causa di perdita di vitamina C, mentre le radiazioni solari provocano la fotolisi delle vitamine B2, B6, C ed A. 

Al contrario il latte crudo, non subendo riscaldamenti a temperature superiori a 40°C, né dei trattamenti equivalenti, presenta un gusto più intenso e una consistenza più palpabile, in quanto i suoi componenti e le varie sostanze nutrienti risultano intatte e non alterate. Per scongiurare il rischio di infezioni o contaminazione di microbi e batteri, il latte crudo deve comunque essere consumato previa bollitura e ha tempi di conservazione brevissimi, per cui sarebbe meglio consumarlo in giornata o entro 48 ore, conservandolo in frigorifero. Infatti, solo la pastorizzazione o la sterilizzazione assicurano una maggiore conservabiltà.

I trattamenti termici 

Lo scopo essenziale del trattamento termico è la distruzione dei batteri; questa prerogativa igienico-sanitaria non deve però far perdere di vista la natura del latte, che è pur sempre un alimento fragile. Perciò bisogna tenere conto di alcune regole, come il trattamento al riparo dall’aria, un tempo di riscaldamento il più breve possibile e l’omogeneità del riscaldamento per evitare surriscaldamenti locali. Il trattamento termico può inoltre avvenire secondo due modalità, ovvero il trattamento discontinuo e il trattamento continuo. Il primo indica un trattamento effettuato sul latte già confezionato in bottiglia, migliore dal punto di vista igienico-sanitario perché in tal modo si evitano possibili contaminazioni successive e più dispendioso dal punto di vista economico in presenza di elevate quantità di latte da trattare; inoltre, l’efficacia calorica è minore e i rischi di modificazione del latte sono più elevati. Per la sterilizzazione è ancora utilizzato questo metodo.

Il trattamento a flusso continuo permette un riscaldamento molto rapido e più accurato del precedente. Lo scoglio rimane quello di evitare una contaminazione a seguito del riscaldamento. Esistono vari sistemi per attuare i trattamenti:

  • Scambiatori di calore, tubolari o a piastre. Sono gli strumenti più utilizzati per la pastorizzazione H.T.S.T (High temperature Short time) e per la pre-sterilizzazione.
  • Procedimenti di sterilizzazione istantanea per condensazione di vapore nel latte .
  • Energia meccanica: sterilizzazione rapida per frizione.

Per quanto riguarda la differenza tra i due trattamenti si tratta fondamentalmente di tempi e temperature. La pastorizzazione si divide in “bassa” e “alta”. Per bassa si intende un riscaldamento a 63°C per 30 minuti. Si tratta di un trattamento blando che causa poche modificazioni, ma ci può essere il rischio di moltiplicazione di batteri termofili. La pastorizzazione alta e rapida H.T.S.T. avviene invece a 72°C per 20 secondi, è la più diffusa ed ha sostituito pian piano l’antica pastorizzazione alta, in cui il latte veniva pastorizzato a 85°C per un tempo variabile.

Per sterilizzazione si intende invece la distruzione di qualsiasi organismo vivente: ciò a cui si mira con questo trattamento è una conservazione a lunga durata, in un recipiente a tenuta ermetica. La sterilizzazione in bottiglie di vetro avviene a 120°C per circa 20 minuti, mentre per i contenitori metallici in agitazione bastano 5 minuti a 125°C. Il trattamento a flusso continuo può essere eseguito per un tempo molto breve, ed è il procedimento che viene definito U.H.T..

Il latte crudo è un argomento complesso e vasto, ed è proprio per questo che vogliamo scandagliarlo secondo tutte le sue sfaccettature, non ti perdere neanche un articolo e leggi il prossimo per approfondire… Stay tuned!

Bibliografia

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