Emilia Romagna, una strada e due culture anche di formaggi

La Regione Emilia-Romagna si pone lungo la via costruita da Marco Emilio Lepido tra 189 e il 197 d. C. tra Ariminum (Rimini) e Placentia (Piacenza). Questo territorio unitario si scinde quando nel VI secolo d. C. i Romani perdono la parte che dal mare ha un confine approssimativo a oriente della città di Bononia, forse sul torrente Claterna. L’area padana è così spartita tra i Franco-Longobardi a occidente e i Bizantini a oriente, chiamando rispettivamente queste terre Longobardia e Romania. La zona romanica ad oriente di dominio bizantino diviene l’attuale Romagna e l’altra zona longobarda-franca prenderà la denominazione di Langobardia, poi definita Emilia. Due aree differenti sotto molti aspetti, iniziando dall’uso del territorio e dai prodotti da questo ottenuti con l’agricoltura e gli allevamenti. Queste differenze dal periodo medievale, pur attenuandosi, si prolungano fino ai giorni d’oggi, soprattutto per alcuni alimenti tradizionali quali i formaggi.

Nella Langobardia o Emilia continua a dominare la coltivazione dei cereali, e nei boschi e zone incolte si mantiene il bestiame suino, che inizia ad essere anche allevato. Soprattutto, però, dopo l’anno mille una catena di abbazie cistercensi situata parallelamente alla via Emilia porta uno sviluppo dell’allevamento di bovini che, oltre al lavoro e un poco di carne, producono quantità di latte superiore a quello ovicaprino che è trasformato in formaggi vaccini a lunga conservazione.

Nella Romagna continua a dominare l’allevamento ovicaprino, e soprattutto quello della pecora con i suoi formaggi. Questa molto schematica bipartizione riguarda soprattutto la parte pianeggiante e di bassa collina, mentre la parte di medio e alto Appennino mantiene più antiche caratteristiche come quelle di una pastorizia ovicaprina con i suoi formaggi.

Formaggi e razze animali emiliane

Nella parte emiliana dell’Emilia Romagna vi è una produzione di formaggi vaccini e pecorini. La produzione di formaggi vaccini è incentrata prevalentemente nelle terre di Parma, Reggio Emilia, Modena e Bologna, alla sinistra del fiume Reno, dove si produce il Parmigiano Reggiano. Nelle altre province, soprattutto di Piacenza, si producono il Grana Padano e anche Provoloni. Quattro sono le razze bovine dalle quali si ottengono i formaggi emiliani.

Le più antiche sono la Vacca Rossa Reggiana e la Vacca Bianca Modenese (o Bianca Val Padana), mentre la Bruna Alpina arriva tra la fine dell’Ottocento. All’inizio del Novecento sopraggiunge e diviene dominante la Pezzata Nera o Frisona Olandese, che con le sue varianti americane arrivate nel secondo dopoguerra è infine diventata Frisona Italiana. Razza bovina quest’ultima con la produzione di altissime quantità di latte ricco della caseina Kappa, propizia alla formazione di buoni formaggi. I formaggi prodotti sono di due grandi famiglie, quella dei Formaggi Grana (Parmigiano Reggiano e Grana Padano) e dei Provoloni (Provolone e Provolone Valpadana).

Nella parte appenninica dell’Emilia si producono anche formaggi pecorini da razze ovine con diverse consistenze numeriche: Cornella Bianca dell’Emilia Romagna, Pecora Modenese o Pavullese e Pecora Cornigliese o Borgotarese.

Formaggi Grana in cucina

I formaggi ovicaprini sono nella cucina da millenni mentre l’uso di quelli vaccini a lunga conservazione, tra cui quelli denominati grana, risale ai primi secoli dopo l’anno mille e diviene celebre con la ricetta del regno di Bengodi, diffusa da Giovanni Boccaccio, degli gnocchi cotti nel brodo di cappone e conditi con il parmigiano. I formaggi grana dell’Emilia Romagna (Parmigiano Reggiano e Grana Padano) sono ancora ben presenti nella cucina tradizionale della regione: tortelli, tortellini, cappelletti, anolini, marubini e altre paste in brodo e asciutte dove il formaggio interviene nel ripieno ed è aggiunto nel piatto, passatelli e loro varianti, preparazioni di carni, verdure diverse, per non citare gli ultimi carpacci. Molti sono i motivi del successo del formaggio a lunga stagionatura nella cucina, ed una significativa importanza ha la sua limitata acidità che spiega come si sia potuto sposare con altri condimenti moderatamente acidi come il pomodoro, gli aceti ed i condimenti balsamici.

