Latte, dieta e stile di vita

Lo studio della antropologia è ricco di notizie e di casi apparentemente insoliti, che tuttavia ci permettono di meglio comprendere problemi complessi, come la nostra alimentazione. È questo il caso della monofagia dei cammellieri della Somalia, che si nutrono quasi esclusivamente del latte particolarmente grasso delle loro cammelle, e studiato da Luigi Saffirio (Saffirio L. – Monophagy in the European Upper Paleolithic – M. L. Arnott (Ed.) – Gastronomy. The Anthropology of Food and Food Habits – Monophagy in the European Upper Paleolithic – Mouton Pub. 1975). Un’osservazione non recente, spesso dimenticata, interessante ricordare perché mette in chiara relazione l’alimentazione con il latte con lo stile di vita ed esempio di come una dieta ricca di proteine e grassi, apparentemente squilibrata, è tuttavia accettata senza inconvenienti dalla popolazione che pratica, in un clima particolare, uno stile di vita molto attivo.

Latte quasi unico alimento dei cammellieri della Somalia

Il caso è descritto in un rapporto di una spedizione scientifica inviata dall’Istituto di Patologia Medica dell’Università di Firenze per studiare i pastori nomadi di cammelli in Somaliland (Lapiccierela V., Lapiccierella R., Abboni F., Liotta S. – Enquete clinique, biologique et cardiographique parmi les tribus nomades de la Somalie qui se nourissnte seulement de lait – Bulletin of the World Healt Organization, 27, 681-697, 1962).

Questi pastori si nutrono quasi esclusivamente di latte di cammello che bevono da cinque a dieci litri al giorno, un latte che ha un’alta quantità di grassi (7,11%) circa il doppio di quello vaccino (3,50%). Questa dieta, anche al minimo di cinque litri, corrisponde a 355,5 grammi di lipidi, 236 grammi di protidi, 231,5 grammi di lattosio per un totale di 5.222 calorie. A questa dieta vanno aggiunte le calorie dello zucchero di canna che questi allevatori di cammelli mettono nel tè (da 200 a 250 grammi, pari a 1025 calorie). Il totale giornaliero è di 6.247 calorie, circa il doppio di quello considerato normale per un uomo adulto. I ricercatori, tenendo presente l’alta temperatura locale (media 300 C) e la conseguente riduzione del fabbisogno calorico, calcolano la razione normale come 2.880 calorie pro die, leggermente al di sotto di quella standard di 3.000 calorie. Da precisare inoltre che questa dieta comprende spezie (chiodi di garofano, cardamomo e resine come incenso e mirra) e due volte al mese da dicembre a marzo una piccola quantità di carne di capra o di cammello.

Gli esami clinici su duecento e tre uomini maschi tra gli undici e i settanta anni di età danno risultati normali e completamente diversi da quelli che ci si potrebbe aspettare da una tale dieta iperlipidica, iperproteica e ipercalorica. In particolare il livello ematico di colesterolo di questi pastori è piuttosto basso, con una media di 147,25 milligrammi per cento millilitri di sangue. Inoltre non si rilevano effetti patologici dovuti al loro tipo di alimentazione. Risultati questi che i ricercatori imputano principalmente ad un adattamento fisiologico atavico di omeostasi della popolazione di cammellieri e all’intensa attività muscolare connessa con la vita nomade di questi pastori.

Monofagia, ambiente e attività fisica

Il caso dei pastori somali è forse unico e localizzato legato a una dieta a base di latte, ma vi sono altri casi di popolazioni con diete ricche di grassi e proteine, come quelle degli eschimesi Inhalmiut e comuni di tutte le popolazioni artiche, ma senza inconvenienti. In questi casi abbiamo prove che diete ipercaloriche e squilibrate per talune popolazioni non lo sono per altre nelle quali porterebbe a risultati negativi e persino patologici. I casi citati indicano che particolari condizioni di esistenza e ambiente naturale, così come fenomeni di adattamento fisiologico, possono portare a diete ben tollerate e senza effetti dannosi in talune popolazioni, mentre per altre popolazioni le stesse diete risultano squilibrate. Per questo, nel valutare una dieta, bisogna sempre tenere conto dell’adattamento genetico, delle condizioni ambientali e soprattutto dell’intensità della attività fisica.

 

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, é stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastrononie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastrononie.