Il latte crudo, ovvero quel latte che non ha subito alcun trattamento termico (come abbiamo introdotto nel capitolo C’è il latte… e il latte crudo), è stato ultimamente rivalutato come prodotto benefico, tradizionale e che ci riporta alle nostre radici. Per questo gli sono state attribuite delle proprietà spesso esasperate, e che non tengono conto delle reali possibilità di questo alimento, complesso e completo dato il gran quantitativo di proteine, grassi, carboidrati, vitamine e minerali ma certamente non miracoloso. 

Gran parte delle caratteristiche sensoriali e biochimiche del latte dipende dall’alimentazione dell’animale. Si tratta sia delle componenti basilari che caratterizzano questo alimento, come il contenuto vitaminico ad esempio, sia di elementi che ne incrementano la qualità, quali aromi e colore. La nutrizione dell’animale può essere a base di insilati, foraggi, fieno, erba fresca o se l’animale viene lasciato al pascolo, garantita dagli erbaggi in dipendenza dell’areale di allevamento. L’animale al pascolo è quello più presente nell’immaginario collettivo nonostante sia la tipologia di allevamento, in certe zone per ovvi motivi, meno utilizzata; questo perché il pascolo è lo sfondo tipico di pubblicità ed etichette.

L’alimentazione dell’animale: quanto influisce sui prodotti derivati?

Il pascolo influisce molto sulla qualità, ed in questo caso non è pura retorica, ma è un fenomeno comprovato da numerosi studi che affermano quanto la biodiversità della vegetazione possa influenzare la componente aromatica del latte e poi successivamente del formaggio. 

Colore, aroma e sapore vengono condizionati dalle piante di cui l’animale si nutre, che sono molto diverse anche se appartenenti ad una stessa zona, ancor di più se consumate direttamente al pascolo anziché in stalla. Questa varietà di componenti vegetali assunti fa sì che il latte di diversi allevamenti risulti differente. 

Gli elementi presenti nelle piante possono direttamente riversarsi nel latte, oppure fornire il substrato per trasformazioni ruminali o fermentazioni durante la lavorazione del latte per ottenere formaggio. Ci sono alcune specie botaniche che producono odori sgradevoli nei prodotti derivati dal latte, come cipolle ed aglio, mentre altre ne migliorano le caratteristiche organolettiche. Per la maggior parte i connotati addizionati al latte dalla componente nutrizionale vengono poi persi durante i trattamenti successivi. Molti studi attestano il decremento della qualità organolettica e sensoriale a seguito del trattamento termico. Ed è per questo che il latte crudo è ritenuto superiore. Però va precisato che un latte proveniente da un animale nutrito a insilati, anche se crudo, non avrà le stesse caratteristiche organolettiche di un latte munto da una vacca a cui viene garantita un’alimentazione variegata e fresca. È stato anche dimostrato che se vengono usati i foraggi provenienti dall’areale, raccolti e posti nelle stalle, nonostante siano comunque ascrivibili ad un erbaggio fresco, il latte non sarà il medesimo di quello di una vacca lasciata pascolare, per quanto riguarda la componente olfattiva e gustativa. Questo fatto non è dovuto solo all’azione manuale di tagliare la pianta provocandole dei danni, ma anche al ruminante che, dovendo compiere solo parzialmente l’azione del ruminare, ingerirà boli più grandi ed impiegherà un minor tempo di masticazione, causando così una minor formazione di composti secondari. Ci sono dunque una serie di fattori che influenzano l’assimilazione di carotenoidi, fenoli e terpeni, che danno poi vita a composti aromatici

Oltre alle caratteristiche organolettiche, la nutrizione influenza anche la quantità di grassi nel latte. Quello proveniente da vacche nutrite a insilati o fieno ha un contenuto di grassi nettamente maggiore di quelle allevate al pascolo; probabilmente questo fatto è dovuto alla necessità delle vacche al pascolo di consumare maggior energia per camminare rispetto alle vacche in stalla.

Differenze sensoriali del latte da allevamenti diversi

Il colore è il primo indice, anche perché visivo, che abbiamo per comprovare che un latte derivi dal pascolo. L’alimentazione a base di erbaggi freschi garantisce, infatti, l’ingestione di β-carotene, un carotenoide sensibile alla luce, che quindi si disperde totalmente negli erbaggi lasciati essiccare. 

Anche la texture del latte dipende dalla natura della pianta: è stato dimostrato che la vegetazione dei pascoli contiene un maggior numero di acidi grassi insaturi, il cui basso punto di fusione permette di ottenere un latte più fluido e di conseguenza un formaggio più soffice e un burro più spalmabile. 

Come suddetto le varietà botaniche influenzano anch’esse il risultato finale, soprattutto per quanto riguarda i formaggi. Infatti, due vacche allevate al pascolo una in montagna e una a valle daranno come risultato due formaggi dal sapore differente, più pungente e forte il primo, più delicato il secondo. 

Le piante di cui si nutrono i ruminanti hanno dunque delle componenti che si diffondono direttamente nel circolo sanguigno e poi nel latte (come il β-carotene), oppure che fungono da substrato per i microrganismi ruminali. I composti organici volatili (VOC), ad esempio, sono originati dagli amminoacidi liberi attraverso il metabolismo di questi microrganismi. I composti aromatici quali fenoli, terpeni e indoli sono proprio sviluppati secondo queste pathway a partire da composti amminoacidici, o a partire da carotenoidi, flavonoidi e clorofilla. 

Per quanto riguarda i terpeni, questi composti hanno riconosciute proprietà aromatiche e sono i precursori degli oli essenziali. Sono molecole che si trovano in concentrazioni differenti a seconda delle piante: le graminacee ne sono povere, mentre ne sono ricche molte dicotiledoni che si trovano naturalmente nell’areale montano. Questi elementi passano direttamente nel latte e si possono trovare in quantità considerevoli anche nel formaggio se la vacca è stata nutrita con piante con abbondanza di terpeni. 

Le componenti del latte rimangono invariate dopo i trattamenti?

Ad ogni modo è stato dimostrato che tutti questi composti organici volatili, la formazione di vitamine e tutto il complesso sistema di molecole che si forma in base alla dieta dell’animale, viene parzialmente degradato dal trattamento termico, di cui il più lieve è la pastorizzazione. 

Il calore, sebbene sia necessario per la sicurezza alimentare, danneggia dei composti che sono molto fragili, soggetti a danni anche dal semplice ambiente esterno quale sole o aria (ossidazione). È per questa motivazione che il latte crudo ha raggiunto una crescente popolarità negli ultimi anni, dovuta anche al periodo storico che stiamo vivendo, in cui il legame con il passato e con la tradizione, e con tutto ciò che è il meno trasformato possibile, diventa sempre più saldo. Si assiste ad un’inversione di rotta rispetto agli anni dell’industrializzazione serrata, per cui molti prodotti e modalità di consumo alimentare, appartenenti ai nostri nonni, vengono riscoperti. Il latte crudo è appunto uno di questi, e analizzando nel dettaglio le sue proprietà e peculiarità è possibile evidenziarne degli attributi notevoli, quali quelli sensoriali e organolettici più che nutrizionali. Infatti la pastorizzazione non è un trattamento drastico e invasivo per quanto riguarda le molecole biochimiche (proteine, grassi, carboidrati). D’altro canto vedremo nei prossimi capitoli quali sono i rischi microbiologici correlati all’assunzione di latte crudo. Perché è fondamentale riconoscerne le proprietà ma anche i limiti. 

Alla prossima puntata sul latte crudo!

 

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