Senza trascurare gli usi tradizionali dei formaggi grana, non bisogna dimenticare il recente successo di nuove combinazioni, non ultimo lo sposalizio con l’aceto balsamico che ben s’accoppia a questi formaggi. Altre aree d’applicazione sono le carni, sulla scia dell’indubbio successo dei più diversi carpacci. La modica e gentile acidità dei formaggi grana può inoltre ben sposarsi con carni limitatamente sapide e magre, come quelle avicole moderne, sulla scia di ricette della prima metà del novecento divenute ormai classiche.

Un’altra strada, certamente più innovativa, è quella dell’uso del formaggio con il pesce, che già tradizionalmente si avvantaggia dalla presenza di condimenti leggermente acidi. Ovviamente ne possono trarre aiuto i pesci di minor sapore ed anche di limitata qualità gastronomica: un uso certamente non eretico, in quanto già diffuso, sia pure con saggia cautela. Per questo non dobbiamo stupirci se i formaggi grana come altri prodotti tipici italiani sono sempre più presenti nella ristorazione rapida.

Tra gli usi innovativi, ma anche antichi, vediamo la presenza dei formaggi grana non più solo a fine pasto, nel dessert, ma anche negli aperitivi, in un ritorno all’antico quando Greci e Etruschi, agli inizi della nostra civiltà mediterranea, bevevano vino miscelato a formaggio grattugiato. Nella tradizione padana, giunta fin quasi a nostri giorni, ben radicata era l’abitudine di bere, come aperitivo, una miscela di brodo, vino e formaggio, che si collega alle abitudini omeriche ed etrusche.

Provoloni

La denominazione Provolone compare in letteratura per la prima volta nel 1871 nel Vocabolario di agricoltura di Canevazzi Mancini (Cappelli, 1871). È questo un formaggio del tutto originale, distinguibile rispetto alle altre paste filate diffuse nel meridione d’Italia in quanto di grandi dimensioni, capace di stagionare a lungo senza asciugarsi eccessivamente e senza diventare quindi formaggio da grattugia.

La provola è un formaggio di latte vaccino, a latte crudo e a pasta cotta o pasta semicotta e filata, del quale possediamo antiche documentazioni, ed è rappresentata nei presepi napoletani sin dal 1600. La sua denominazione di provola deriva dalla parola pruvatura o pruvula che sarebbe derivata dal formaggio fatto assaggiare ai componenti del Capitolo dei religiosi che si recano al monastero di San Lorenzo in Capua, in provincia di Caserta. Non manca però chi propende per un’etimologia più dotta richiamandosi al nome dal greco antico provolà (προβολή) che significa sporgenza, riferendosi alla caratteristica piccola protuberanza che la provola presenta nella sua forma più classica.

La provola è un formaggio di origini campane, e le vicende storiche della diffusione geografica del provolone sono legate ai flussi migratori, prima in Italia, dal Sud verso il Nord e poi nel mondo. I formaggi a pasta filata arrivano nella Valle Padana verso la seconda metà del secolo XIX dal felice connubio tra la cultura casearia delle paste filate, proveniente dal meridione d’Italia, e la vocazione lattiero-casearia del territorio, e qui si sviluppano come Provolone Valpadana DOP e Provolone. In particolare dopo il 1861, quando l’unificazione d’Italia rende possibile il superamento delle barriere tra le diverse aree della penisola e con l’insediamento di imprenditori provenienti dal meridione, questi trasferiscono nelle province lombarde di Cremona e Brescia ed emiliane di Piacenza le proprie attività produttive dove ancora oggi si procede alla produzione del Provolone Valpadana DOP e Provolone.

La Valle Padana offre una grande disponibilità di latte adatto alla trasformazione casearia e anche le infrastrutture necessarie per il conseguimento di produzioni di qualità, fatti che determinano il diffondersi della cultura e del consumo di formaggi a pasta filata in tutto il territorio nazionale.

Provoloni in tavola

Come ogni formaggio di qualità i provoloni nelle due varianti di dolci e piccanti sono tradizionalmente abbinati al pane, possibilmente di grano duro per quello piccante e di sesamo o con la rosetta per quello dolce, e anche associati a mieli e confetture, come confettura di fichi o mostarda piccante. Come ingredienti di cucina i provoloni si prestano a numerose applicazioni negli antipasti, primi, secondi e dessert a fine pasto. Oltre che come formaggi per tanti piatti veloci, i provoloni servono a guarnire una pizza bianca, creare toast con miele, una fonduta mescolando a piacere i due dolce e piccante secondo il sapore che si vuole ottenere, o per realizzare salse per arricchire primi piatti o secondi di verdure. Altre applicazioni gastronomiche dei provoloni sono una variante della pasta cacio e pepe o paste in bianco, l’uso in ricette al forno di lasagne, melanzane e pomodori ripieni e torte salate, ma anche piatti di carne e pesce, come con il manzo o il baccalà. Senza dimenticare i loro usi in dadini con le insalate o in dischi grigliati nei barbecue.

Non per niente dei provoloni esistono anche varianti nel Nord America, in Giappone e in Brasile, Argentina e Uruguay si producono piccoli provoloni che sono cotti su piastre di pietra e poi consumati insieme a grigliate di carne. I provoloni si accompagnano con diversi vini a seconda del tipo dolce o piccante. 

Formaggi pecorini emiliani

Le razze ovine che producono formaggi pecorini emiliani sono: Cornella Bianca dell’Emilia Romagna, la Pecora Modenese o Pavullese e la Pecora Cornigliese o Borgotarese. La Cornella Bianca dell’Emilia Romagna è un’antica razza ovina di ceppo appenninico oggi sporadicamente presente sul territorio e nelle province di Bologna e Ferrara, e in modo minore nel Reggiano e nel Modenese. La Pecora Modenese o Pavullese nota anche come Emiliana di pianura, Balestra, Pavullese è presente nella provincia di Bologna.

La Pecora Cornigliese o di Corniglio è originaria dell’Appennino della provincia di Parma e chiamata anche Borgotarese, da Borgo Val di Taro, distante circa quaranta chilometri. La razza fu creata a metà del XVIII secolo dai Borboni di Parma incrociando la razza locale Vissana con Merinos spagnoli per migliorare la qualità della lana, a quel tempo l’attributo più importante delle pecore. Ora è una delle quarantadue razze ovine autoctone locali a distribuzione limitata per le quali è tenuto un libro genealogico dall’Associazione Nazionale della Pastorizia e è allevata nelle province di Bologna, Ferrara, Modena, Parma, Ravenna e Reggio Emilia.

Formaggi pecorini e caprini bolognesi

La produzione di latte di ovini e caprini, con conseguenti caciotte e ricotte, ha un percorso che si snoda similmente a quelli vaccini.

Il Pecorino dei Colli Bolognesi o Pecorino Bolognese ha una storia molto recente. La sua lavorazione prevede una pastorizzazione del latte, caglio liquido di vitello e i fermenti lattici, la salatura è a secco e la stagionatura va da un minimo di venti giorni fino a quattro mesi. Il formaggio si presenta con crosta lucida, color giallo ocra con sfumature più scure e di consistenza elastica. La pasta è semidura, compatta e dal sapore delicato. Prodotto nei pascoli dell’Appennino, matura lentamente, presenta un gusto lieve e dolce nei primi mesi di vita, per poi assumere un sapore più deciso e profumato con l’avanzare della stagionatura. All’inizio della stagionatura è morbido ed ha un gusto dolce. Se tolto dall’involucro sottovuoto e lasciato in frigorifero o in un luogo molto fresco, si stagiona ed acquisisce un sapore più deciso e profumato con il passare dei giorni.

Il Pecorino di Vergato, prodotto sull’Appennino bolognese, verso la Toscana nella zona di Vergato, è di puro latte ovino. È un prodotto tipico locale di forma cilindrica, crosta molle, liscia o rugosa e di colore bianco. Il sapore è leggermente piccante, e matura, come tutti i pecorini, in quaranta giorni in ambiente areato. La stagionatura richiede circa un anno in ambiente fresco a temperatura costante. Si possono trovare le forme unte nell’olio o nella salsa di pomodoro. Il periodo di produzione copre l’intero anno e si gusta con tigelle e crescentine.

Nella provincia bolognese si producono anche alcuni formaggi caprini. Il Dolce Caprino è un formaggio fresco a pasta molle, dal colore bianco, prodotto Caseificio Valsamoggia con latte di capra fresco reso dolce dal caglio e dalla lavorazione, e gradevole anche ai palati più delicati, di altissima digeribilità. Altro formaggio caprino è il Caprino Capriccio con crosta bianca e rugosa che si forma dopo circa sette giorni dalla produzione, pasta bianca e leggera occhiatura. Stagionatura oltre quarantacinque giorni.

Pecorino e caprino modenesi

Il formaggio di pecora è una delle produzioni tipiche dell’Appennino modenese, ormai però ottenuta da pochi produttori di altissima qualità nel Parco del Frignano.

Il Pecorino di Fiumalbo è un formaggio con crosta di colore giallo con varie tonalità, la pasta è bianca-paglierina nel pecorino tenero e paglierina in quello a pasta dura. La tecnologia di produzione prevede una coagulazione del latte a una temperatura compresa tra 35 C° e 38 C°, uso del caglio di vitello e inoculo con fermenti lattici selezionati dall’area di produzione. La salatura è in salamoia o a secco, la maturazione a temperatura di cantina. Il pecorino a pasta tenera necessita di almeno venti giorni di stagionatura, quello a pasta semidura di almeno quattro mesi. Il sapore è delicato, con una leggera vena piccante. È considerato un alimento completo sia per il contenuto di proteine nobili sia per la ricchezza di vitamine A, B1, B12 e PP.

Il Caprino dell’Appenino Modenese è un formaggio fresco a pasta molle, ottenuto da latte di capra, ricco di proprietà armoniche uniformemente distribuite, di forma tondeggiante, avente crosta molto leggera, ottenuto da latte di capra trattato termicamente, prodotto con aggiunta di caglio e fermenti, messo in commercio dopo una stagionatura minima di dieci giorni. La zona di produzione e confezionamento è rappresentata esclusivamente dal territorio montano dei comuni della provincia di Modena. Il caprino si distingue per il sapore pieno ed armonioso che esalta la delicatezza della lavorazione e la qualità del latte, rigorosamente selezionato, utilizzato per la sua produzione. Tradizionalmente si usa accompagnare il formaggio caprino con una fetta di pane fresco, ma anche l’abbinamento con il miele di acacia è particolarmente gradevole al palato.

Pecorini dell’Appennino reggiano

Sull’Appennino Reggiano correva il Limes Bizantinum, il confine che contrapponeva due culture: da una parte quella longobarda dedita all’allevamento del maiale, e dall’altra quella delle popolazioni bizantine che pratica la pastorizia ovina. L’allevamento ovino sull’Appennino Reggiano risale a tempi antichissimi e fino al 1800 nelle aree montane della provincia di Reggio Emilia la produzione di pecorino è superiore a quella di Parmigiano. Non a caso in vari documenti storici si citano il cacio, o caseus, e le giuncate, cioè il pecorino, produzioni che fino al 1800 costavano più del formaggio di vacca. Sotto l’egida degli Estensi molti documenti segnalano la diffusione di questo prodotto sull’Appennino. 

Per il Pecorino Reggiano, dopo aver scaldato il latte di pecora in apposite caldaie tradizionali si procede alla coagulazione con il caglio. Il coagulo è lasciato riposare e si procede alla rottura in grumi, poi è posto in fascere di legno e si procede alla stagionatura del formaggio in appositi locali. Di diverse dimensioni, variabili da uno a due chilogrammi e mezzo, il pecorino reggiano si distingue dal toscano per un sapore più dolce e per il gusto meno salato e meno piccante del prodotto stagionato. Sulla crosta del Pecorino Reggiano non sono usati antifermentativi, quello fresco è unto con olio d’oliva o con aceto, mentre sulla crosta di quello stagionato si formano muffe grigioverdi che costituiscono un elemento di tipicità di questo prodotto.

ln relazione ai luoghi di produzione, il pecorino dell’Appennino reggiano prende il nome di Pecorino di Succiso, Pecorino di Valbona, Pecorino Puro. Come indicato dal disciplinare di produzione, il Pecorino dell’Appennino Reggiano si produce in prevalenza da marzo a settembre. Ha le seguenti caratteristiche: formaggio a pasta tenera o a pasta semidura, prodotto esclusivamente con latte di pecora intero; l’alimentazione base del bestiame ovino deve essere costituita da foraggi verdi o affienati provenienti per almeno il 90% dalla zona di produzione. Presenta un’intensità aromatica medio elevata, e un sapore fragrante accentuato, dolce, leggermente salato; anche debolmente piccante quello a pasta semidura.